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Un caffè virtuale, dieci voci femminili e un problema troppo reale. Un contributo a cura di Maria Andreis
Immaginate undici persone sedute a un tavolino virtuale, in una pasticceria digitale per un caffè, una brioche e qualche storia vera. Come cavalieri moderne di una tavola rotonda al femminile, dieci protagoniste affrontano un paio di scomodi interrogativi. Cosa rappresenta il Gender Gap in Italia oggi nel loro vissuto? Cosa si può fare per migliorare?
Le testimonianze che seguono sono reali e raccolte attraverso uno scambio di messaggi. Le protagoniste sono nominate con pseudonimi di fantasia scelti dalle protagoniste stesse nel rispetto di privacy e anonimato.
“Io non l'ho vissuto in prima persona, tuttavia, ho osservato un caso incredibile.
In un’azienda della bergamasca, ho riscontrato una politica aziendale insolita: in catena di montaggio solo donne e negli uffici soltanto lavoratori maschi. All’origine della decisione aziendale la convinzione del datore di lavoro che fosse più facile reperire operaie generiche rispetto a impiegate d’ufficio in caso di sostituzione di maternità delle sue lavoratrici.
Accedendo alla mensa aziendale ho riscontrato che dagli uffici giungevano solo uomini in giacca e cravatta, mentre dai reparti operativi solo personale femminile”.
“…Il mio pensiero corre alle compensazioni salariali, spesso inferiori per le donne a parità di posizione e responsabilità. Per quanto riguarda le opportunità di carriera, più frequentemente viene data priorità agli uomini.
In ambito familiare, da dove vengo, questa disparità si rispecchia ovunque, ricordandoti che sei donna, e come tale devi comportarti. In alcune famiglie vige una educazione a ruoli da maschi e altri da femmine fin dalla più tenera età.
Andrebbe messa a disposizione una rete efficace di servizi per le madri lavoratrici, affinché possano mantenere il loro impiego senza rinunciare a sé stesse.
Chi governa è uomo nella maggior parte dei casi e, come tale, difficilmente penserebbe mai spontaneamente a investimenti in servizi per madri e figli piccoli”.
“…È consuetudine comune che dovremmo essere tutti uguali: tale concetto è parte del problema gender gap.
Sono convinta che bisognerebbe puntare il dito sulle infinite possibilità e risorse delle differenze e non ostinarsi a diventare tutti uguali.
Credo che l’idea alla base di una valutazione dei profili lavorativi per competenze, a prescindere dal genere personale, permetta di valutare le infinite risorse di ognuno in modo più inclusivo”.
“…Nella mia azienda le figlie del proprietario non hanno accesso all'attività di famiglia, che è riservata ai maschi della famiglia. Pur essendo una realtà molto grande, siamo rimasti un'azienda privata gestita da una sola famiglia. Attualmente le donne dirigenti si contano sulle dita di una mano. A tutte le lavoratrici, che hanno usufruito del congedo di maternità, al loro rientro non è stata garantita la loro mansione iniziale e il part time difficilmente viene accordato”.
“Secondo me la disparità di genere può manifestarsi in diversi modi e situazioni.
Le donne, mediamente, guadagnano meno degli uomini a parità di ruolo e competenze e si osserva un gap a livello di leadership. Le donne spesso faticano ad accedere a ruoli apicali e manageriali.
Si aggiungono gli stereotipi di genere, ovvero i pregiudizi su ciò che uomini e donne dovrebbero poter o saper fare. Le donne sono spesso responsabili sia del lavoro retribuito che della maggior parte delle cure familiari e tale doppio impegno non viene riconosciuto economicamente. Naturalmente queste disparità si potrebbero ridurre, introducendo innanzitutto una parità salariale con stipendi equi e verificabili.
La leadership femminile andrebbe incentivata con programmi di formazione, migliorando le politiche di conciliazione vita-lavoro con orari più flessibili, congedi parentali equamente distribuiti e supporto all’infanzia con asili nido aziendali.
Vanno promosse le quote di genere nei consigli di amministrazione o in ruoli strategici e andrebbe garantito supporto alle vittime di discriminazione con la creazione di canali sicuri e anonimi di denuncia”.
“Nel settore pubblico non si osservano pregiudizi legati al sesso, all’orientamento sessuale o all’età. Questo vale anche per la selezione del personale.
Nel privato la realtà è diversa. Qui possono decidere di assumere solo uomini o donne senza figli. Nel pubblico è vietato per legge.
Nel mio ASST vengono svolti Audit mirati e, sotto la supervisione della direzione generale, i dipendenti compilano questionari specifici in materia di prevenzione al mobbing e al conseguimento di carriere eque.
Nel pubblico in generale non ho osservato differenze di trattamento, comunque, qualora sia praticato il nepotismo, il fenomeno può interessare in ugual misura sia le donne che gli uomini.
“…Cinque anni di precariato e, quando sono rimasta incinta, il contratto non è stato rinnovato. Era fatto noto che fossi alla ricerca di una gravidanza e i colleghi uomini, assunti successivamente a me, hanno ottenuto contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Il congedo per cure parentali (maternità/paternità) dovrebbe essere garantito anche ai papà per permettere ad entrambi i genitori di trascorrere del tempo con il proprio figlio.
Manca spesso la comprensione del fatto che una donna, specialmente se mamma, non sia un peso per l'azienda, al contrario potrebbe rappresentare un'opportunità. Non andrebbe ostacolato il naturale desiderio di genitorialità.
“…La prima richiesta a cui venivo sottoposta puntualmente ai colloqui di lavoro, già più di vent’anni fa, era se avessi figli o se ne volessi altri. La mia personale fregatura è da imputarsi alla mia prima gravidanza in giovane età, prima di trovare un impiego.
Più di vent’anni dopo, mia nipote ha subito lo stesso trattamento, ritrovandosi licenziata al rientro dal congedo di maternità”.
“Essere una donna straniera che indossa un velo ha spesso significato dover dimostrare il doppio per ottenere lo stesso riconoscimento. Mi sono trovata ad affrontare pregiudizi, stereotipi e limitazioni che non avevano nulla a che fare con le mie capacità o la mia professionalità.
Per migliorare la situazione servirebbe un cambiamento profondo. Le aziende dovrebbero investire di più nella diversità e nell’inclusione mediante azioni concrete con formazione contro i pregiudizi e promuovendo politiche di assunzione più eque. Le leggi contro la discriminazione dovrebbero essere applicate con maggiore severità e chi subisce ingiustizie dovrebbe poter contare su un reale supporto legale e sociale.
Ci dovrebbero essere più donne in posizioni di rilievo per dare voce a coloro che, ancora oggi, faticano a essere riconosciuti solo per le proprie competenze”.
“Personalmente la disparità di genere l’ho sperimentata in fase di colloquio. Mi hanno chiesto direttamente se volessi figli e se avevo intenzione di procreare a breve (parole testuali in sede di selezione)”.
Un unico filo conduttore accomuna dieci storie differenti. Il fenomeno gender gap è un problema comune e sistemico nel nostro mercato del lavoro.
Si avverte fame di meritocrazia nelle selezioni e nelle storie lavorative delle cittadine e dei cittadini. Da 40 anni la storia si ripete. Attendiamo ancora una vera evoluzione.
Ringrazio le protagoniste per l’interesse dimostrato al progetto e la disponibilità: scalda il cuore ascoltare le vostre storie così sincere, amare e lucide.
Il caffè è finito, ma la discussione no. Continuiamo a parlarne. Solo insieme possiamo cambiare le regole del gioco.
Ci vediamo al prossimo capitolo: la parola agli uomini. Nella stessa pasticceria virtuale 10 amici al bar — come nella canzone di Gino Paoli — parleranno di speranze e possibilità.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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