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Il 3 settembre è entrato in vigore l’Accordo Stato-Regioni sottoscritto lo scorso 7 luglio che prevede l’aggiornamento degli accordi sulla formazione per i responsabili e gli addetti del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP e SPP), finalizzato all’individuazione della durata, delle modalità e dei contenuti minimi dei percorsi formativi. Questo aggiornamento fa leva sull’articolo 32 del D.Lgs. n. 81 del 2008 e successive modificazioni (Testo Unico di Sicurezza) che fissa i requisiti e le capacità professionali dei responsabili e degli addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione.
Si è in pratica concluso l’iter legislativo di regolamentazione di quello che potremmo definire una “formazione specialistica di settore” inerente la qualificazione professionale degli RSPP in particolare e, di conseguenza, anche degli ASPP, iniziata l’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006 quale prima individuazione del percorso di formazione della figura professionale. Immediatamente dopo era partita una fase transitoria e di sperimentazione. Altre revisioni, comunque, si sono succedute nel corso degli anni: si pensi agli Accordi del 2011 che riguardavano la formazione dei lavoratori e la formazione dei datori di lavoro e l’Accordo del 2012 relativi alla formazione sull’uso delle attrezzature e la definizione dei requisiti del formatore a cura della Commissione Consultiva Permanente.
Non voglio entrare nel merito delle innovazioni metodologiche e legislative introdotte con l’accordo del 7 luglio scorso: già in molti, e forse in troppi, si sono cimentati in questo esercizio creando, ritengo, più confusione che chiarezza sulla portata del provvedimento. Provvedimento che ha riscosso forse più critiche che apprezzamenti, anche se le finalità dichiarate erano quelle di portare semplificazione e chiarezza nel processo formativo previsto in particolare per l’RSPP.
Voglio invece fare alcune riflessioni sull’impianto complessivo dell’accordo, che ha richiesto oltre due anni di gestazione, sugli aspetti formali dei percorsi formativi (numero di partecipanti, previsione di figure professionali per la progettazione ed erogazione dei corsi – responsabile scientifico, tutor, mentor, sviluppatore di piattaforma, ecc, – e-Learnig si/e-learning no, articolazione del modulo B, etc.). Non si accenna minimamente a come verificare e riconoscere e come complessivamente adeguare le competenze acquisite dall’aspirante RSPP e, cosa altrettanto grave, non si definiscono in modo esaustivo e chiaro gli ambiti di azione e di responsabilità di questa figura professionale il cui ruolo deve essere di primaria rilevanza all’interno dell’organizzazione aziendale.
Ancora si considera sufficiente il superamento, con mera verifica finale, dei singoli moduli formativi anche se frequentati in tempi e presso strutture formative diverse. I singoli attestati, sommati, valgono complessivamente come idoneità allo svolgimento della professione.
È appena il caso di evidenziare, inoltre, la prevista riduzione dei crediti quinquennali necessari per mantenere la qualificazione professionale: 40 ore nel quinquennio che, se distribuite su base annua, sono 8 ore l’anno! In un'epoca di rapide e sostanziali innovazioni tecniche e lavorative, si possono ritenere sufficienti per garantire un reale ed efficiente aggiornamento per una figura professionale a cui si demanda la salute e sicurezza dei lavoratori e con loro l’integrità degli impianti?
Di questa professione, in ogni caso e ripeto, non sono chiari, definiti e prescritti gli ambiti, i limiti, i contesti, le responsabilità nell’ambito dell’organizzazione aziendale. Molti contesteranno queste affermazioni ma è indubitabile che a parità di azienda, di contesto lavorativo, di dimensione aziendale, di codice ATECO ascrivibile all’azienda, le attività e le competenze degli RSPP sono spesso diverse, di diverso peso e di diversa responsabilità. Senza che alcuno si scandalizzi, quanti “specialisti della sicurezza” forniscono all’azienda solo carta e documenti “ricopiati e scopiazzati” utili solo a “rispettare la prescrizione” della norma ma non il suo spirito: fare sicurezza, non scriverla!
In base alle precedenti considerazioni, mi sembra adeguata l’iniziativa presa in ambito UNI di attivare un gruppo di lavoro finalizzato a definire un progetto di norma per definire i requisiti di “conoscenza, abilità e competenza” che dovranno contraddistinguere un professionista quale l’HSE Manager che racchiude in sé diverse competenze nel campo della salute e sicurezza lavorativa. Competenze ampiamente riconosciute e richieste a livello europeo.
La previsione di tale figura professionale andrebbe ad incorporare quella dell’RSPP ampliandone e definendone in modo puntuale le competenze e gli ambiti di responsabilità all’interno dell’organizzazione in cui opera.
Naturalmente, considerando la eterogeneità e complessità delle organizzazioni e i diversi settori d’impiego dei profili HSE, l’attività normativa dell’UNI si porrà l’obiettivo di identificare conoscenze, abilità e competenze dei diversi livelli professionali di base appartenenti all’ambito HSE e compatibili con gli altrettanto diversi sistemi organizzativi delle aziende presenti sul mercato italiano.
Appare evidente come le ricadute applicative della futura norma tecnica dell’UNI nel contesto nazionale (ed europeo) saranno tali da rappresentare un elemento importante di spinta ad un sempre più ampio e continuo miglioramento nelle aree aziendali della prevenzione e tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e della protezione dell’ambiente.
L’emanazione da parte dell’UNI di una nota tecnica per definire i requisiti di “conoscenza, abilità e competenza” delle figure professionali che operano nel campo dell’HSE deve essere senz’altro vista come un’ulteriore tappa verso un pieno riconoscimento professionale degli operatori della sicurezza di cui AiFOS raccoglie e promuove le esigenze e gli interessi.
Nell’ambito di Confcommercio, a cui AiFOS aderisce come associazione nazionale di categoria, siamo presenti nel comitato direttivo di Confcommercio Professioni promosso dalla Confederazione proprio per dare rappresentanza e voce a tutte le associazioni professionali non regolamentate ma che sono sempre più alla base del nostro sistema economico che lentamente ma progressivamente si sta evolvendo nel settore dei servizi.
Il processo partito con dalla Legge 4 del 2013, denominata “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”, che ha introdotto la possibilità per le associazioni professionali di tenere e pubblicizzare registri in cui sono inseriti i propri iscritti che hanno seguito e attestato un percorso professionale adeguato, mira a regolamentare in modo puntuale l’esercizio di professioni non organizzate in albi o collegi anche attraverso il disegno di legge sulle “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, attualmente in discussione alla 11a Commissione Permanente del Senato.
Proprio su tale tematica AiFOS da tempo è impegnata per favorire sempre più l’affermazione e il consolidamento di principi di professionalità, etica e deontologia professionale che devono informare ed essere rispettati da tutti coloro che operano nel campo della salute e sicurezza degli ambienti di vita e lavoro.
[1] Segretario Generale di AiFOS, Sociologo dell’Organizzazione, Membro del Gruppo di Lavoro UNI CT 042 GL 68 (Figure Professionali in ambito HSE)
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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