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Intervento di Alessandra Venieri, Senior management consultant
Quando sentiamo parlare di ‘Due Diligence’, solitamente pensiamo ai meccanismi alla base delle operazioni societarie di acquisizione (M&A): quelli in cui si valutano le condizioni del sito oggetto della compravendita, la conformità dei luoghi, il valore del portafoglio di attività/contratti…
Parlando di Safety e di nuovi punti di vista in merito, ci interessa mettere a fuoco la vera radice di questo concetto e cioè la ‘dovuta diligenza’ con cui ci si aspetta che sia condotta un’azienda:
È infatti sempre più forte ed obbligato il percorso di ampliamento del perimetro di responsabilità del Committente verso la propria catena di fornitura, a tutti i livelli.
Nel nostro articolo spieghiamo il perché e le prospettive volontarie e regolatorie già attuali e quelle di un futuro a breve.
Ma partiamo con ordine.
L’art.26 come primo step di ‘due diligence’
Chi, come noi, appartiene professionalmente al mondo ‘Safety’, porta avanti da anni la ‘battaglia’ verso il mantenimento dell’ottemperanza normativa, rispetto agli obblighi del Committente verso il fornitore/catena di fornitura nell’applicazione dell’art. 26 del D.Lgs. 81/08.
Siamo sicuri di trovare il favore del lettore nel dire che l’aggiornamento puntuale dell’idoneità tecnico-professionale, dei DUVRI e delle azioni di coordinamento sia un impegno rilevante e gravoso per ogni Organizzazione, ma giusto e dovuto. Il principio dell’applicazione dell’art. 26, ricorderete, è quello di rafforzare i meccanismi di controllo non affidandoli ai soli Enti preposti in sede di ispezione, ma inserendoli anche all’inizio del processo di attivazione di una commessa (e durante lo svolgimento della stessa), come incombenza del Committente.
Di base, quindi, il Legislatore considera che il Committente debba assumere un certo grado di responsabilità per le attività che genera (e che attivano una catena di fornitura più o meno articolata) e che non si possa disinteressare delle conseguenze di ciò.
In generale, il DUVRI è la ‘punta di diamante’ di questo ragionamento, quale vero strumento di coordinamento del Datore di Lavoro Committente verso appaltatori e sub-appaltatori, mentre gli oneri per la sicurezza mirano a garantire la disponibilità economica a creare le giuste condizioni formali e sostanziali per l’effettuazione dell’attività oggetto del contratto.
…ma oltre l’art. 26 c’è di più…
Ora inseriamo nel nostro ragionamento i temi della Sostenibilità d’Impresa. Questi, nel tempo, consideravano già un ampliamento del perimetro della responsabilità del Committente e cioè che quest'ultimo dovesse sentirsi responsabile delle conseguenze dell'attivazione delle sue necessità/contratti sul mercato in generale. Ciò riferito all’ambito Safety, senza dubbio, ma anche agli aspetti giuslavoristici e di rispetto dei Diritti Umani in genere e con spettro anche internazionale, ove opportuno.
Questo:
Semplificando, la responsabilità di una Società verso la Comunità in cui opera/ a cui si rivolge (‘Responsabilità Sociale d’Impresa’) riporta a due principi, fra i tanti:
Fino a gennaio 2023, quanto sopra era eticamente e moralmente condivisibile, ma solo un ‘nice-to-have’.
Fino a gennaio 2023, le imprese potevano scegliere se e come approcciare volontariamente il cammino verso il ‘comportamento responsabile’.
Da gennaio 2023, germoglia invece un obbligo.
La due diligence ‘ampliata’ diventa obbligo di rendicontazione
Rispetto a quanto trattato fin ad ora, si potrebbe commentare che il Committente sia già ora chiamato eventualmente a rispondere in solido, per esempio, in ambito contributivo rispetto a mancanze nel rapporto appaltatore/sub-appaltatore. Verissimo, ma si tratta di misure da considerarsi un ‘ex post’ rispetto agli eventi e anche faticose da attivare da parte dei soggetti aventi diritto (e cultura, tempo e soldi… da dedicare). Si tratta quindi solo di un meccanismo reattivo e non proattivo.
Da gennaio 2023, invece, inizia una piccola rivoluzione che parte dall’emissione della CSRD (Corporate Social REPORTING Directive)[3]. Tale direttiva europea, nel dettaglio, obbliga alcuni cluster di organizzazione suddivisi per taglia e diluiti nel tempo[4] (vedi tabella) a pubblicare un addendum alla ‘Relazione sulla Gestione’ del Bilancio di esercizio, in cui andare a rendicontare in merito a temi non finanziari (‘ESG’), fra cui (sorpresa!) anche aspetti legati alla gestione della catena di fornitura.
Anno | Chi |
2024 |
Chi già soggetto da normativa ‘DNF’ precedente |
2025 |
Tutte le grandi società, che soddisfino almeno 2 dei seguenti criteri: Ø Ricavi netti oltre i EUR 50M Ø Attivo Stato Patrimoniale oltre i EUR 25M Ø Dipendenti oltre 250 |
2026 |
PMI quotate UE |
2028 |
Società extra UE con più di 150 mil euro di fatturato in UE |
Si tratta di un primo approccio graduale, ma che inserisce il termine ‘due diligence’ negli obblighi di compliance di un’Organizzazione ed implica anche un’Assurance delle affermazioni rese, tramite la verifica di revisione a cui è assoggettato il Bilancio di Esercizio. In buona sostanza, il reporting di Sostenibilità diventa obbligatorio per molte categorie di organizzazione[5] e la comunicazione sui temi della gestione della catena di fornitura anche.
C’è altro però che ‘bolle in pentola’…
La due diligence ‘ampliata’ diventerà un obbligo di vigilanza?
In conclusione del nostro articolo, ragioniamo in termini di prospettive di un futuro a breve.
Risulta essere alle fasi finali di emissione un'altra direttiva, la cosiddetta CSDDD (Corporate Social DUE DILIGENCE Directive), che non chiederà solo di comunicare l’approccio alla gestione della catena di fornitura, ma imporrà regole precise nel farlo, secondo i seguenti principi.
La discussione preliminare all’approvazione definitiva è stata molto accesa in Europa ed ha avuto una battuta d’arresto alla prima occasione di votazione a fine febbraio 2024, per poi avere sorti migliori a marzo 2024, dopo un ridimensionamento del perimetro di applicazione.
Cosa devono fare le imprese?
Chi vuole intraprendere un percorso di Sostenibilità e soprattutto le aziende obbligate a CSRD (almeno dal 2025, rendicontazione del 2026) devono innescare un meccanismo di analisi e supervisione alla catena di fornitura molto più attento ed iniziare a strutturare dei percorsi di richiesta di informazioni/ audit di parte seconda con logiche di lungo periodo e di inserimento delle informazioni nei processi di valutazione e qualifica dei fornitori.
Collateralmente a ciò, dovranno essere via via approfondite le ripercussioni di quanto sopra in termini di applicazione del D.Lgs. 231/01 e di aspetti reputazionali derivati dagli scandali in merito ad una gestione più o meno corretta della supply chain.
È sicuramente ora di partire, quindi, organizzando le attività in team multifunzionali, in cui iniziare ad imbastire un rafforzamento dell’attenzione alla Supply Chain e poter fornire garanzie maggiori alla propria Organizzazione, ai Clienti e a tutti gli Stakeholder in generale.
[1] Principi del ‘comportamento etico’, del ‘rispetto degli interessi degli stakeholder’ e del ‘rispetto del principio di legalità’ (ISO 26000:2022)
[2] Principio del ‘rispetto delle norme internazionali di comportamento’ (ISO 26000:2022)
[3] A marzo 2024, in fase di recepimento da parte dello Stato Italiano.
[4] Dal 2016, tali obblighi di rendicontazione risultavano già cogenti per una fascia di soggetti inclusi negli obblighi di rendicontazione dei dati non finanziari DNF (un ambito molto ristretto di società di interesse nazionale), tuttavia anche questi risultano coinvolti nelle nuove implicazioni della CSRD
[5] fino a alle PMI quotate, ad ora
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