/ News / Approfondimenti / Che genere di formatore sei? Il percorso di formazione dei formatori come crescita della consapevolezza di sé
Da Socrate al Vangelo secondo Matteo: riflessioni e spunti di miglioramento di Claudia Nicolò e Monica Galli
“A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere
nell'essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non
dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d'esser confutato con un piacere
non minore di quello che prova confutando.”
Socrate
[Claudia] “Come imprenditrice e come formatrice, in prima persona, più o meno consapevolmente, mi sono da sempre posta la domanda: "Chi sono, quali capacità ho, quali vorrei o dovrei avere per compiere al meglio il mio ruolo?". Spesso le risposte che mi sono data non mi sono state d’aiuto perché ponevo sempre l’enfasi su ciò che mi mancava, ciò che non ero e che avrei dovuto essere, secondo un immaginario forse imposto dalla società ma molto più probabilmente creato da me. Come organizzatrice di corsi, e come corsista mi sono trovata a dover valutare docenti, notando come, fra i docenti che ho preferito, nonostante stili molto diversi fra di loro, ognuno di loro riusciva ad essere perfetto ed unico per quello che era. Eh sì, in alcuni casi ho apprezzato anche docenti che tenevano lezioni frontali, nonostante io per attitudine preferisca un approccio più interattivo ed esperienziale. Questo ha attivato in me una serie di riflessioni e considerazioni sul ruolo del docente e sulle caratteristiche "vincenti" del buon formatore”.
[Monica] “Secondo la mia esperienza, per poter essere formatori l’indispensabile stato di partenza è sapere dare forma a se stessi, non una forma stabile e sempre uguale, ma una forma dinamica basata sulla consapevolezza di ciò che si è e di ciò che si sa, e saperla rimaneggiare per esprimere entrambe le parti al meglio. In aula il formatore è esempio, di una delle infinite modalità di esserlo, ma resta e deve restare un esempio, qualcuno o una modalità, con cui i partecipanti si devono confrontare. Qui inizia il primo vero lavoro d’aula, ovvero fare in modo di non creare dei replicanti, ma far accendere quella scintilla, quell’intuizione, per cui ognuno comincia a scoprire il proprio talento, quel "quid" su cui cominciare a lavorare, affinché possa prendere forma, una nuova forma. Certo non ci si arriva senza riflettere e senza dare il giusto peso alle proprie aspettative, che molto spesso (e sto pensando alle mie) hanno gravato sulla mia autostima come macigni”.
Se restiamo agganciati all’etimo, essere formatore vuol dire essere colei o colui che dà una forma. Ma a che cosa? La risposta potrebbe essere che dà una forma alle conoscenze già possedute, anche attraverso, ad esempio, il metodo maieutico, come modalità per “partorire” quindi tirar fuori da sé le proprie conoscenze e risorse interne già presenti, o che ne introduca di nuove. Niente di più semplice da dire ma contemporaneamente complesso da fare. La complessità sta nel fatto che si aprono contemporaneamente infiniti piani di azione, di osservazione, di conoscenza e di riconoscimento.
Il corso di Formazione Formatori è un grande laboratorio per poter sperimentare l’aula (fisica o virtuale), proprio perché è formazione che parla e riflette su se stessa. Il formatore diventa in questo caso sia facilitatore che oggetto della formazione stessa, proprio attraverso il suo esserci e il suo agire. Avere un modello iniziale come punto di riferimento è un elemento importante nel percorso perché naturalmente per formare non basta conoscere la materia e saperla comunicare, ma bisogna saper entrare in contatto con l’aula, come gruppo, e anche con il singolo individuo e saper valorizzare sia la dimensione gruppale che quella individuale. Il formatore diventa punto di riferimento metodologico, e il partecipante cerca di capire come assomigliarli, tanto più quando il docente lo colpisce.
Questa operazione in realtà porta con sé anche un elemento negativo, che è la frustrazione. È capitato diverse volte che i corsisti, soprattutto in una fase iniziale del percorso per diventare formatori, non si ritenessero all’altezza dei docenti che incontravano. Naturalmente ognuno di loro aveva un preferito, che riteneva potesse essere un modello da replicare. Inutile dire che la replica non dava mai i risultati sperati. Finché si cercherà di replicare un’altra persona diversa da se stessi, si andrà incontro all’insuccesso, perché nessuno di noi è uguale a qualcun altro.
Il formatore sarà all’altezza del suo ruolo quanto più supporterà i partecipanti a cogliere quelle parti in cui si riconoscono maggiormente ma a rielaborarle a proprio modo, dando quindi ascolto e spazio al proprio daimon, quel genio innato che ogni persona possiede in quanto “portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta” (Il Codice dell’Anima – James Hillman).
Come può iniziare questo percorso di rielaborazione per poter imparare a vivere a proprio modo il ruolo del docente?
Il formatore deve essere consapevole delle proprie risorse, della loro quantità e profondità. La consapevolezza del possesso delle competenze è un atto maturo, basato sull’autoriflessione, come ascolto di sé e sui feedback che arrivano dall’esterno. E questa autoconsapevolezza dei propri “talenti” rende il formatore abile a riconoscere anche quelli degli altri. Come talento non si intende solo quella qualità innata che ad esempio, possiedono gli artisti, quella qualità per cui sono riconosciuti dal mondo come artisti, ma quell’insieme di caratteristiche che fanno di ogni persona un essere particolare, un essere speciale, diverso da chiunque altro. Il talento inoltre, oltre ad essere riconosciuto, deve essere coltivato e offerto agli altri, solo così potrà prosperare, proprio come raccontato nella parabola dei talenti (Vangelo secondo Matteo, 25:14-30), dove solo chi ha investito sui propri talenti ricevuti in dono li ha visti prolificare e per questo è stato premiato.
Nelle ore di aula ed in qualsiasi percorso formativo si possono individuare i talenti degli altri. Ma il potenziamento arriva quando sono i partecipanti stessi ad iniziare a riconoscere i propri. Il percorso di formazione formatori è quello che per eccellenza lavora sulle competenze ed il riconoscimento di esse, attraverso una giusta dose di teoria sostenuta da una abbondante dose di pratica. L’aula è un luogo protetto, dove si può fare esperimento ed esperienza reciproca o per osservazione. È l’unico luogo dove si può sbagliare senza fare danni. Dove si può imparare dai propri errori senza creare un problema, come invece potrebbe accadere nella realtà. È il luogo dove nessuno può esprimere un giudizio di valore o di merito, nemmeno il formatore. Non è raro infatti che le persone, dopo essersi messe in gioco, dopo essersi sperimentate, si confrontino con qualcosa di diverso da quello che si aspettavano, attraverso i commenti e le osservazioni da parte dei compagni e del docente.
Questo è possibile solo perché si sono messe in gioco, hanno sperimentato e si sono confrontate con i pari. Senza questi ingredienti non ci sarebbe stato quell’aumento di consapevolezza, da cui un buon formatore deve partire.
Da questo processo vengono fuori punti di forza e aree di miglioramento, ma non è solo su queste categorie che bisogna soffermarsi. La parte più interessante è la capacità di tirare fuori la diversità di ognuno, lo stile proprio, la propria modalità unica di comunicare, il proprio carattere. Solo essendo consapevole di sé, accettando se stesso, il formatore può avere successo.
Quando in comunicazione si parla di coerenza, non si parla solo di canali verbali, paraverbali e non verbali, ma di quanto una persona riesca a essere credibile, e riuscirà a esserlo, quanto più starà nei
suoi panni e non cercherà di indossare quelli di altri. Il formatore dei formatori deve facilitare il processo per cui i suoi corsisti riescano a essere loro stessi in aula, con competenza, passione e tecnica. Se l’allievo formatore riuscirà a crescere in tal senso riuscirà poi a costruire quel senso di fiducia con l’aula, e conoscendo meglio se stesso, riuscirà sicuramente a comprendere meglio gli altri. L’aula può perdonare la noia, ma non perdona mai la poca autenticità quando la riconosce.
La classe è il luogo da cui i partecipanti dovrebbero uscire sempre con qualcosa in più, in meglio o di diverso. Un luogo da dove dovrebbero uscire differenti da come sono entrati, con una consapevolezza maggiore ed una scelta in più: una nuova modalità di essere, che non pensavano di avere quando avevano iniziato e che realizzano di avere sempre avuto durante la sperimentazione.
Che cos’è questo qualcosa in più? Difficile da dire prima di aver avviato questo processo, ma bisogna essere pronti a coglierlo quando si realizza e come uno specchio farlo risaltare per restituirgli il vero valore che ha.
E tu che genere di formatore sei?
“La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel vostro cuore. Chi guarda all’esterno, sogna. Chi guarda all’interno, apre gli occhi.”
Carl Gustav Jung
Pubblicato il: 25/05/2022
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