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Riflessioni di Lorenzo Sacchetta, responsabile del Safety Competence Center di uno dei più grandi gruppi industriali Italiani
Dopo decenni di lavoro in azienda e, nell’ultimo incarico, come Responsabile di un centro di competenza in materia di sicurezza sul lavoro di uno dei più grandi gruppi industriali Italiani, mi trovo nella condizione di poter presentare una riflessione sul vissuto di un “Responsabile della sicurezza sul lavoro” all’interno di una grande organizzazione aziendale, sui risultati, sui valori, ma anche sulle incongruenze e le contraddizioni che incontra nello svolgimento del proprio ruolo che potrei anche definire “missione”.
L’obiettivo non è di fornire una presentazione della organizzazione dove attualmente lavoro, ma riflettere su argomenti che accomunano chi è assegnato a questa missione in azienda e dedurne dei possibili percorsi di miglioramento con l’obiettivo costante di cercare di azzerare gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Uno degli aspetti con cui mi sono trovato a confrontarmi e sul quale ho cercato una risposta senza mai trovarla nella letteratura specialistica è la valutazione di quale sia la giusta dimensione della spesa in sicurezza sul lavoro rispetto alle attività che si realizzano in azienda.
Il problema si ripresenta in maniera più diretta nelle domande che emergono in occasione di un qualsiasi evento infortunistico: “con un investimento maggiore sarebbe stato possibile evitarlo?” oppure “cosa non è stato fatto che avrebbe consentito di evitare l’infortunio?” E tante altre domande che anch’io mi sono posto spesso nel corso della mia attività e che cercano di trovare una risposta nel migliorare continuamente la sicurezza dei nostri colleghi sul luogo di lavoro e, nel contempo, di rendere più sostenibile il naturale processo, che accomuna i professionisti della sicurezza sul lavoro, di ricerca delle proprie responsabilità.
Di seguito rappresento un mio tentativo di inquadramento del problema delle risorse assegnate alla sicurezza che ho definito nel corso della mia esperienza e che ha orientato i miei approfondimenti ogni volta che mi sono trovato ad operare in contesti organizzativi di volta in volta diversi.
Il titolo nasce dalla molteplicità dei significati che la parola “valore” ha in italiano che per un professionista della sicurezza sono rappresentativi di modi molto diversi di intendere il mestiere a cui è assegnato.
Tutte le aziende, soprattutto quelle di grandi dimensioni, all’interno delle molteplici modalità di comunicazione dichiarano tra i propri valori ispiratori la “sicurezza sul lavoro” e l’attenzione ai propri dipendenti.
È presente nei “codici etici”, nelle dichiarazioni, viene ripetuto nei bilanci annuali, alcune aziende estendono la propria area di interesse e di intervento anche alla sicurezza del personale dei fornitori.
Il valore in questo caso è inteso come “valore” etico, morale, come riferimento a cui ispirarsi e per il quale non vi sono limiti alla possibilità di “sacrificio”. In questo caso il significato della parola “valore” in italiano si avvicina al significato di sacro che è la radice semantica di sacrificio.
In azienda fortunatamente non si richiedono sacrifici, ma è necessario essere pratici. Per cui nell’ambito della “pratica” avviene il cambiamento della sequenza delle parole e dalla sicurezza sul lavoro come valore si passa al valore della sicurezza sul lavoro per cui dalle dichiarazioni etiche e morali si arriva alla esigenza, da non dichiarare mai, ma con cui bisogna fare i conti, di dare una dimensione economica alla sicurezza sul lavoro.
È immorale? È necessario asserire che le aziende sono organizzazioni che ragionano solo in termine etici e non in termini di costi e benefici? O peggio in termini di costi-ricavi? Ragionando razionalmente bisogna fare i conti con il sistema dei valori effettivi, quelli che orientano e determinano le scelte e non quelli delle dichiarazioni.
Nell’ambito degli approfondimenti relativi al valore della sicurezza sul lavoro le domande sono già meno etiche: quanto vale per noi la sicurezza? Quanto vogliamo spendere? Se non più crudamente quanto ci costa e quanto ci guadagniamo? E non migliora la presentabilità etica la considerazione delle conseguenze reputazionali degli infortuni sul lavoro perché la valutazione degli aspetti reputazionali è sempre e comunque un’analisi costi-benefici. Se poi si estende lo sguardo alle piccole imprese è irreale pensare che possano sempre garantire la sicurezza sul lavoro con risorse idonee e commisurate ai rischi insiti nelle loro attività.
Come responsabile sulla Sicurezza sul lavoro di una organizzazione con un evoluto codice etico, con una spesa annua per la sicurezza sul lavoro con diversi zeri in €uro, il controllo dei costi rappresenta comunque un elemento di costante attenzione. Senza entrare su valutazioni del tipo “giusto” o “non giusto” posso dichiarare che nessun responsabile di Sicurezza sul Lavoro in Italia e nel mondo ha mai avuto a disposizione risorse infinite e, quindi, parlare di costi al di là se sia etico o meno è concreto.
Cercare l’oggettività cercando parametri di riferimento quantitativo è un tentativo che si scontra immediatamente con l’impossibilità di comprendere tutti gli elementi di diversità che caratterizzano le singole aziende/organizzazioni: organizzazione/gerarchia, processi produttivi realizzati, sostanze utilizzate, e via con un elenco infinito di elementi distintivi che determinano le condizioni effettive di rischio gestito e il livello di sicurezza da garantire al personale. Cercare di sintetizzare tutto in uno o pochi numeri, oltre che apparire impossibile, risulterebbe del tutto inutile ai fini pratici.
Per cui se la ricerca della risposta alla domanda qual è la giusta dimensione della spesa in sicurezza sul lavoro non è individuabile nei numeri e in valori standard è necessario arrendersi alla impossibilità di pervenire ad un giudizio? Stante la necessità, comunque, di volere e dover valutare il ricorso ad altri criteri è possibile e, sulla base della mia esperienza ho necessariamente razionalizzato uno schema di riferimento che ho autonomamente applicato in più situazioni e non mi sono mai trovato di fronte a contesti che ne sconfessassero la validità.
Lo schema di riferimento che di seguito rappresento si basa sulla individuazione di alcuni fattori interni all’azienda che intervengono nella determinazione delle risorse da destinare alla spesa in sicurezza sul lavoro e, di conseguenza, consentono di poter valutare se un’azienda/una organizzazione presenta i presupposti per spendere il giusto valore in sicurezza sul lavoro o se, diversamente, presenta i presupposti per destinare risorse scarse alla sicurezza sul lavoro.
Praticamente ho distinto le organizzazioni in due tipologie di riferimento individuandone gli elementi caratteristici.
Nelle aziende di tipo A le dinamiche interne tra percezione diffusa della sicurezza del lavoro come valore e naturale attenzione ai costi generano i presupposti di un dimensionamento “giusto” della spesa in sicurezza sul lavoro.
Nelle aziende di tipo B le dinamiche interne tra percezione del valore della sicurezza e naturale attenzione ai costi generano i presupposti per un dimensionamento “insufficiente” della spesa in sicurezza sul lavoro.
Va comunque e immediatamente evidenziato che entrambe le tipologie di organizzazioni sono rispettose delle disposizioni di legge in materia. Il punto 2.6 dell’azienda di tipo B, se non governato e senza barriere valoriali, può degenerare e determinare dolose esagerazioni tipiche di “casi esemplari” come, per l’appunto, quanto accaduto nel 2007 nella ThyssenKrupp di Torino.
Il sistema dei valori effettivamente praticati e diffusi in azienda determina le caratteristiche utilizzate per rappresentare e distinguere le due tipologie di organizzazione le quali, non necessariamente, nella realtà devono concretizzarsi in maniera polarizzata rigidamente secondo i due schemi-tipo descritti sopra, ma sono sicuramente possibili organizzazioni che combinano aspetti delle organizzazioni di Tipo A e di Tipo B.
Comunque, le caratteristiche definite per le due tipologie, nella mia esperienza, hanno rappresentato uno schema di riferimento utile per comprendere con poche informazioni e poche domande quali sono i valori veri in termini di sicurezza sul lavoro che caratterizzano una organizzazione e ragionare se per la sicurezza sul lavoro ci siano i presupposti per ricevere le giuste risorse.
La schematizzazione consente anche a un dirigente/dipendente/professionista della sicurezza di interpretare in quale contesto si trovi ad operare e dedurre perché il proprio budget in materia di sicurezza sul lavoro sia così dimensionato.
Non nascondo che l’impostazione qui presentata è stata dal sottoscritto utilizzata anche per determinare l’efficacia o meno delle procedure aziendali, la rispondenza o meno delle dichiarazioni con quanto implicitamente espresso da una organizzazione attraverso i processi operativi ed anche, in generale, considerare l’efficacia o meno delle disposizioni di legge in materia a seconda dei diversi contesti organizzativi in cui trovano applicazione.
Lo schema di riferimento tra organizzazioni di tipo A e B è utile solo per interpretare la realtà, produrre valutazioni o anche per definire possibili linee di intervento?
L’esigenza di valutare e misurare rimane. Lo schema presentato può esser utilizzato con diversi livelli di approssimazione per ragionare se l’organizzazione con cui ci si confronta è assimilabile ad una o all’altra tipologia. Misurazioni sugli elementi caratterizzanti l’una o l’altra tipologia sono assolutamente possibili es: quante volte il vertice nel corso di un anno ha organizzato riunioni sulla sicurezza sul lavoro? Oppure: quanti sono i manager che hanno nella loro scheda MBO obiettivi sulla sicurezza sul lavoro? Etc.
Se i tipi di organizzazione A e B sono tipologie di riferimento rappresentative di modalità di approccio vere, effettivamente riscontrabili nella realtà, è possibile utilizzarle anche per indirizzare i fattori determinanti la spesa in sicurezza sul lavoro e allontanarla dalla possibilità che risulti, alla fine di tutti i processi interni, scarsa e insufficiente.
A livello macro far diventare i costi in sicurezza sul lavoro più leggeri e sostenibili è possibile ed è anche possibile che, indirettamente, in questo modo possa crescere il valore della sicurezza sul lavoro alleggerendone il peso per le organizzazioni e gli individui.
Ad esempio: trattamenti fiscali agevolati per le imprese che investono in sicurezza sul lavoro e sulla relativa formazione; incentivi per le aziende che presentano risultati positivi in termini infortunistici; disincentivi per le aziende che fanno registrare infortuni (ad esempio aggiungere costi a bilancio in percentuale sul fatturato in occasione di un infortunio – attualmente un infortunio sul lavoro e anche una fatality hanno un effetto troppo marginale sul bilancio di una società), misure tese a favorire l’incontro tra sistema scolastico e aziende sul tema, etc. Sono tante le iniziative che è possibile mettere in campo uscendo dalla logica sanzionatoria su cui lo Stato Italiano imposta le proprie linee di azione in materia: è necessario intervenire sulle dinamiche che determinano l’attenzione, le risorse e il “valore” che le organizzazioni danno alla sicurezza sul lavoro.
Molto di più può essere fatto anche dalle pubbliche istituzioni, come ad esempio il sistema scolastico. Possono le scuole, elementari, medie, licei e istituti professionali e anche università non occuparsi mai di sicurezza in generale? Inn particolare non occuparsi mai di sicurezza sul lavoro? Quanto sarebbe importante per dare un valore aumentato alla sicurezza inserirla all’interno dei percorsi formativi nazionali?
In termini di costi e benefici quali sarebbero i vantaggi dell’intero sistema nazionale nell’investire e formare i cittadini e risparmiare i costi sociali derivanti dagli infortuni in generale: domestici, stradali, sportivi, sul lavoro etc.?
In Italia, quasi sempre, è all’interno dell’azienda che avviene il primo incontro tra un cittadino e la sicurezza sul lavoro. Come se non bastasse la formazione, dal momento del primo impiego in poi, è totalmente assicurata dal settore privato.
Considerando che il sistema economico italiano è basato sulla piccola e media impresa e sull’artigianato, nelle organizzazioni di piccole dimensioni la possibilità di dare completa soddisfazione alle esigenze di formazione sulla sicurezza sul lavoro è assegnata all’iniziativa individuale. Non è possibile pensare che, senza aiuti pubblici, un sistema così parcellizzato metta in campo tutto quanto necessario per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti noi: troppe volte in Italia ad infortunarsi è l’imprenditore, il titolare dell’azienda, e se lui stesso non si protegge figuriamoci l’attenzione che può destinare ai suoi dipendenti.
La sicurezza sul lavoro è una professione che è limitante definire tale. L’attenzione verso l’incolumità del lavoratore “sconfina” negli aspetti personali: investe la sfera familiare e sociale dove il lavoratore è inserito e riguarda la sua abilità, di oggi e di domani, nell’interagire con l’ambiente che lo circonda. La sicurezza sul lavoro è sì una responsabilità professionale, ma si completa solo quando il professionista riesce a diventare “umano”.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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