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18 febbraio 2022

Noi e voi

La salute della persona nelle relazioni di lavoro

La presentazione dell' e-book n. 80 della collana Labour Studies di ADAPT

La salute della persona nelle relazioni di lavoro

ebook_vol_80_salute_relazioni_di_lavoro-1.jpgLe associazioni ADAPT e Amici di Marco Biagi hanno promosso in tutti gli anniversari della tragica morte di Biagi un evento dedicato ai possibili sviluppi delle molte intuizioni che egli ebbe, dimostrando così la persistente vitalità del suo pensiero e dei suoi progetti. In occasione della diciassettesima edizione, le due associazioni, in collaborazione con la Società Italiana di Medicina del Lavoro, hanno prodotto il presente Rapporto con lo scopo di avviare un percorso di approfondimento delle molte relazioni tra il lavoro e la salute in quanto profili pervasivi nella vita di ogni persona e misura del benessere di ogni comunità. L’organizzazione internazionale del lavoro ha sempre prestato una intensa attenzione alla salute dei lavoratori e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha analizzato il legame tra prosperità economica e stato di salute di una popolazione come quello tra salute e vita attiva in ciascuna persona. Così la Commissione Europea nei suoi documenti, mentre l’Italia arrivò perfino a fondere in uno i ministeri del lavoro, della salute e delle politiche sociali. È di quel breve periodo la produzione di un Libro Bianco dedicato alla “Vita buona nella società attiva” nel quale, a seguito di una larga consultazione pubblica, si definivano le linee strategiche di una politica nazionale per una stretta connessione tra lo sviluppo economico e quello sociale, tra la stessa salute delle persone e il loro grado di inclusione.

Lavoro e salute corrispondono a due bisogni insopprimibili dell’essere umano e come tali non sono separabili nel momento in cui tende ad affermarsi anche nella dimensione produttiva la centralità della persona nella sua integralità. Fu il Libro Bianco del 2001 a rilevare originalmente i grandi cambiamenti nella organizzazione della produzione e del lavoro che si sarebbero geometricamente sviluppati negli anni successivi. Biagi era coevo della rivoluzione informatica che i più non capirono nelle sue implicazioni e che egli invece seppe proiettare nel definitivo superamento dei modelli “fordisti” che avevano trasformato in numeri i lavoratori. Per questa ragione egli parlò di “lavori” a significare la fine di ogni astratta omologazione, di contratti di prossimità per il reciproco adattamento delle parti contraenti, singole e collettive, alle circostanze sempre più varie, di occupabilità permanente attraverso la possibilità per ciascuno di accedere a specifiche conoscenze e competenze. I lavoratori, insomma, cominciavano a riacquistare un volto in contesti produttivi senza mansioni ripetitive ed oggi non vi è chi non riconosca la originalità del contributo di ogni dipendente ai risultati dell’impresa. Ma le nuove tecnologie impongono allo stesso tempo la continua transizione a nuove competenze per cui il datore di lavoro chiede ai propri collaboratori certamente il “saper fare” compiti specifici ma, ancor più, il “saper essere” in quanto capaci di adattarsi a contesti che si evolvono velocemente. È la persona nella sua completezza ad essere quindi considerata per le sue attitudini profonde oltre che per le abilità contingenti. Analogamente il lavoratore, che per tanta parte del tempo di vita si riconosce condizionato dal lavoro, chiede sempre più di essere considerato nella interezza dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni. Il rapporto di lavoro non si risolve quindi in un mero scambio tra prestazione e remunerazione ma si rivela sempre più una complessa relazione tra persone.

La sicurezza nell’ambiente di lavoro non costituisce più l’unica responsabilità dell’impresa che è impegnata a garantire la salute pubblica dei territori in cui insiste secondo criteri certi e certamente applicati. In particolare, il rapporto fra la libertà d’iniziativa economica e la tutela della salute dei lavoratori è stato nuovamente esaminato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 58 del 2018, la quale ha affermato che «rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona». Bisogna ricordare che il diritto a condizioni di vita sufficienti a garantire la salute e il benessere dell’individuo era stato riconosciuto un diritto umano già con la Dichiarazione Universale del 1948. D’altra parte, la stretta connessione tra lavoro e salute è stata di recente evidenziata anche dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nel report Work for a brighter future. Global Commission on the future of work del gennaio 2019, la quale propone l’introduzione di garanzie minime universali per il lavoro che prescindano dalla tipologia contrattuale adottata e possano poi essere superate da tutele aggiuntive fissate da disposizioni normative nazionali o dalla contrattazione collettiva, come del resto prefigurato da Marco Biagi con lo Statuto dei lavori, sul finire del secolo scorso. Ebbene in queste universal labour guarantee elaborate dall’OIL sono inclusi, oltre ai diritti fondamentali (libertà di associazione, di tutela degli interessi collettivi e libertà dai fenomeni del lavoro forzato, del lavoro minorile e della discriminazione), a una paga minima sufficiente e alla limitazione dell’orario di lavoro, anche la protezione della salute e della sicurezza sul lavoro, protezione che merita di essere riconosciuta come un principio e un diritto fondamentale nell’ambito del lavoro.

L’impresa può peraltro concorrere alla politica prevenzionistica nazionale valorizzando la sorveglianza sanitaria dei propri dipendenti. Ogni anno oltre dieci milioni di persone sono sottoposte alla visita dei medici competenti che rappresenta una opportunità per gli screening, per l’educazione agli stili di vita, per la prevenzione delle malattie croniche. A ciò si aggiunga la necessità di una specifica attenzione alla crescente popolazione lavorativa anziana che richiede anche un adattamento di molti ambienti di lavoro. I grandi differenziali di aspettativa di vita (sana) che oppongono i diversi percorsi professionali sono dovuti non solo alle condizioni lavorative dei mestieri “usuranti” ma soprattutto ai più generali stili comportamentali che ne derivano. D’altronde il lavoro, anche quando subordinato, si libera sempre più dal vincolo spaziotemporale per cui risultano inefficaci o insufficienti i tradizionali adempimenti formali del datore di lavoro. Ciò significa un profondo ripensamento della vigente disciplina costruita sull’unico presupposto della produzione pesante di tipo seriale da una postazione fissa. Linee guida, buone pratiche, norme tecniche, addestramento e formazione meritano incentivi che inducano un approccio sostanzialista per obiettivi verificabili.

La prima azione per la cura di una patologia rimane la possibilità di conservare, in termini flessibilmente compatibili con i cicli terapeutici, il rapporto di lavoro e con esso una vita operosa. La frettolosa esclusione dal mercato del lavoro è peraltro contraddetta dalla efficacia crescente delle innovazioni terapeutiche. La contrattualistica nazionale e aziendale può potenziare i periodi di comporto mentre l’ingresso delle nuove tecnologie nelle produzioni di beni come di servizi allarga le possibilità di modulazione o addirittura superamento dell’orario. Decisiva è la buona formazione che si fonda su una più moderna pedagogia applicata alle persone affette da malattie croniche o ingravescenti per consentirne la persistente occupabilità.

In modo crescente la contrattazione collettiva nazionale e aziendale si orienta a definire strumenti assicurativi per prestazioni sanitarie integrative la cui nuova frontiera è costituita dalla tutela dei bisogni connessi alla non autosufficienza intervenuta nei lavoratori e nei loro familiari. In questo modo si riduce la poderosa spesa out of pocket delle famiglie e si consolida la sostenibilità del sistema pubblico universalistico. È quindi doveroso l’obiettivo di costruire un secondo pilastro collettivo che tenda progressivamente a coprire tutti “dalla culla alla tomba”, superando così il limite del pensionamento oggi prevalente nei fondi e garantendo tutele alle cronicità. Ma il significativo incremento dei rischi, con l’estensione della protezione alla fase finale del ciclo vitale, sollecita una adeguata massa critica e quindi l’allargamento del perimetro dei contratti che ne sono il presupposto negoziale.

Una agenda sulle relazioni tra la salute e il lavoro non può infine prescindere dalla doverosa qualificazione e tutela di coloro che, volontariamente o professionalmente, prestano attività di cura delle persone non autosufficienti. Se adeguata attenzione è stata prestata da leggi e contratti alle professioni del servizio sanitario nazionale, non altrettanto si può dire per i cosiddetti caregiver. Eppure, sono prestazioni destinate a crescere ulteriormente con l’incremento della domanda di assistenza indotta da fenomeni come la cronicizzazione delle patologie acute, l’allungamento della aspettativa di vita, il definirsi di assicurazioni collettive per il long term care. A ciò corrisponderà un aumento rilevante della offerta di servizi grazie alla progressiva riallocazione di una parte della spesa ospedaliera in favore di quella “territoriale” e ai maggiori investimenti privati nella realizzazione di moderne residenze per anziani. L’attività volontaria nei confronti di familiari prossimi merita da un lato di essere inserita nelle reti pubbliche di assistenza domiciliare e, dall’altro, di avere specifiche protezioni che garantiscano la possibilità di una vita relazionale, la continuità del rapporto di lavoro e i contributi figurativi corrispondenti ai periodi di sospensione. Occorre poi promuovere un mercato efficiente e trasparente del lavoro di cura anche grazie alla possibilità per gli utilizzatori di dedurre il relativo costo. Soprattutto, una prestazione così intensamente riferita al benessere di altre persone richiede continuo aggiornamento di conoscenze e competenze. Una buona contrattazione collettiva integrata da contratti personalizzati sulle caratteristiche di ciascun lavoratore potrà motivare sempre più un lavoro che richiede dedizione e preparazione. Lavoro e salute insomma si intrecciano diffusamente e lo sviluppo dei molti canali di indagine qui segnalati risulterà utile a promuovere ulteriormente la vita buona.

Per scaricare l'ebook n. 80 di ADAPT - Labour Studies: http://www.amicimarcobiagi.com/wp-content/uploads/2019/03/ebook_vol_80_salute_relazioni_di_lavoro.pdf

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