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Nel Quaderno della Sicurezza n°4 del 2018 i dati del rapporto AiFOS 2018. L'editoriale di Lorenzo Fantini
Quest’anno la ricerca AiFOS ha avuto come oggetto la partecipazione dei lavoratori alla salute e sicurezza sul lavoro, elemento essenziale in materia di prevenzione di infortuni e malattie professionali. Per ribadire il valore della rappresentanza, basta ricordare che i considerando della Direttiva n. 89/391 (anche nota come “direttiva quadro” in materia di salute e sicurezza sul lavoro) individuano come principio necessario “per garantire un miglior livello di protezione (…) che i lavoratori e/o i loro rappresentanti siano informati circa i rischi per la sicurezza e la salute e circa le misure occorrenti per ridurre o sopprimere questi rischi” e sottolineano “che è inoltre indispensabile che essi siano in grado di contribuire, con una partecipazione equilibrata, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, all'adozione delle necessarie misure di protezione”. Di conseguenza, l’articolo 11 della Direttiva (“Consultazione e partecipazione dei lavoratori”) prevede che i datori di lavoro consultino i lavoratori o i loro rappresentanti permettendo in tal modo “la partecipazione (…) in tutte le questioni che riguardano la sicurezza e la protezione della salute durante il lavoro”. In tal modo, la gestione della salute e sicurezza sul lavoro viene legata – secondo una celebre e quantomai felice definizione del Prof. Michele Lepore, il quale nell’immediatezza della pubblicazione del D.Lgs. n. 626/1994, prima attuazione della direttiva appena citata, parlò di “rivoluzione copernicana” della normativa antinfortunistica – alla partecipazione dei lavoratori e al loro diritto di essere consultati e fare proposte di miglioramento della tutela prevenzionistica in azienda.
Come noto, l’Italia ha dato attuazione a tali principi comunitari – pienamente in linea con la propria tradizione in materia sindacale – prevedendo che la partecipazione dei lavoratori alla salute e sicurezza sul lavoro avvenga per mezzo di una figura di tipo comunque sindacale (nel senso che è in linea assolutamente prevalente “incardinata” nelle organizzazioni sindacali e non espressione di una rappresentanza “diretta” dei lavoratori) quale è il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, la cui diffusione e operatività è indagata dalla ricerca AiFOS del 2018.
Il Ministro in carica al momento della elaborazione del D.Lgs. n. 81/2008, Cesare Damiano, nel suo contributo a questo Quaderno ricorda come: “Il Testo Unico su Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro nacque grazie, com’era costume dell’epoca, a una concertazione estenuante con le parti sociali. Un confronto serrato tra interessi legittimi in cui si cercava una sintesi, facendo, ognuno, la propria parte: sindacati dei lavoratori, delle imprese e legislatore”. Questo perché “Obiettivo primario della nuova disciplina doveva essere la diffusione di una nuova cultura della prevenzione, basata sulla collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nel processo della sicurezza: datori di lavoro, RSPP, RLS, Medici competenti. La sicurezza, infatti, doveva divenire uno dei pilastri dell’organizzazione aziendale ed essere percepita non come un costo, ma come un investimento”. A distanza di un decennio dalla storica operazione del 2008 è lecito interrogarsi rispetto al successo di tale attività, avuto a riferimento il radicale mutamento – solo in parte davvero apprezzato da aziende ed operatori – delle organizzazioni del lavoro che stiamo vivendo.
È opinione di chi scrive che la sfida più importante in questo momento storico sia quella di garantire attuazione alla normativa antinfortunistica europea (della quale quella italiana rappresenta una delle migliori e più complesse rappresentazioni), in un contesto che certamente non era quello che il legislatore comunitario aveva a mente e che, quindi, impone all’operatore della salute e sicurezza sul lavoro attenzione allo “stato dell’arte” in materia di prevenzione di infortuni e malattie, vale a dire a quel principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” che in Italia trova la sua espressione legislativa nell’articolo 2087 del codice civile. Il tema è, quindi, capire se le organizzazioni del lavoro abbiano colto pienamente tale necessità e, per quanto qui interessa, se la rappresentanza dei lavoratori alla sicurezza si sia evoluta secondo tale principio.
Al riguardo, le indicazioni internazionali sono, per molti versi, preoccupanti: come emerge dal contributo proposto dall’Agenzia Europea (EU-OSHA) “I risultati dello studio comparativo sulla partecipazione e la consultazione dei lavoratori nel campo SSL suggeriscono che la rappresentanza dei lavoratori nel settore sia in declino in tutta Europa, mentre si moltiplicano gli accordi di partecipazione alla stessa SSL promossi dai dirigenti. Infatti, se a ben vedere, esempi di rappresentanze centrate sui lavoratori sono stati rinvenuti in tutti i Paesi considerati, tuttavia, pratiche estremamente efficaci di partecipazione dei lavoratori alla SSL sono state osservate soltanto in un numero ristretto di imprese studiate, il che fa pensare che una buona rappresentanza dei lavoratori sia ancora l’eccezione e non la norma”. A ciò si aggiunga, sempre secondo il contributo appena citato, che la funzione della rappresentanza in materia di salute e sicurezza sia stata in molti Paesi UE considerata “propedeutica” e non “obbligatoria” rispetto alla salute e sicurezza sul lavoro tanto che “gli ispettori competenti, incaricati di vigilare le imprese, raramente fanno rispettare le disposizioni in materia di rappresentanza dei lavoratori”; tale conclusione è doppiamente preoccupante, sia in quanto coglie una tendenza erronea delle attività di vigilanza sia, soprattutto, perché descrive un sistema fatto di aziende che non hanno colto l’importanza del tema della partecipazione, ancora considerato da un punto di vista meramente obbligatorio, mentre cresce la rilevanza di esperti e consulenti in materia di salute e sicurezza, nell’ingannevole convinzione che essi possano sostituirsi alla rappresentanza dei lavoratori.
In tale contesto – reso particolarmente grave dalla crisi economica, laddove l’Agenzia Europea parla di fenomeno ancora di più evidente “in nazioni (Grecia e Spagna), dove la crisi ha avuto un effetto particolarmente penalizzante e si sono registrati tagli alle risorse destinate alla SSL: in tali paesi è diffusa tra gli intervistati l’impressione che la rappresentanza dei lavoratori costituisca, nella migliore delle ipotesi, un aspetto di secondaria importanza” – proprio il tema della rappresentanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro va inserito in quello, ben più generale, della crisi della rappresentatività sindacale, evidente anche nel nostro Paese e che trova il suo riflesso – verrebbe da dire quasi “fisiologico” – nei risultati della ricerca AiFOS.
Al riguardo, appare però necessario che si continui a credere nell’importanza del RLS come figura centrale di una corretta politica di salute e sicurezza in azienda, intesa quale valore aggiunto rispetto alla prevenzione “meramente tecnica” (che pure, ovviamente, è essenziale) di infortuni e malattie professionali. Perché, altrimenti, le difficoltà di una rappresentatività poco assertiva e mal riconosciuta possono diventare un pericoloso rischio negli anni a venire; e questo non solamente per le organizzazioni sindacali e per il loro compito, ma perché mina la concezione stessa della gestione della salute e sicurezza sul lavoro che, si ripete, lo stesso legislatore affida a tutti coloro che operano in azienda nel reciproco rispetto dei ruoli.
Come correttamente sottolineato da ISSA nel suo contributo al Quaderno, “Viviamo in un contesto dinamico ed estremamente variegato, quale si presenta il mondo del lavoro attuale. Questo perché, con la globalizzazione e il ritmo veloce del cambiamento sul posto di lavoro, stanno emergendo nuovi rischi professionali che spingono a porre nuove domande sulle strategie di salute e sicurezza e, di conseguenza, obbligano a adeguare e ridisegnare di volta in volta gli obiettivi e le iniziative da adottare”. Ecco perché, a maggior ragione, appare fondamentale che gli attori della salute e sicurezza sul lavoro lavorino insieme e siano in grado di confrontarsi e di condividere le reciproche esperienze e strategie con l’obiettivo di ridurre gli infortuni e le malattie professionali: perché questo modo di agire è ingrediente sostanziale per un’azione di prevenzione globale e per il successo delle politiche a mano a mano intraprese.
Lorenzo Fantini[1]
[1] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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