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Il Quaderno della Sicurezza n°2 del 2019 è stato recapitato a tutti i soci AiFOS. L'editoriale di Lorenzo Fantini
Il Diversity Management è stato definito come un “approccio diversificato alla gestione delle risorse umane, finalizzato alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi”.
Fino a non molto tempo fa, tuttavia, nel modo del lavoro esisteva una prospettiva, raramente dichiarata ma sostanzialmente consolidata, che tendeva ad annullare le differenze e le diversità (che, ricordo, possono concernere lo status sociale, l’appartenenza etnica, l’orientamento sessuale e/o religioso e l’identità di genere dei membri di un gruppo sociale che rappresentano), secondo un modello in cui il lavoratore tipo era identificato con una persona sana, generalmente dalla pelle bianca e soprattutto di sesso maschile (tutte caratteristiche del mondo occidentale). Ed era questo ciò che le aziende cercavano, senza considerare che sono i connotati di ognuna e ognuno di noi che ci rendono un essere umano unico e, proprio in quanto tale, portatore di un valore speciale, in ambito sociale, così come in ambito lavorativo e professionale.
Nell’ultimo periodo si stanno facendo numerosi passi in avanti in questo senso (anche se, purtroppo, resistono ancora numerosi contesti professionali in cui la discriminazione continua a essere all’ordine del giorno): è così che nasce un nuovo approccio alle persone all’interno delle risorse umane e si inizia a parlare di “gestione delle diversità” a tutto tondo.
Come riportato all’interno dei contributi, il concetto di Diversity Management nasce negli Stati Uniti e, in seguito, l’Europa lo ha fatto via via proprio e declinato, nel tempo, anche su parametri nuovi rispetto a quelli americani, che hanno teso ad ‘includere’ problematiche e gruppi in momenti storici successivi.
Molto è stato fatto, insomma, anche se c’è tanto da lavorare, non potendosi ritenere sufficiente il richiamo – per quanto chiaro e frequente – nel D.Lgs. n. 81/08 alla necessità di valutare in tutte le aziende i rischi legati alle differenze di genere e, conseguenzialmente, di adottare le relative misure di prevenzione e protezione.
È per questo che i “Quaderni della sicurezza” hanno deciso di dedicare un numero ad approfondire i tanti e diversi scenari attualmente presenti nel mondo del lavoro, per cercare di comprendere non solo il cosiddetto “stato dell’arte”, ma anche quali sono le principali azioni da intraprendere per continuare a diffondere questo approccio di inclusione, specie in un contesto lavorativo in continua trasformazione. Perché il Diversity Management è un insieme di modalità, scelte e seguite, per affrontare la gestione dell’organizzazione nel suo complesso e necessita di pianificazioni di lungo periodo al fine di impostare e coordinare le azioni dirette al raggiungimento di uno scopo specifico, ossia il migliorare i risultati aziendali in termini economici, di competitività e di immagine.
Come ha scritto Luca Solari, «l’attenzione dell’azienda viene posta in modo particolare sulla relazione organizzazione-persona in funzione del raggiungimento degli obiettivi aziendali. L’adozione di questo approccio strategico tenderà, quindi, ad esercitare un’influenza particolare rispetto alle scelte di gestione delle risorse umane, cioè sulle soluzioni da adottare, nel rispetto dei valori e della mission di impresa, per determinare “quando” e “come” pianificare, reclutare, selezionare, valutare, remunerare, sviluppare e motivare le persone di cui l’organizzazione necessita per la realizzazione della propria attività, sia nel momento attuale - ottica di breve periodo - che in prospettiva futura - ottica di medio/lungo periodo». Dunque, è necessario focalizzarsi sulle persone e sulla gestione delle loro diversità, considerando tale modo di agire come una risorsa fondamentale di vantaggio competitivo per l’azienda. E i contributi scelti e qui proposti, declinati sui diversi contesti di inclusione, danno ampio risalto a cosa si sta facendo nel mondo del lavoro.
Ciò non toglie che la nostra attenzione non si è solamente concentrata sui tanti contesti, bensì si è proposta di offrire uno spaccato che tenesse conto della prospettiva di una sempre maggiore tutela della salute e sicurezza sul lavoro, che deve essere legata a doppio filo ad ogni salvaguardia della persona e del suo stare e sentirsi in grado di lavorare e di vivere l’ambiente di lavoro in sicurezza anche nel rispetto, la valorizzazione e l’integrazione delle diversità delle persone e delle loro esigenze.
Restiamo convinti che sia necessario un grande lavoro di messa a fattor comune dei progressi ottenuti e di una divulgazione culturale dei propositi e degli intendimenti, come propone il Modello Dinamico di Sensibilità Interculturale (MDSI) di Milton J. Bennett, su come le persone fanno esperienza della differenza culturale: una persona diventa interculturalmente competente, non tanto perché conosce tutto su questa o quella cultura, ma perché ‘diventa capace’ di sentire come quella cultura. E per raggiungere tale “capacità” non bastano solo le ‘competenze’ (e conoscenze), considerate come un insieme di saperi e abilità, né tantomeno è sufficiente avere un’attitudine positiva; è necessario avere lo stimolo (e gli strumenti) per conoscere e scoprire il valore di ciò che è diverso da noi e quanto questo possa arricchirci.
Lorenzo Fantini[1]
[1] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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