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Giornale dei RSPP di novembre 2020. L'editoriale di Matteo Fadenti
L’abbiamo detto e l’abbiamo scritto più volte. A dire il vero non c’è nemmeno bisogno di dirlo, in questo periodo tutti, purtroppo, hanno capito quanto un virus possa essere dannoso, non solo per la salute delle persone, ma anche per l’economia.
Difendersi dal rischio biologico, nella vita così come sul lavoro, non è facile, perché si deve combattere spesso contro un nemico invisibile.
Allora dovremmo ricordarci di quanto sia importante la prevenzione, di quanto a volte costi fatica, ma anche quanto serva per proteggerci da danni molto più grandi. Questo è un concetto che chi lavora nel mondo della sicurezza sul lavoro, come un RSPP, dovrebbe conoscere bene.
Nella vita e nel lavoro è fondamentale fare prevenzione, è fondamentale valutare il rischio per disporre delle misure di prevenzione e protezione, è essenziale imparare dal passato per non commettere più gli stessi errori (quanto è importante l’analisi dei near miss per l’aggiornamento del DVR?).
Eppure sembra che l’essere umano non riesca ad imparare, sembra che la prevenzione non ci appartenga e soprattutto sembra che la storia continui a ripetersi.
Difatti le epidemie hanno avuto effetti devastanti sulle persone attraverso la storia. Raccontare alcune patologie del passato forse potrebbe essere utile per farci capire come affrontare il Covid-19 (o come avremmo dovuto affrontarlo dall’inizio) nella vita e (dove più interessa ad un RSPP) nel lavoro. Non solo il Covid-19, studiare e capire le epidemie passate ci permette di gestire meglio il rischio biologico nei luoghi di lavoro, anche quando questo non è un rischio diretto.
Allora proveremmo ad analizzare 4 storie di epidemie più o meno lontane per carpire informazioni che oggi possono tornarci molto utili.
La prima storia ad insegnarci qualcosa è quella del vaiolo. Il virus Variola (facente parte della famiglia Poxviridae) era un virus a DNA rivestito trasmissibile per via aerea e per contatto con materiale infetto (come il Sars-Cov-2). Le stime più recenti indicano che solo durante il XX secolo, oltre 300 milioni di persone sono morte di vaiolo. Nonostante questo nel 1980 l’OMS dichiarò il vaiolo definitivamente debellato. Come mai? Cosa accadde? Il merito fu del vaccino, che rese tutta la popolazione mondiale immune dal virus e bloccandone quindi la trasmissione e la replicazione la malattia scomparì. Il vaccino del vaiolo fu il primo inventato nella storia (1796), e venne creato da un medico di nome Edward Jenner. Jenner durante la sua attività osservò che le persone che si ammalavano di vaiolo bovino guarivano più facilmente di quelle che si ammalavano di vaiolo umano. Soprattutto notò che le persone che guarivano dal vaiolo bovino, non si ri-ammalavano, nemmeno di vaiolo umano.
Da qui nacque l’idea di iniettare in un bambino (il figlio del proprio giardiniere) il materiale prelevato dalle pustole di una persona ammalata di vaiolo bovino. Questo fece ammalare il bambino, che però, come previsto, riuscì a guarire. Successivamente, una volta guarito, Jenner gli somministrò nuovamente il materiale prelevato da delle pustole, questa volta però di un paziente malato con vaiolo umano. Come il medico si aspettava il bambino non si ammalò, poiché la prima infezione lo aveva reso immune al vaiolo.
Questa prima storia ci fa capire quanto è importante la prevenzione primaria, in questi casi rappresentata dal vaccino. Anche per il Sars-Cov-2, la speranza è che la svolta sia rappresentata proprio da questo (seppur per il Covid-19 probabilmente succederà quello che accade per l’influenza). Anche nel luogo di lavoro, per alcune mansioni, la vaccinazione è uno strumento essenziale e spesso obbligatorio (vedi antitetanica in molte mansioni o antiepatite o tubercolina nel settore sanitario). In questo caso si ricorda l’importanza della collaborazione del medico competente nella stesura del DVR.
La seconda storia di questo articolo è sulla febbre gialla. Il virus della febbre gialla appartiene alla famiglia dei Flaviviridae ed è un virus rivestito ad RNA. Si trasmette a causa della puntura delle zanzare che ospitano il virus al loro interno (zoonosi). In genere, le persone colpite, si presentano con una lieve malattia simil-influenzale, con sintomi come febbre, brividi, affaticamento muscolare, e mal di testa, così come perdita di appetito e nausea. Tuttavia, in circa il 15% dei casi la malattia si diffonde al fegato, portando a danni ai tessuti causando una carnagione gialla, da cui il nome. La malattia ha avuto origine in Africa, e all'inizio del XVII secolo, si diffuse nelle Americhe attraverso la tratta degli schiavi. Oggi, oltre 200.000 persone in tutto il mondo vengono ancora infettati ogni anno dalla febbre gialla, e circa 30.000 di loro muoiono a causa della malattia. Nella storia di questa malattia ci fu un evento curioso. Dopo la colonizzazione francese delle zone di Haiti (nel nuovo mondo), tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 gli schiavi della zona si ribellarono ai conquistatori francesi. Louverture (a capo della rivolta) si proclamò governatore de facto di Haiti e governatore generale dell'isola. Napoleone Bonaparte, per paura di perdere il dominio francese nell'area, inviò suo cognato, il generale Victoire Emmanuel Leclerc, con 30.000 soldati francesi esperti, per porre fine alla rivolta. Gli schiavi combatterono ferocemente contro le truppe francesi, ma inizialmente sembrava dovessero avere la peggio. Tuttavia, sorprendentemente, a decidere le sorti della guerra furono le zanzare portatrici del virus della febbre gialla. Infatti il 90% dell'esercito francese morì proprio a causa della febbre gialla, nello specifico a causa di una forma della malattia virale acuta trasmessa dalle zanzare, che molti degli schiavi avevano già passato e alla quale avevano ottenuto immunità.
Questa storia ci insegna che oltre ai vaccini, il nostro sistema immunitario si può creare una memoria grazie alle infezioni avvenute, che non hanno avuto però un esito infausto.
Questo spiega come a volte alcuni popoli siano più resistenti ad alcuni microrganismi di altri poiché magari hanno già avuto esposizione al virus o ad un virus simile che crea cross reattività nel sistema immunitario.
Questo nel mondo del lavoro si traduce nell’attenzione che l’RSPP, il medico competente ed il datore di lavoro devono avere con i lavoratori che si devono recare all’esterno, magari in zone dove sono presenti patologie diverse da quelle a cui siamo abituati.
La terza storia che si riporta è quella riferita ad Ebola. Il virus Ebola è un membro della famiglia dei Filovirus. È un virus rivestito ad RNA. Il serbatoio in natura del virus sono i pipistrelli ed altri animali selvatici. I primi uomini a contaminarsi furono i cacciatori e le persone che macellavano le carni di animali selvatici. Si trasmette dagli animali all’uomo con il contatto del sangue infetto e altri fluidi biologici (anche dopo che l’animale è morto).
I primi casi di malattia da virus Ebola sono stati segnalati nel 1976, nel Sud Sudan, e nello Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo. Poi improvvisamente, nel 2014, per la prima volta nella storia, Ebola si presentò come un'epidemia violenta, in piena regola, divampando in Africa occidentale e anche in altri continenti.
In quell’anno sono stati segnalati 28.616 casi di Ebola, con oltre 11.300 morti, situati nei paesi di Guinea, Liberia e Sierra Leone. Tuttavia, dalle prime avvisaglie, passarono settimane prima che l'epidemia fosse riconosciuta, e quando ciò avvenne era troppo tardi, il virus circolava già da tempo ed era fuori controllo. I governi per paura di ripercussioni non fecero subito uscire la notizia e questo permise al virus di trasmettersi con più facilità. Le cause principali dello scoppio dell’epidemia del 2014 furono:
Questa storia ci fa capire diverse cose, che un virus già presente in natura potrebbe creare delle epidemie in momenti diversi a causa della comparsa di situazioni favorevoli, l’importanza delle misure igieniche (lavaggio mani e DPI) e quanto siano determinanti gli spostamenti delle persone nelle pandemie.
Chissà che già questi eventi potessero far capire l’importanza della sanificazione e dell’indossare certi DPI in alcuni ambienti come gli ospedali. Ora forse Covid-19 è riuscito a farci capire che gli infermieri di un pronto soccorso potenzialmente potrebbero essere esposti a qualsiasi cosa, e che quindi in questi ambienti si dovrebbero sempre indossare certi DPI e seguire certe procedure.
La quarta ed ultima storia è invece riferita all’influenza, malattia di cui all’inizio dell’epidemia di Covid-19 si è tanto parlato (si diceva dalle prime indagini che Covid-19 fosse molto simile ad una forte influenza) e di cui si parla (anche se la percezione del rischio nei suoi confronti era molto bassa) ogni stagione autunno/inverno.
I virus dell’influenza fanno parte della famiglia degli Orthomyxoviridae, sono virus rivestiti ad RNA (con 8 filamenti). Si trasmettono per via aerea, in modo molto simile a quanto succede con il Sars-Cov-2. Molti non sanno che il serbatoio naturale dell'influenza, sono gli uccelli acquatici (come le anatre), dove generalmente infetta il loro intestino. Questo virus ha due tipologie di proteine spike che usa per entrare nelle cellule, chiamate H ed N. Ci sono diverse varianti di H ed N, finora sono state identificate 17 varianti H e 9 varianti N.
Se è un virus tipico degli uccelli acquatici, come fa ad arrivare all’uomo? Quando gli uccelli acquatici migrano, mentre volano defecano, e questo provoca la diffusione di virus influenzali nell’ambiente. Inoltre visitano anche stagni e ruscelli vicino a fattorie e villaggi, dove entrano in contatto con il pollame domestico, infettando polli, anatre e tacchini in libertà e domestici.
Questi animali domestici, che presentano sintomi, possono andare in contatto con altri animali, come ad esempio i suini nelle aziende agricole. Infatti i maiali hanno due forme di acido sialico sulle cellule dei polmoni. Uno è esattamente lo stesso del recettore per uccelli, mentre l'altra è una variazione dell'acido sialico che è diverso ma notevolmente simile a quello che si trova nei polmoni degli esseri umani. Questo fa si che quando il virus entra nel maiale muta e diventa in grado di infettare l’uomo. Questo processo di adattamento attraverso la mutazione del virus degli uccelli al virus modificato in grado di infettare l'uomo è indicato come deriva genetica.
La storia di come il virus influenzale passa dall’animale all’uomo, ci fa capire che spesso i virus derivano proprio dagli animali selvatici (come Ebola e Sars-Cov-2) e che questo avviene grazie ad un ospite intermedio, come i suini per l’influenza.
Questo aspetto ci insegna l’importanza della derattizzazione e disinfestazione nei luoghi di lavoro (non solo nelle industrie alimentari). Ratti, insetti, piccioni possono portare nell’ambiente di lavoro il rischio biologico. Nel valutare i rischi si deve andare a valutare anche questo aspetto.
Nelle aziende agricole soprattutto, gli RSPP devono ricordare che il contatto con gli animali di per sé è un rischio biologico. Ecco perché in queste fasi si devono rispettare certe procedure e indossare adeguati DPI. Non solo, è importantissimo che gli animali da fattoria, vengano tenuti nelle condizioni igienico sanitarie migliori possibili, senza che vengano a contatto con animali selvatici (poiché questo potrebbe diventare appunto un problema per i lavoratori ad essi esposti).
Non solo, i virus influenzali, ci insegnano anche che alcuni virus sono in grado di mutare con grande facilità. La deriva genetica e il cambiamento portano a una variazione costante. Si generano varianti influenzali sufficientemente diverse da stagione a stagione da non rendere efficace il vaccino dell’anno prima. Ogni anno quindi l'Organizzazione Mondiale della Sanità monitora e studia le dinamiche di deriva dei virus influenzali nel mondo e tenta di prevedere quali varianti influenzali con più probabilità compariranno.
Ogni formulazione del vaccino, contiene tre ceppi influenzali che si spera possano essere simili a quello che arriverà quella stagione.
Molto probabilmente Sars-Cov-2 muta meno velocemente dell’Orthomyxovirus, però questo ci deve far capire che il vaccino non ci deve far abbassare la guardia, anche perché nonostante i virus influenzali siano abbastanza conosciuti dal nostro sistema immunitario e nonostante ci sia un vaccino, l’influenza in Italia uccide circa 8000 persone all’anno (per di più anziane o immunocompromesse).
Covid-19, come avrebbe dovuto fare anche l’influenza, o perché no, anche il batterio Legionella, ci ha insegnato che non tutti reagiscono allo stesso modo davanti ad una malattia. Ovviamente le persone più deboli (non solo per la presenza di patologie, sono tante le condizioni che possono indebolire le difese immunitarie) hanno più probabilità di andare incontro a sintomatologie gravi.
Questo nei luoghi di lavoro fa capire l’importanza di identificare i soggetti fragili e magari di attuare procedure ad hoc su ogni lavoratore. Questo segue un po’ il concetto dell’invecchiamento lavorativo e del capire che un lavoratore di 20 anni non ha le stesse condizioni fisiche e mentali di un lavoratore a fine carriera.
Ecco, tutte queste storie, avrebbero dovuto insegnarci che le epidemie possono arrivare in qualsiasi momento, che però alcuni momenti per certi virus sono più adatti (vedi lo scorso numero del giornale degli RSPP dove si metteva in guardia sul calo dell’attenzione e sulle misure da attuare in previsione della nuova ondata), che l’igiene, la sanificazione, il lavaggio delle mani, l’utilizzo dei DPI sono i nostri alleati indispensabili, in attesa del vaccino, gli unici. La storia ci ha insegnato che i vaccini sono fondamentali per la prevenzione e che però a volte vanno associati anche ad altre misure.
Ma soprattutto, quello che tutti noi dobbiamo realizzare è che il mondo in cui viviamo oggi è fortemente globalizzato. In poche ore si può raggiungere qualsiasi parte del mondo. Ciò che succede in Africa, in India o in Cina può avere degli effetti in brevissimo tempo anche su chi vive in posti totalmente lontani. Ecco quindi che dovremo sempre di più abituarci a questo rischio, che tutti nel piccolo devono capire che i nostri comportamenti fanno la differenza.
È evidente che il compito più importante lo hanno i governi e le organizzazioni che gestiscono queste problematiche. Si deve capire che la prevenzione costa, ma i danni che ne possono derivare costano molto di più (indovinate in quale altro ambito è così?), si deve capire che non si deve aver paura di denunciare una situazione di contagi anomala per paura di ripercussioni economiche e per paura di passare come “untori”, perché i danni che può creare una pandemia sono molto più devastanti.
Nello specifico, un RSPP deve poter traslare le informazioni acquisite da queste storie per capire come si deve gestire il rischio biologico in azienda, attraverso questi passaggi:
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
25123 Brescia, c/o CSMT Università degli Studi di Brescia - Via Branze, 45
Tel 030.6595031 - Fax 030.6595040 | C.F. 97341160154 - P. Iva 03042120984
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