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Approfondimento a cura di Marco Magro, formatore AiFOS esperto di APVR e membro del Gruppo di lavoro UNI CT 042/GL 59
Con la diffusione della circolare n. 694 del 24 gennaio 2024 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha creato un dibattito mediatico notevole su un tema da sempre importante per tutti gli operatori del settore, ma spesso dimenticato e lasciato nel cassetto.
Un paio di anni or sono, sul Quaderno AiFOS n.1/2022, avevamo fatto il punto a 10 anni dall’uscita del DPR 177/11 affrontando alcuni temi inerenti alle attività in spazi confinati o sospetti di inquinamento, tralasciando quanto sembrava già chiaro a chi opera con serietà nel settore specifico da anni. Il recente intervento dell’Ispettorato fa capire che aleggiano ancora molti dubbi sul Decreto del Presidente della Repubblica che aveva definito i requisiti per operare all’interno di questi luoghi.
Nella Nota emanata all’inizio dell’anno, vengono analizzati alcuni passaggi del DPR 177/11 ribadendo quanto siano importanti le indicazioni riportate nel Decreto stesso, per aumentare il livello di attenzione che deve essere riposto nelle attività svolte in ambienti confinati o sospetti di inquinamento. Di seguito i passaggi sui quali viene posto l’accento:
Fino a questo punto vengono evidenziate caratteristiche essenziali, ovvero requisiti, individuati dal DPR 177/11 che, secondo il legislatore, sono imprescindibili per poter operare mantenendo quell’elevato livello di attenzione, esperienza, competenza necessari per queste particolari attività. Questa parte completamente condivisibile, non varia quanto espresso tramite il decreto.
Poi però la nota “scivola” in una serie di contraddizioni che generano confusione in chi legge e che deve interpretare per poi mettere in atto quanto scritto.
Prima della nota dell’ispettorato era abbastanza chiaro che, in presenza di appalti per l’esecuzione di lavori in ambienti confinati e/o a rischio di inquinamento, è necessaria la certificazione dei contratti di lavoro per il personale utilizzato dall’appaltatore qualora i lavoratori impiegati non abbiano un contratto da dipendente assunto a tempo indeterminato. Infatti al comma 2 dell’art.2 troviamo: “In relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni e integrazioni. Le disposizioni del presente regolamento si applicano anche nei riguardi delle imprese o dei lavoratori autonomi ai quali le lavorazioni vengano subappaltate”.
Con la Nota INL n.694 viene indicato: “Inoltre, nel caso in cui l’impiego del personale in questione avvenga in forza di un contratto di appalto, occorrerà certificare i relativi contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore – ancorché siano contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato – ma non certificare anche il contratto “commerciale” di appalto”. Interpretando testualmente, abbiamo una situazione opposta a quella indicata nel DPR, ovvero non è necessario certificare il contratto commerciale tra committente e appaltatore, ma devono essere certificati i contratti di lavoro di tutto il personale utilizzato dall’appaltatore anche se assunti con contratto a tempo indeterminato. Riporto quanto indicato all’art.2 comma 1c del DPR 177/11 che contrasta con quanto citato della nota: “… assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.
Poco dopo, la nota INL, contraddice apparentemente quanto sopra indicato: “Se dunque l’intento del legislatore era quello di rendere obbligatoria la certificazione dei contratti di lavoro in tutte le ipotesi di esternalizzazione dell’attività produttiva – ivi compresi i contratti di appalto e non solo di subappalto – lo avrebbe previsto in maniera esplicita”.
Come può essere che, la stessa circolare, indichi prima che tutti i contratti di lavoro del personale impiegato dall’appaltatore che svolge attività in ambienti confinati o sospetti di inquinamento devono essere certificati, e poi scriva che se, l’intento del legislatore fosse stato quello di rendere obbligatoria la certificazione, lo avrebbe previsto in maniera esplicita?
Tralasciando l’uso errato della lingua italiana, ci troviamo con un ennesimo documento che crea ed alimenta la confusione già presente sul tema degli ambienti confinati o sospetti di inquinamento che, continuano a mietere vittime sia nelle aziende famigliari e/o di piccole dimensioni, sia nelle aziende più strutturate.
Le circolari dovrebbero aiutare gli utilizzatori dipanando dubbi interpretativi, senza creare confusione dove non vi era e anzi, ponendo frasi in contrapposizione l’una con l’altra!
Fino al 5 gennaio 2024 UNI ha reso disponibile in consultazione pubblica i lavori della commissione tecnica 042/GL59 che si è occupata del progetto UNI1607706 “Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento – Criteri per l'identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi”. Lo scopo di questo documento è quello di fornire uno strumento per accompagnare i datori di lavoro committenti:
Il lavoro della commissione non vuole e non può sostituire la legislazione vigente ma, come sopra indicato, vuole aiutare coloro che si occupano della gestione di spazi confinati e/o sospetti id inquinamento ad impostare l’attività affinché vengano prese le dovute considerazioni per evitare gli incidenti.
Nell’appendice A del citato documento viene riportato un elenco non esaustivo dei fattori di rischio e delle situazioni pericolose che possono essere d’esempio per valutare i rischi connessi all’attività specifica; inoltre nel capitolo della valutazione dei rischi viene fornito un elenco di informazioni da includere nella valutazione per supportare il processo cercando di analizzare e valutare tutte le variabili che ne prendono parte.
All’interno del documento tecnico viene dato particolare risalto anche agli aspetti operativi fornendo un supporto per determinare le varie fasi sia a livello generale che in dettaglio.
Oltre ai criteri per l’individuazione delle attrezzature, dei DPC e DPI, viene fatto un focus sui compiti dei lavoratori impiegati nelle attività, sia sulle conoscenze che devono avere che sulle modalità operative che devono attuare.
In tutto il documento viene comunque ribadito più volte, che l’attività deve essere effettuata di concerto fra tutte le figure previste dal Testo Unico sulla Sicurezza: dal datore di lavoro, dall’RSPP, dal medico competente, dall’RLS, dall’eventuale Rappresentante del Committente e dalle aziende in appalto. Questo per operare con l’obbiettivo comune di ridurre ad un rischio accettabile il lavoro in spazi confinati e/o sospetti di inquinamento, valutando correttamente l’attività e predisponendo procedure e misure di mitigazione per la riduzione del rischio.
A seguito dell’inchiesta pubblica appena conclusa sul documento finale redatto dalla commissione tecnica, sono giunti numerosi commenti ad indicare l’attenzione che molti operatori seri del settore pongono in un argomento come questo. A mio parere molti commenti sono sensati e saranno presi in considerazione prima della pubblicazione definitiva della norma tecnica.
Non è per esempio auspicabile, porre dei tempi per il recupero delle persone all’interno di questi luoghi in primis perché ogni ambiente confinato e/o sospetto di inquinamento è completamente differente dagli altri, se non unico per forma, composizione, pericoli e per le attività che vi si deve svolgere. Inoltre gli operatori possono avere conoscenze e competenze differenti, magari sufficienti per quello spazio e per quella attività ma non per uno spazio paragonabile e con attività differenti. Durante la fase di progettazione dell’intervento, gli attori, potranno sicuramente determinare i tempi di intervento specifici caso per caso per l’emergenza, ma non è possibile farlo a priori generalizzando per esempio che per un’attività in un serbatoio orizzontale con passo d’uomo da 80cm di diametro è necessario intervenire in 3 minuti.
Molti commenti fanno riferimento al fatto che all’interno del documento non vengono riportati per esempio i criteri per operare negli spazi confinati. Come sopra indicato e ben specificato all’interno della norma tecnica, i criteri imposti per esempio dal DPR 177/11 sono imprescindibili: il preposto deve avere 3 anni di esperienza come il 30% della forza lavoro impiegata per l’attività. Questo documento non si vuole sostituire alla vigente normativa ma vuole solo affiancarla cercando di facilitare l’attività al datore di lavoro committente che, visto i continui incidenti, probabilmente ha necessità di una “linea guida”.
Ancora spesso sento citare l’aspetto geometrico dello spazio oggetto di valutazione, per esempio: spazio chiuso, accesso difficoltoso, …quindi spazio confinato. Pongo sempre una riflessione di fronte alla limitazione geometrica o di accesso: prendiamo per esempio la copertura dell’edificio dove risiede l’attività. Il datore di lavoro deve valutare i rischi derivanti, per esempio, dall’attività di manutenzione di un’antenna e/o un camino, nella valutazione dei rischi deve prendere in considerazione la possibilità che accorra un infortunio e/o un malore all’operatore e che questo debba essere soccorso. Ipotizzando l’accesso difficoltoso e il tetto piano con un parapetto in cemento che gira attorno (assimilabile ad una vasca), dobbiamo considerarlo spazio confinato? Sicuramente il Datore di Lavoro dovrà predisporre idonee procedure per intervenire in caso di emergenza per portare soccorsi all’infortunato ma non dovrà sicuramente avere i criteri definiti dal DPR 177/11 o classificarlo come spazio confinato.
Come riferito poco fa, il documento vuole essere uno strumento per aiutare nella gestione degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento, perché ancora oggi molte aziende non hanno ben chiaro come comportarsi o gestire queste attività. Ad esempio nei casi di serbatoi e reattori che necessitano di attività di manutenzione, è ancora uso comune che il personale entri in questi spazi senza l’uso di procedure, requisiti e formazione. Non è sufficiente pensare, al giorno d’oggi, che per intervenire basti pulire l’attrezzatura con acqua e tenere aperto il passo d’uomo, senza formare persone perché sono sempre entrate modificando l’operatività inserendo un sistema per far circolare l’aria. Purtroppo ancora troppe realtà sia grandi che piccole, non hanno la sensibilità di capire che se non è accaduto nulla fino a quel momento è solo fortuna e non è possibile credere che vada sempre allo stesso modo.
Quello che emerge e che non è una questione di esperienza lavorativa o di conoscenza della norma, quanto piuttosto un problema culturale che predilige l’abitudine e la velocità di portare a termine un lavoro, senza pensare troppo, cercando di trovare scorciatoie, perché si crede che indossare i corretti DPI, utilizzare idonee attrezzature, seguire delle procedure, formarsi per accrescere la competenza siano perdite di tempo.
Questo aspetto culturale italiano, oltre alla poca attenzione e a volte competenza del legislatore, come si evince dalla circolare sopra commentata, fanno “cadere le braccia”; ci troviamo con i vertici di moltissime aziende (amministratori, titolari, dirigenti… nda) che spesso non sono correttamente informati, perpetuano le attività da anni come se tecnologia, innovazioni, buone prassi non esistessero; nessuno ha ancora trovato un canale comunicativo con queste figure tant’è che non cambiano le loro modalità lavorative e spesso chi ne fa le spese sono i lavoratori. Questi ultimi spesso non sono completamente innocenti infatti, per assecondare le richieste dei vertici aziendali, continuano a lavorare con le stesse modalità anche se qualche indicazione durante i corsi di formazione gli viene data, ma poi cancellata perché è più facile continuare come hanno sempre fatto piuttosto che iniziare un percorso di cambiamento che potrebbe anche portare a discutere e confrontarsi con i vertici.
Questo è un circolo vizioso che dovrebbe essere modificato in primis dal legislatore con indicazioni chiare e precise, senza contraddizioni tra un paragrafo e quello successivo, senza scrivere in modo generico e generalista che non porta alla definizione di indicazioni che possano essere utili ai lavoratori e datori di lavoro.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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