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La pandemia come cartina di tornasole dell’incapacità di modificare comportamenti autolesivi o tossici. Una riflessione di Lara Calanni Pileri: consulente, RSPP, CSP/CSE, socia AiFOS
Stra-ordinario.
Lo è questo periodo della nostra storia affetto da una malattia che sembra nessuno riesca a combattere, che infetta chiunque si abitui all’ordinario e che ha conseguenze devastanti se non ci si accorge in tempo di averla contratta.
No. Non sto parlando del coronavirus.
Sto parlando dell’incapacità di modificare i comportamenti autolesivi o tossici.
Come consulenti, RSPP e CSP/CSE abbiamo passato i mesi del lockdown ad interrogarci su come attuare le migliori misure di prevenzione per i luoghi di lavoro - i pochi - che non hanno chiuso i battenti, poi quelli che man mano sono stati riaperti e ad oggi anche i luoghi coinvolti dalla ripresa delle attività scolastiche in presenza.
Però anche le migliori misure di prevenzione per i luoghi di lavoro si sono scontrate con una ordinaria realtà: cosa porta una persona a lavorare senza cautele rischiando tutti i giorni di contrarre un virus potenzialmente mortale? Perché tutti i giorni si sceglie di rischiare il contagio?
Ho scritto protocolli, procedure, istruzioni, studiate con il medico competente o il dirigente o datori di lavoro di quell’azienda, regole per tornare in cantiere in modo sicuro, per non perdere altri giorni di lavoro e produttività in una situazione economica già sofferente.
E poi?
Poi mi ritrovo la squadra di elettricisti che nel cambiare un motore di un cancello scorrevole lavora fianco a fianco col fabbro senza alcuna protezione.
La squadra di tecnici che ripara l’impianto di rete con la mascherina sotto il mento e a stretto contatto.
Potrei andare avanti, ma la conclusione è una sola: non siamo migliorati affatto dopo la diffusione della pandemia.
Continuano ad essere presenti comportamenti sbagliati e se lo sono sul lavoro, lo sono anche nel privato.
Ancora e sempre, nel nostro ruolo di professionisti ci troviamo, per evitare il peggio, a dover vigilare, controllare, richiamare, sanzionare, allontanare lavoratori pericolosi per sé stessi e per gli altri dai cantieri in cui siamo coordinatori.
Quanti coordinatori realmente lo fanno? Quanti RSPP lo fanno? Quanti…?
Quanto realmente pesiamo nella gestione delle misure anticontagio?
Non sarebbe piuttosto necessario che ognuno imparasse ad assumersi le proprie responsabilità riguardo alla società in cui vive?
Sarebbe straordinario.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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