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Le riflessioni di Paolo Pascucci, professore ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo, in un intervento sulla rivista Diritto della Sicurezza sul Lavoro
Vi proponiamo un interessante approfondimento curato dal Prof. Paolo Pascucci, professore ordinario di diritto del lavoro dell’Università di Urbino Carlo Bo, che affronta alcune importanti questioni interpretative legate alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro all’interno delle imprese, in questo momento così importante di lotta al coronavirus.
Vengono trattati importanti aspetti, come la fondamentale tematica della valutazione dei rischi da agenti biologici, da non sottovalutare.
Il Prof. Pascucci sottolinea inoltre che il coronavirus sia fondamentalmente un problema di salute pubblica: “Di fronte alla comparsa di un rischio biologico generico che minaccia la salute pubblica spetta alle pubbliche autorità – disponendo esse istituzionalmente dei necessari strumenti (competenze scientifiche e poteri) – rilevarlo, darne comunicazione, indicare le misure di prevenzione e farle osservare. Ad esse il datore di lavoro si dovrà adeguare, dovendo ovviamente rispettare il precetto generale di cui all’art. 2087 cc., senza che per questo debba stravolgere il proprio normale progetto prevenzionistico in azienda. Tali misure si affiancheranno provvisoriamente – per la durata della fase di emergenza – a quelle ordinarie, conservando la propria distinta natura e funzione. La valutazione di quel rischio è quindi operata a monte dalla pubblica autorità, ai cui comandi il datore di lavoro dovrà adeguarsi adattando a tal fine la propria organizzazione alle misure di prevenzione dettate dalla stessa pubblica autorità.”
Una fondamentale questione sottoposta all’attenzione di chi legge è che: “l’organizzazione diviene comunque, seppur involontariamente ed incolpevolmente, uno straordinario veicolo per la diffusione del virus stante la concentrazione e la contiguità delle persone che vi operano. Pertanto, quello che costituisce un gravissimo problema di “salute pubblica” per tutta la popolazione nei fatti diviene anche un problema di salute sul lavoro, giacché la stessa presenza nel luogo di lavoro – come d’altronde accade in qualunque altro ambito in cui si trovino insieme più individui (scuole, mezzi di trasporto, teatri ecc.) – rappresenta una delle possibili cause di contagio.”
Il sistema di prevenzione aziendale giocherà quindi un ruolo strategico nella lotta al virus e, in una logica di cooperazione con il sistema di prevenzione apprestato dalla pubblica autorità, potrà certamente contribuire a scongiurare il contagio.
Nella pubblicazione vengono inoltre approfonditi sia il D.P.C.M. dell’11/03/2020 , sia il Protocollo nazionale del 14 marzo 2020 “per agevolare le imprese nell’adozione di specifici protocolli di sicurezza anti-contagio, i quali consentano la prosecuzione delle attività produttive in condizioni di salubrità e sicurezza applicando le misure di precauzione del Protocollo nazionale, che potranno anche essere integrate con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione, previa consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali”.
Il Prof. Pascucci fa però notare che, dal punto di vista giuridico, le raccomandazioni contenute nel protocollo anti-contagio possono far sorgere subbi sull’obbliga di effettiva applicazione: “emerge tuttavia una notevole incertezza sul valore delle raccomandazioni e sulle possibili conseguenze ove non vi si dia seguito”.
Dunque il vero problema consiste nel comprendere, secondo l’autore, il livello di effettività di tali raccomandazioni, vale a dire quali siano le conseguenze della loro inadempienza, proponendo anche alcune soluzioni per garantirne l’effettività.
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