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Cambiamento: il cambiare, il cambiarsi. Spesso in senso figurato: mutamento improvviso di situazione, di uno stato di cose. In sociologia, cambiamenti sociali e culturali, quelli che determinano trasformazioni nella struttura sociale e culturale di un gruppo. Di Silvia Pellegrino, formatrice e consulente in materia di salute e sicurezza sul lavoro
Il cambiamento, soprattutto in ambito di sicurezza sul lavoro, riguarda il modificare determinate abitudini. L’abitudine è un comportamento che ripetiamo nel tempo e fa parte della nostra cultura intesa come l’insieme dei nostri atteggiamenti, dei nostri valori, ciò che ci aiuta a determinare ciò che è giusto ciò che è sbagliato.
Più il nostro comportamento è radicato nel tempo, più corrisponde profondamente ai nostri valori e più è difficile andare a modificarlo. Un esempio è legato all’utilizzo dei DPI o all’introduzione di nuove procedure; quante volte ci siamo sentiti rispondere: “abbiamo sempre fatto così” o “con questi DPI o con questa procedura non possiamo lavorare”.
Mi vengono in mente le obiezioni per attivare lo smart working o l’utilizzo di mascherine protettive o l’utilizzo di guanti per le estetiste nel periodo pre-covid. In realtà le motivazioni che facevano sembrare questi suggerimenti / prescrizioni impossibili erano, prevalentemente inconsce e legate alla difficoltà di cambiare. Da febbraio abbiamo cambiato la nostra percezione di ciò che era impossibile facendole diventare possibili e, in alcuni casi, ci siamo accorti che la nuova situazione poteva anche essere vantaggiosa se mixata alla precedente. Mi riferisco ai vantaggi di avere lavoratori che alternano lo smart working al lavoro in sede con miglioramenti sull’umore, la soddisfazione e di conseguenza la produttività. Analogo discorso può valere per classroom attivata per la DAD e usata come integrazione alla didattica in presenza fino all’ultimo DPCM.
Perché per alcuni è così difficile cambiare?
Perché la capacità di cambiare rientra in una delle categorie dell’intelligenza emotiva e non tutti abbiamo sviluppato negli anni, allo stesso modo, questo tipo di intelligenza.
L'intelligenza emotiva è un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. L'intelligenza emotiva è stata trattata la prima volta nel 1990 dai professori Peter Salovey e John D. Mayer, nel 1995 è stata approfondita da Daniel Goleman.
I quattro aspetti dell’intelligenza emotiva, che trovate sotto schematizzati, sono:
Nel dettaglio la capacità di affrontare in modo positivo i cambiamenti fa parte del secondo aspetto: la gestione del se’, cioè la capacità di gestione delle emozioni, dei sentimenti, dei pensieri e delle azioni affinché essi siano appropriati. Adattarsi ed essere flessibili in base al contesto sociale – professionale, gestendo le proprie emozioni e sapendo anticipare le proprie reazioni in situazioni professionali emotive, ostili e stressanti.
Nello specifico la competenza di Adattabilità e affidabilità è la capacità di comprendere e valorizzare i punti di vista differenti adattarsi alle nuove situazioni cambiare o accettare i mutamenti dell'organizzazione e del lavoro, al fine di conseguire i risultati attesi o di cogliere nuove opportunità.
Credo che questo periodo storico abbia accelerato maggiormente la necessità di sviluppare la nostra intelligenza emotiva in ogni suo aspetto e, soprattutto, l’adattabilità e flessibilità.
Quello che è il compito del RSPP, a mio parere, è di aiutare le proprie aziende a vivere il cambiamento come un’opportunità di crescita riconoscendo che dietro a muri può esserci un mancato allenamento a questa competenza; per andare oltre non sempre bisogna abbattere muri a volte basta trovare la chiave giusta per aprire la porta.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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