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Cosa è un'utopia? E l'educazione, è un'utopia? Le riflessioni di Adele De Prisco per l'editoriale del Giornale dei Formatori di maggio 2024
“C’è un peccato originale in chi educa pensando di fare il bene degli altri, ed è ritenere che il bene degli altri sia quello che ha progettato per loro”.
Marco Focchi, L’inconscio in classe. Il piacere di capire e quel che lo guasta.
“La prima cosa che vedrai sarà un fiume e sulla sua sponda sinistra immaginerai la tua città ideale. Una perfetta geometria di strade e poi, al centro di tutto, il grande cotonificio, disteso ed armonioso, le sue ciminiere alte 70 metri. Sfideranno in maestosità la Chiesa e la tua sontuosa residenza estiva. Tu sei l'illuminato e ambizioso capitano d'industria, che qui, sull'Adda, realizzerà il suo modello di villaggio operaio. Ma il tuo, oggi, è anche lo sguardo degli operai affascinati dalle cardatrici e dai moderni telai, alimentati dalle poderose turbine idroelettriche ed è lo sguardo delle donne che entreranno nelle loro nuove case con finestre grandi, soffitti alti, orti e giardini. E dei bambini che siederanno nei banchi di una scuola costruita tutta per loro, proprio di fronte all'ingresso della fabbrica. Perché qui tutto è rappresentazione sociale e testimonianza di un'epoca tramontata. Gli occhi dei capireparto vedono case più grandi e meno ripetitivamente squadrate. Quelle dei dirigenti rimirano ville isolate immerse in giardini lussureggianti. E a nessuno sfugge l'ingombrante mausoleo padronale che emerge dalla terra e interrompe la sobria regolarità del camposanto, come ad avvolgere tutti coloro che hanno dato la vita per la grandezza del suo sogno”.
Il 28 aprile 2023, in occasione della Giornata Mondiale della Sicurezza nei luoghi di lavoro, AiFOS organizzò un seminario di aggiornamento dal titolo “La persona al centro: benessere e welfare aziendale” presso il Villaggio Operaio di Crespi d’Adda (Bg), sito del Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
In quell’occasione predisposi per i partecipanti – una trentina di formatori ed operatori della sicurezza nei luoghi di lavoro – un breve questionario individuale, gli esiti del quale abbiamo poi discusso insieme nel corso della mia relazione, dedicata al tema del benessere organizzativo. Ho chiesto ai presenti di esprimere il proprio parere in merito a ciò di cui le persone hanno maggiormente bisogno in azienda per stare bene. Queste sono alcune delle risposte che raccolsi: stabilità, clima e relazioni positive; organizzazione ed ascolto, condivisione di obiettivi comuni, serenità ed allegria; flessibilità e possibilità di crescita; valorizzazione della persona; equilibrio tra vita lavorativa e vita privata; benefit e retribuzione adeguata; spensieratezza, libertà e regole; essere riconosciuto come persona e come lavoratore; sentirsi un team; avere a disposizione macchine sicure, futuro ed obiettivi; certezze; coinvolgimento e partecipazione; giusti tempi, giusti strumenti e giuste istruzioni; riferimenti stabili, onesti ed accoglienti; riuscire ad esprimere al meglio le proprie possibilità e scoprire il proprio valore; formazione.
Ho, inoltre, sollecitato i colleghi a condividere il proprio punto di vista sulla possibilità che benessere, produttività e felicità possano coesistere in azienda. La risposta prevalente è stata Sì, ma ad alcune condizioni, le seguenti: ci vuole un percorso condiviso; armonia difficile da generale, ma possibile; a tutti i livelli organizzativi deve esistere un equilibrio tra produzione e salute dei lavoratori; possiamo provarci con il contributo di tutti; se la cultura organizzativa pone la persona al centro del processo produttivo; dipende dalla leadership; solo grazie ad imprenditori illuminati; ci vuole un bello sforzo. Oggi è utopia.
E così, come sempre più frequentemente mi accade, al termine di quell’incontro mi sono interrogata su cosa voglia dire effettivamente educare ai valori della salute e sicurezza, e sulla responsabilità che questo mio ruolo implica.
In uno dei suoi ultimi scritti, il saggio dal titolo Analisi terminabile e interminabile del 1937, Sigmund Freud, soffermandosi sul compito gravoso che attende l'analista nell'esercizio della sua attività, scriveva: «Sembra quasi che quella dell'analizzare sia la terza di quelle professioni 'impossibili' il cui esito insoddisfacente è scontato in anticipo. Le altre due, note da molto più tempo, sono quella dell'educare e del governare». Queste pratiche condividerebbero, a suo avviso, un destino comune, quello di contemplare, entrambe, un limite rappresentato dalla loro strutturale incompiutezza: questo il senso della loro “impossibilità”.
Non è dato, infatti, al docente né all’educatore di sapere in anticipo come e quando l’individuo in formazione apprenderà, per quali amori diventerà bravo in latino, per quali incontri si appassionerà di filosofia, in quali dizionari imparerà a pensare. Che cosa realmente lo motiverà al comportamento sicuro. Oppure gli farà decidere di salire in altezza senza adeguate protezioni. Oppure, ancora, lo indurrà ad entrare in un ambiente confinato in assenza di adeguati dispositivi di sicurezza. O gli farà credere che la felicità ed il benessere in azienda siano una utopia.
Incuriosita, mi sono documentata sull’etimologia del termine utopia: essa deriva dalle parole greche “οὐ ” ("non") e “τόπος ” ("luogo") e significa "non-luogo". Si tratta di una voce foggiata nel secolo XVII da Tommaso Moro, Gran Cancelliere di Inghilterra, che diede questo titolo ad una sua teoria di legislazione e di governo modello per un paese immaginario, che chiamò, per l’appunto, Utopìa.
Utopia è, dunque, un progetto promosso da buona intenzione, ma che non può aver luogo, che non si trova in nessun luogo, cioè non è attuabile.
Paideia è, invece, il termine greco παιδεία, il cui significato originario equivaleva ad educazione e che assunse, poi, il valore di formazione umana, per arrivare, infine, ad indicare il contenuto di detta formazione, la cultura nel senso più elevato e personale. Paideia è, perciò, il fine stesso dell’educazione, quell’ideale di perfezione morale, culturale e di civiltà cui l’essere umano deve tendere. Secondo il modello ispiratore greco, che da Platone al tardo ellenismo ha assunto varie sfumature, il raggiungimento della paideia è frutto di un processo continuo, mai compiuto, attraverso il quale realizzare pienamente sé stessi come soggetti autonomi, consapevoli di sé ed in armonia col mondo.
In questo senso, le esperienze non educative sono quelle che mutilano, inibiscono, bloccano, impediscono e non sostengono il desiderio di apprendere, sperimentare, conoscere, innovare, etc.
È, dunque, una utopia l’educazione?
Oppure, invece, il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare?
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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