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Per molti decenni la felicità dei dipendenti non è stata considerata un fattore importante nella cultura aziendale. Ma le cose stanno cambiando
Proponiamo l’estratto di un articolo dal titolo “Happiness at Work: Workplace as a Source of Happy Life”, redatto da Gennady Shkliarevsky (membro di facoltà del Bard College di New York Dipartimento di storia) e apparso sul sito della rivista scientifica International Policy Digest (IPD).
L’articolo riguarda il concetto di felicità e la sua applicazione in ambito dei luoghi di lavoro: l’articolo, attraverso una serie di considerazioni, arriva a formulare un’interessante proposta per cercare di dare una risposta alla fatidica domanda: si può pensare di ottenere la felicità nel mondo del lavoro?
Il testo è certamente corposo e al momento riguardante un ambito lavorativo molto anglosassone per non dire statunitense; tuttavia la soluzione proposta dall’autore merita di essere tenuta in considerazione per cercare risposte su come essere felici (anche) sul posto di lavoro.
Fino a poco tempo fa la felicità non era un fattore importante nella nostra cultura aziendale. Le preoccupazioni principali di proprietari di aziende, manager ed economisti riguardavano generalmente profitti, offerta e domanda, efficienza, produttività e simili. DI fatto, raramente la felicità è stata presa in considerazione come categoria operativa in un ambiente aziendale.
Questo principalmente a causa del fatto che le persone raramente si aspettano che il loro lavoro li renda felici. A loro può anche piacere quello che fanno, ma pochi associano la percezione del lavoro alla felicità: si lavora perché “bisogna farlo”, perché lavorare fa parte dell'essere un membro responsabile della società e per il fatto che, attraverso il guadagno, permette di avere una vita agiata. Per contro, è opinione diffusa che la felicità appartenga alla sfera privata, relazioni, famiglia e amici.
Alcuni decenni fa, tuttavia, la situazione cominciò a cambiare: le pubblicazioni economiche hanno aperto le loro pagine a contributi che discutevano della felicità; i college e le università hanno introdotto corsi con titoli allettanti "Ciò che rende felici i dipendenti", "I fondamenti della felicità sul lavoro" o "Come creare un ambiente di lavoro gradevole". Gli istituti di ricerca specializzati (come l'Happiness Research Institute in Danimarca) hanno iniziato a dedicare attenzione agli studi sulla felicità riflettendo un crescente interesse per l'argomento senza contare il proliferare di libri dedicati che in principio, suonavano più come un discorso di incoraggiamento motivazionale che altro.
Studio dopo studio è stato sempre più sottolineato il legame tra felicità e produzione. I dati statistici hanno dimostrato che i dipendenti felici erano in media più produttivi del 12%. E c'era di più: uno studio Gallup State of the American Workplace pubblicato nel 2012 ha rivelato che i dipendenti con un elevato benessere generale avevano il 41% in meno di costi relativi alla salute rispetto ai dipendenti che ‘stavano lottando’ e il 62% in meno rispetto ai dipendenti ‘che soffrivano’.
Questi numeri erano abbastanza significativi per far sì che gli imprenditori e i manager iniziassero a prestare attenzione all’argomento: la felicità è stata vista come un modo per aumentare la produttività e ridurre i costi nel nuovo ambiente tecnologico, in cui i contributi dei dipendenti sono stati misurati in innovazioni e miglioramenti, piuttosto che nel numero di ore trascorse sul posto di lavoro. Alcuni posti di lavoro offrono molti vantaggi ben oltre il tradizionale caffè, ritiri e feste per i dipendenti e Google ha persino un ‘chief happiness officer’, incaricato di mantenere alto il morale degli impiegati. Dunque, i datori di lavoro pensano in grande: le grandi aziende arrivano ad offrire tagli di capelli gratuiti, alimenti salutari, piscine, palestre, biliardi e ping-pong, pareti di arrampicata, servizi di lavanderia, corsi di ginnastica, cambio dell'olio, e permettono persino di far portare ai dipendenti gli animali domestici sul luogo di lavoro per tenerli compagnia.
Invero, se solo pochissime aziende di grande successo possono permettersi di offrire tali proposte, tuttavia, per i vertici aziendali, la felicità non è più una nozione esotica relativa ad intrattenere: ciò significa che molte aziende prendono sul serio l’idea di curare la felicità dei loro dipendenti e assumono ricercatori al fine di svelare i segreti di una vita felice.
Dunque, oggi studiosi provenienti da molteplici settori - dalla psicologia alla sociologia, alla neuroscienza, all'antropologia, alla scienza del management e persino ad alcune discipline meditative esoteriche - stanno sondando i segreti della felicità. Hanno raccolto enormi quantità di dati empirici, analizzato miliardi di questionari e pubblicato numerosi studi. Sembrano non aver lasciato nulla di intentato. Eppure, nonostante tutti questi sforzi, oggi non siamo più vicini a rispondere alla domanda fondamentale di cosa rende le persone felici rispetto a quando gli studi sulla felicità erano agli esordi.
Le raccomandazioni fornite dagli studiosi variano molto, sia nei contenuti che nei numeri. Alcuni vedono la felicità risultante da una combinazione di tre o quattro fattori di base. Annie McKee, autrice di un libro popolare dal titolo “Come essere felici di lavorare”, vede tre componenti essenziali per la felicità: una visione significativa del futuro, un senso di scopo e grandi relazioni sul lavoro. Altri arrivano fino a dieci o quindici ingredienti e alcuni producono una lunga lista di dozzine di fattori che contribuiscono alla felicità.
Eppure, nonostante si stia facendo molto, i risultati restano deludenti: secondo la maggior parte dei sondaggi, tra il 55% e l'80% degli americani vedono il loro lavoro come “qualcosa da sopportare”, non goduto. Un numero allarmante di statunitensi sembra essere indifferente al lavoro tanto che - secondo un rapporto Gallup pubblicato nel 2013 - solo il 30% della forza lavoro negli Stati Uniti è impegnato nel proprio lavoro. Ciò che è ancora più allarmante è che il benessere materiale, il denaro, non sembra essere un problema critico: infatti, un numero sorprendente di quelli nelle fasce più alte di reddito - oltre 1 milione di euro - sembrano essere comunque delusi e scoraggiati dal loro lavoro.
L'ovvia discrepanza tra l'investimento, in termini di denaro, impegno e competenza e i risultati può essere un'indicazione di un approccio errato. Il campo degli studi sulla felicità è molto forte sulla ricerca empirica e sulla raccolta dei dati, ma molto debole sulla teoria. Oltre al fatto che c’è molta confusione nel definire la felicità stessa e nel modo in cui i ricercatori interpretano il concetto e le sue fonti.
Nel tentativo di definire la felicità, alcuni ricercatori, ad esempio, arrivano fino ad Aristotele che associa felicità ad una buona vita; altri identificano la felicità con le scelte soggettive che fanno le persone arrivando anche al punto di affermare che per essere felici le persone devono semplicemente decidere di esserlo. Tuttavia, altri considerano la cultura come il fattore determinante di ciò che consideriamo felicità.
Non c'è dubbio che definizioni così diverse e persino conflittuali indichino una mancanza di solide basi teoriche. Il risultato di questa confusione è che la ricerca empirica va in tutte le direzioni senza che emerga una visione comune coerente. C'è poca coordinazione tra le varie linee di ricerca che contribuiscono poco l'una all'altra.
Tuttavia, esiste una visione comune condivisa da tutti i ricercatori, vale a dire quella che associa la felicità alla gratificazione, ossia l'atto stesso di gratificazione come fonte di felicità. Perché, in effetti, la gratificazione fa piacere e fa sentire felici.
Basta pensare ad un bambino che si nutre del latte materno o ad un bambino che sorride vedendo un volto familiare: perché un bambino sorride? Cosa viene soddisfatto in questo caso? Non c'è nessuna coscienza coinvolta in questa fase dello sviluppo di un bambino. Il senso di gratificazione in questi casi deriva dal rafforzamento della funzione-metabolismo in un caso e visione in un altro. Quando vede qualcosa di familiare, il bambino si esercita e, quindi, gratifica e conserva la stessa funzione del vedere.
La connessione tra conservazione e gratificazione non è certo una sorpresa ed è forse l'aspetto fondamentale del nostro universo dove non c'è nessun posto dove scomparire e tutto deve essere conservato.
Ciò non toglie che la conservazione richieda risorse che, però, sono limitate. Pertanto, al fine di conservare se stessi, i sistemi finiti dovrebbero ottenere l'accesso a nuove risorse, acquisibile solo attraverso l'evoluzione e la creazione di nuovi livelli di organizzazione capaci di offrire più possibilità e far ottenere nuove risorse. Quindi, la conservazione richiede la creazione di nuovi livelli di organizzazione, che conducono all'evoluzione. È proprio attraverso l'evoluzione che la conservazione è entrata nel dominio umano: noi siamo ciò che facciamo. A differenza degli animali, gli esseri umani sono in grado di eseguire operazioni simboliche. Possiamo creare costrutti mentali e tale capacità di eseguire operazioni mentali è una caratteristica distintamente umana, che rende gli umani diversi dagli animali. Pertanto, la conservazione dei costrutti mentali è un tipo di conservazione unicamente umano che conduce al tipo umano di evoluzione: l'evoluzione della cultura o della civiltà.
Tutti gli umani acquisiscono la capacità di creare costrutti mentali - la funzione che porta alla nascita della coscienza - entro la fine del loro primo anno di vita. Ancora non capiamo come acquisiamo questa funzione. Esercitare questa funzione gratifica e quindi la conserva, e la gratificazione è la fonte del piacere e della felicità. Così la creazione - la gratificazione della nostra funzione umana di generare nuovi e più potenti livelli di costrutti simbolici - è la fonte della nostra felicità in quanto esseri umani. Un ambiente di lavoro che afferma, sostiene e favorisce la nostra capacità di creare sarà una fonte di gratificazione e felicità.
Che cosa implica la creazione nell’ambiente di lavoro? Cosa dobbiamo cambiare nella nostra pratica per raggiungere questo obiettivo?
Innanzitutto, dobbiamo capire meglio il processo di creazione e ciò che comporta. Le persone spesso considerano il lavoro creativo come qualcosa che viene praticato da pochi artisti, poeti, musicisti e intellettuali in generale. Ma, in effetti, la creazione è molto più comune e coinvolge molti tipi di attività che sembrano ordinarie e banali. Ad esempio, le relazioni con altre persone richiedono una grande quantità di creatività, poiché si deve creare un frame che sia in grado di integrare le differenze. Un matrimonio felice richiede sicuramente molta creatività.
Gli atti creativi comportano l'inclusione delle differenze. Per includere le differenze, bisogna riconoscerle e ciò implica abbracciare l'autonomia, sia la propria che quella degli altri. Il riconoscimento dell'autonomia costituisce la base della vera moralità, che si fonda sulla nozione che tutte le persone sono uguali. Tale atteggiamento morale è incompatibile con il dominio. Quali cambiamenti nel nostro comportamento sono impliciti in questo atteggiamento morale? Lasciatemi offrire un esempio. Quando litighiamo, cerchiamo spesso di dimostrare che abbiamo ragione e che l'altra persona ha torto. In altre parole, cerchiamo di affermare la nostra posizione dominante. Questo atteggiamento è profondamente radicato nella nostra cultura e nella nostra psiche. L'atteggiamento morale basato sul riconoscimento dell'autonomia richiede una diversa modalità di azione: piuttosto che provare a dimostrare che uno è giusto e l'altro è sbagliato, si dovrebbe cercare di costruire un quadro comune, che integri tutte le differenze come dei casi particolari, cioè, casi veri in condizioni o presupposti specifici. Il vantaggio di questa linea d'azione è affermare le differenze, che arricchiranno e aumenteranno il potere di tutte le parti coinvolte. È una situazione vantaggiosa per tutti.
Se condiviso da tutti i dipendenti, a prescindere dalla diversa posizione nella gerarchia aziendale, questo atteggiamento morale diventa una condizione essenziale per favorire interazioni non gerarchiche tra di loro, una delle condizioni importanti che rendono possibile il processo di creazione. La combinazione delle differenze porta all'emergere di nuovi e più potenti livelli di organizzazione mentale che danno luogo a nuove idee, prodotti, approcci: in una parola, a nuovi valori.
L'emergere di nuovi e più potenti livelli di organizzazione crea una gerarchia. Pertanto, le interazioni gerarchiche hanno un ruolo legittimo da svolgere nel processo di creazione in quanto ‘conservano’ nuovi livelli di organizzazione. Senza tale conservazione, nessuna ulteriore evoluzione sarà possibile. Pertanto, i due tipi di interazioni sono ugualmente importanti. La loro relazione integrale e intrappolata gioca un ruolo essenziale. Il processo di creazione richiede che le interazioni gerarchiche e non gerarchiche siano in equilibrio.
Come si può raggiungere questo equilibrio nel contesto di un'organizzazione aziendale? Quale sarà il mantenimento di tale equilibrio coinvolgere in termini pratici per la relazione tra dirigenti / dirigenti e dipendenti?
Le attuali prospettive sul ruolo della leadership variano ampiamente. Una prospettiva accettata enfatizza il tradizionale approccio di controllo-comando, in cui i dirigenti / dirigenti prendono decisioni e sovrintendono alla loro attuazione. Un'altra prospettiva principale sostiene un ruolo molto più debole per i leader / manager come semplici facilitatori, regolatori o attivatori, che stimolano e favoriscono le interazioni tra i dipendenti. I fautori di questo approccio raccomandano di “rieducare” i manager nei valori e nei meriti della democrazia organizzativa e del volontarismo. Infine, ci sono vari approcci ibridi che offrono diverse combinazioni delle due prospettive.
Gli attuali approcci alla leadership discutono solo di varie forme, che permetteranno che le interazioni gerarchiche e non gerarchiche coesistano tra loro. Non vedono alcun bisogno positivo di una stretta integrazione di questi due tipi di interazioni: tuttavia, poiché l'analisi del processo di creazione mostra che le interazioni gerarchiche e non gerarchiche non si limitano a coesistere tra loro, ma che lavorano insieme e in equilibrio. È, dunque, questo equilibrio che rende possibile la creazione.
Una pratica focalizzata centralmente sul processo di creazione consente di raggiungere e mantenere l'equilibrio tra le interazioni gerarchiche e non gerarchiche-tra leader / manager e dipendenti. Anche se i ruoli di leader / manager e dipendenti differiscono, entrambi sono coinvolti in interazioni gerarchiche e non gerarchiche, il che li rende uguali partecipanti al processo.
I manager fanno affidamento sul potere creativo delle interazioni non gerarchiche, che si traducono in nuovi e più potenti livelli di organizzazione, combinando diversi punti di vista e idee. Il loro ruolo globale come regolatori di queste interazioni implica stimolare, promuovere e promuovere queste interazioni; i tentativi di dominare queste interazioni possono solo ostacolarli e interromperli, rendendo l'intera azienda meno produttiva e sostenibile.
Tuttavia, questo ruolo normativo globale è solo un modo in cui i gestori contribuiscono al tutto. La loro altra funzione è di fornire contributi creativi, che richiede interazioni non gerarchiche.
Un'organizzazione aziendale è un sistema. Per sopravvivere un sistema deve creare nuovi e più potenti livelli e forme di organizzazione e, quindi, evolvere. Se un sistema non si evolve, inizia a disintegrarsi.
Un sistema ha due distinti livelli di organizzazione: locale e globale. Il livello globale dell'organizzazione è essenzialmente un livello normativo che regola il funzionamento dell'intero sistema. Per eseguire questa funzione, i leader / manager devono funzionare a un livello di organizzazione più potente del livello di ogni singolo sottosistema o della loro somma totale.
La conservazione e l'evoluzione richiedono, quindi, l'inclusione e l'equilibrio delle differenze. Pertanto, se il sistema deve sopravvivere ed evolvere, il livello locale e globale deve essere integrato. I dipendenti non possono realizzare tale integrazione. In virtù della loro posizione a livello locale, vedono solo le interazioni locali e non hanno accesso al livello globale. I dirigenti / i dirigenti possono svolgere questo compito poiché possono osservare sia il livello locale che il livello globale delle interazioni.
L'integrazione dei due livelli è possibile solo se quelli a livello locale possono osservare il livello globale. I leader / manager possono fornire tale accesso, rappresentando le operazioni globali in termini di livello locale di organizzazione. Questa rappresentazione richiede la costruzione di un nuovo frame che abbia il potere sufficiente per integrare sia le operazioni a livello locale che a livello globale nei casi particolari, vale a dire casi veri in condizioni o presupposti specifici. La costruzione di una tale cornice è un atto creativo, poiché determina l'emergere di qualcosa che non è esistito prima della sua creazione. Come atto di creazione, richiede interazioni non gerarchiche.
L'accesso al livello globale apre la strada all'adattamento. Adattandosi al livello globale delle operazioni, gli agenti locali possono vedere più possibilità; si arricchiscono e migliorano il loro potere. In altre parole, cambiano in modo positivo. Le loro interazioni arricchite creano nuovi e più potenti livelli di organizzazione e l'intero sistema entra in un nuovo ciclo nella sua evoluzione.
La descrizione sopra mostra che leader / manager e impiegati si impegnano entrambe in interazioni gerarchiche e non gerarchiche. La loro relazione creativa è incompatibile con l'esclusione e il dominio. Richiede cooperazione e stretta interazione tra le due figure nel lavoro creativo comune, che sostiene l'evoluzione dell'intera organizzazione aziendale. Manager e dipendenti sono partner uguali in questo processo. Sono tutti coinvolti in interazioni gerarchiche e non gerarchiche che sono strettamente collegate l'una con l'altra.
Nuovi e più potenti livelli di organizzazione danno origine a nuove idee, prodotti e approcci. La pratica organizzata attorno al processo di creazione sarà in grado di ottenere una produttività molto più elevata. In effetti, può raggiungere una crescita esponenziale che creerà nuovi valori e ricchezza.
Tuttavia, una crescita maggiore e sostenibile non è l'unico beneficio della nuova pratica. Molto più importante è il fatto che, coinvolgendo tutti i membri di un'organizzazione in un lavoro creativo, questa pratica apre la strada a ciascun individuo per gratificare la sua più importante funzione umana: la capacità di creare. L'affermazione, l'empowerment e l'adempimento coinvolti in tale pratica appagheranno questa importantissima funzione e porteranno così a una vita felice, appagante e gratificante, forse l'obiettivo più importante che tutti desideriamo.
Per visualizzare il testo originale dell’articolo: https://intpolicydigest.org/2019/03/03/happiness-at-work-workplace-as-a-source-of-happy-life/
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