/ News / Approfondimenti / APVR: dalla valutazione del rischio alla scelta dei dispositivi grazie al fit test
Le indicazioni di Marco Magro, socio AiFOS e componente gruppo di lavoro UNI Dispositivi di protezione delle vie respiratorie
Si è parlato molte delle novità che hanno modificato il Testo Unico introdotte a fine anno: nei mesi passati abbiamo visto una serie di articoli che si soffermavano sui preposti, sull’ampliamento delle competenze dell’ispettorato nazionale del lavoro, l’addestramento sul luogo di lavoro. Molto poco è stato scritto su un aspetto che modifica pesantemente l’organizzazione delle aziende dove vengono utilizzati dei DPI per il respiro, dal facciale filtrante al dispositivo per la fuga.
Perché un argomento così specifico deve essere di interesse per i consulenti? Semplicemente perché il nostro lavoro è quello di indirizzare il management delle aziende verso la conformità legislativa con un particolare riguardo all’organizzazione e all’ottimizzazione delle attività. L’applicazione della norma, in questo caso specifico, ha un impatto notevole sulle aziende ed è necessario progettare gli interventi per evitare sprechi, errori o semplificazioni; il consulente è la persona indicata per aiutare le società ad affrontare questa nuova sfida.
La Legge n.215 del 17/12/21 conversione in legge del D.Lgs. 146 del 21/10/21 recante misure urgenti in materia economica e fiscale a tutela del lavoro pubblicata in GU n.301 del 20/12/21, ha modificato anche l’articolo 79 del D.lgs. 81/2008 relativo ai criteri per l’individuazione e l’uso dei DPI.
In particolare è stato inserito il riferimento all’automatico aggiornamento alle più recenti norme tecniche, superando quanto indicato nel DM 1° giugno 2021, contenente il riferimento ad alcune specifiche norme UNI, oggi sostituite o modificate come risulta dal sito dell’UNI:
Va evidenziato, tuttavia, che esprimendo gli aggiornamenti l’adeguamento alla evoluzione della tecnica, le innovazioni, di fatto, venivano già in passato recepite tempestivamente al momento della loro adozione.
I riferimenti normativi nel D.Lgs. 81/08 impattati da questa modifica sono diversi:
- l’art. 76 comma 2 punti c) e d), definisce l’obbligo del Datore di Lavoro di tenere in considerazione i requisiti di ergonomia del Dispositivo di Protezione Individuale e verificare che questo si adatti correttamente al lavoratore dopo le necessarie verifiche e adattamenti al volto, lo stesso viene sottolineato anche dalla Direttiva 89/656/CEE art. 4 punto c) e d) ora sostituita dal Regolamento UE 2016/425;
- l’art. 77, comma 5, sempre del D. Lgs.81/08 definisce che con l’addestramento il DPI deve essere adeguato, corretto per il rischio presente e idoneo a fornire un’adeguata protezione al lavoratore che lo indossa;
- l’art. 79 del D.Lgs. 81/2008 in materia formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti nell’utilizzo dei DPI – in particolare si riferisce ai criteri per l’individuazione e l’uso degli stessi. L’accento viene posto sulla necessità di individuare le modalità di verifica finale di apprendimento al termine dei percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di sicurezza e salute sul lavoro e “della modalità di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa”;
La norma UNI 11719 del giugno 2018 diventa quindi cogente come strumento per definire e attuare un programma di protezione delle vie respiratorie, fornendo criteri di scelta, uso, cura e manutenzione degli APVR, già richiamati nella EN 529:2006.
Poiché esistono ambienti di lavoro molto differenti tra loro dove le condizioni e le esigenze di protezione cambiano in funzione degli specifici ambienti, la valutazione del rischio non può che essere effettuata caso per caso. Un'attenta e specifica valutazione del rischio permette quindi di identificare l'APVR più idoneo al singolo caso. Molto spesso si tendeva a fornire un DPI per la protezione delle vie respiratorie anche quando non era essenziale, spesso iper-proteggendo il lavoratore e, in alcuni casi, sottoponendo lo stesso ad uno sforzo maggiore per respirare. Attualmente l’assegnazione del DPI ai lavoratori per il quale non è necessario, comporterebbe l’inserimento di questi ultimi nel programma di gestione, con le conseguenti attività anche nei loro confronti aumentando, in funzione del numero, le incombenze a carico dell’organizzazione.
Nella norma viene identificato il programma di protezione delle vie respiratorie articolato in diverse fasi che, partendo dalla nomina del responsabile del programma, prevede poi l’elaborazione del registro, la scelta dell’idoneo APVR, l’addestramento, l’adattabilità e adeguatezza, la manutenzione e l’immagazzinamento.
In riferimento all’adattabilità (anche chiamato Fit Test) la norma fa riferimento a due metodologie principali: qualitativo e quantitativo.
Il fit test qualitativo è una prova di tipo passa/non passa e si basa sulla percezione soggettiva del portatore di fughe nella zona di contatto tra il viso ed il facciale riscontrabili tramite l’agente di prova. La prova può essere eseguita su semimaschere filtranti e su semimaschere equipaggiate con un filtro antipolvere o combinato.
Il fit test quantitativo fornisce una stima numerica del fattore di tenuta. Si differenziano tre metodi: camera di prova, conteggio delle particelle e pressione negativa. Questi metodi di prova, attraverso un valore numerico, restituiscono il risultato sotto forma di fit factor. Non tutti i metodi possono essere applicati ai facciali filtranti. Il test viene superato quando i fattori di tenuta superano i valori previsti dalla norma.
Ognuno di noi ha un viso differente per forma per caratteristiche per dimensioni: chi ha il viso magro e allungato, chi il naso prominente, chi una cicatrice, siamo tutti diversi. I dispositivi al contrario sono prodotti in serie quindi per definizione uguali. È fondamentale avere la certezza che ogni viso si adatti al dispositivo. Per una efficace protezione non bisogna limitarsi all’individuazione del tipo di respiratore e al corretto sistema di filtraggio, ma verificare anche che il dispositivo garantisca una corretta tenuta al viso di chi lo indossa.
L’adattabilità deve essere verificata a tutti i lavoratori e per tutte le tipologie di dispositivi di protezione delle vie respiratorie da essi utilizzati. Questa attività può essere eseguita in diversi momenti: fase preventiva prima dell’assegnazione, fase formativa e/o addestrativa, fase operativa con l’assegnazione del DPI. Sarà onere del responsabile del programma definire il momento adatto in funzione dell’organizzazione nella quale opera.
Le attuali norme per i Fit Test non richiedono che i Fit Tester (coloro che eseguono i test) siano certificati, ma occorre che posseggano le competenze per svolgere il test, saper insegnare a indossare i respiratori correttamente, saper riconoscere i test non validi e saper pulire e mantenere in modo corretto le maschere per la protezione delle vie respiratorie. Tuttavia, in alcuni Paesi sono disponibili schemi di valutazione per le competenze dei Fit Tester, ad esempio nel Regno Unito il Fit2Fit del BSiF (British Safety Industry Federation); anche in Italia si utilizza questo schema di accreditamento e sono disponibili le prime persone certificate che hanno superato la sessione d’esame dimostrando le loro competenze per il metodo scelto.
Di seguito evidenziamo i punti rilevanti dell’esecuzione del fit test:
Per i datori di lavoro ha diversi aspetti importanti:
Secondo quindi la vigente normativa, data dalla norma tecnica più attuale, le azioni che devono essere intraprese dalle aziende sono varie e toccano diversi ambiti all’interno della struttura: gestione risorse umane, servizio di prevenzione e protezione, programmazione attività, valutazione eventuali fornitori e/o qualificazione personale interno. Diventa fondamentale saper gestire il processo ottimizzando le varie fasi e programmando le attività.
Pubblicato il: 26/08/2022
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