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Le riflessioni di Eugenio Vignali, socio AiFOS, consulente aziendale, formatore, mediatore civile e commerciale
Secondo il CPP Global Human Capital report del 2008, più di un quarto dei dipendenti di grandi aziende intervistati è stato coinvolto in una discussione sul posto di lavoro che ha portato a insulti o attacchi personali e alla domanda su quale sia la causa principale dei conflitti in ambito lavorativo, il 49% indica proprio gli scontri di personalità e gli ego troppo aggressivi e prevaricatori come l'aspetto più rilevante, prima ancora dello stress per l'attività svolta, scelto solo dal 34%. Anche lo scontro di valori è considerato una delle principali cause di conflitto, per il 18% nella media fra i vari paesi, insieme alla mancanza di onestà nei rapporti, indicata da una media del 26% degli intervistati. Solo l'11% degli intervistati non ha mai sperimentato un disaccordo che si è intensificato fino a diventare un conflitto interpersonale.
Il Kelly Global Workforce Index riporta che per avere successo le aziende devono assumere persone capaci sia di collaborare sia di manifestare empatia e devono creare un ambiente che nutra e incoraggi queste competenze. In Europa fra le caratteristiche che rendono un ambiente di lavoro "ideale" il clima collaborativo si aggiudica infatti il 60% delle preferenze, che salgono addirittura all'80% in Italia, dove il lavoro collaborativo è anteposto come preferenza persino alla possibilità di utilizzare le più recenti tecnologie e di operare in contesti creativi e innovativi.
Nonostante questa sentita esigenza, vi è però una valutazione insufficiente sull'impegno delle aziende nel favorire la collaborazione: solo il 47% degli intervistati crede che sia promosso efficacemente il lavoro di squadra e solo il 43% ritiene che nella propria azienda sia sostenuto lo sviluppo di una cultura aziendale centrata sulla collaborazione, e dunque sulla prevenzione dei conflitti interni.
Proprio per questi motivi, l'abilità dei manager nella gestione, e, soprattutto, nella prevenzione dei conflitti interpersonali è considerata, secondo la ricerca del CPP, un fattore determinante per il clima organizzativo dalla maggioranza degli intervistati. Sette dipendenti su dieci considerano infatti la gestione dei conflitti come un'abilità di leadership molto importante, mentre il 54% è critica nei confronti dei manager, che dovrebbero gestire meglio le controversie, affrontando le tensioni sottostanti prima che esse degenerino.
Di fatto, se i conflitti propriamente organizzativi legati al ruolo, alla mansione o ad altri aspetti dell’attività lavorativa sono normalmente gestiti attraverso procedure da figure che ne hanno la specifica competenza, quelli di tipo relazionale, fra colleghi o con i superiori, sono purtroppo relegati a questioni "personali" che devono essere risolte fra i diretti interessati e, soprattutto, non devono interferire con il lavoro.
È questo un grave errore di valutazione di un aspetto fondamentale della complessiva qualità dell'esperienza lavorativa dell’individuo. Non soltanto perché le questioni psico-emotive diventano catalizzatori dell'attenzione e drenano energia anche fisica, ma soprattutto perché i comportamenti che ne derivano riducono l'efficienza e, di conseguenza, la sicurezza del processo produttivo cui si prende parte.
I conflitti interpersonali sono spesso poco affrontati anche perché gli stessi protagonisti tendono a tenerli nascosti ai superiori o al management per paura del giudizio che potrebbe derivarne nei propri confronti. Se ciò è vero in generale per i dipendenti di ogni livello, è un problema ancor più sentito da un caporeparto, un capoufficio o dal team leader, che deve dimostrare di avere il controllo del gruppo di persone nella sua responsabilità e di saper gestire qualunque situazione. Ma trattandosi di problemi talvolta delicati e spesso caratterizzati da una forte carica emotiva, non sempre queste figure intermedie hanno le competenze necessarie per riuscirci, per cui preferiscono sterilizzare le situazioni di conflitto con interventi autoritari, rigidi e giudicanti verso i soggetti coinvolti.
Il risultato finale è che la situazione conflittuale non è "risolta" ma solo temporaneamente "sospesa", e dietro lo stato di tregua armata continua a produrre i suoi danni.
In conclusione, troppo spesso i conflitti interpersonali si aggravano perché non sono affrontati nel modo giusto e risolti rapidamente. Il morale, il coinvolgimento, l'impegno personale, l'efficacia operativa, la produttività e la sicurezza sul lavoro delle persone coinvolte ne risentono negativamente.
Dove vi è segnalazione di conflitti/litigi nei rapporti interpersonali sul lavoro (ma, attenzione a quanto detto sopra a proposito della resistenza e difficoltà a segnalarli) le Linee guida INAIL sullo Stress Lavoro Correlato indicano proprio lo sviluppo di capacità per la gestione dei conflitti attraverso formazione come un intervento di prevenzione primaria con alta efficacia.
Il Modello Management Standard del Questionario Strumento Indicatore dello SLC nella dimensione organizzativa chiave delle Relazioni include la “promozione di un lavoro positivo per evitare i conflitti ed affrontare comportamenti inaccettabili” indicando quali condizioni ideali/stati da conseguire “comportamenti positivi sul lavoro, per evitare conflitti e garantire correttezza nei comportamenti”.
Anche per i motivi sopra esposti il D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo coordinato con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106) nell’ALLEGATO A - Formazione dei Lavoratori, per quanto riguarda la formazione dei dirigenti indica al MODULO 4 COMUNICAZIONE, FORMAZIONE E CONSULTAZIONE DEI LAVORATORI l’obiettivo di sviluppare abilità nel “Lavoro di gruppo e gestione dei conflitti”.
Per scaricare un report sui costi dei conflitti nelle organizzazioni:
https://www.eugeniovignali.it/doc/I_costi_dei_conflitti_occulti.pdf
Per scaricare un report sul Sistema Interno di Gestione dei Conflitti:
https://www.eugeniovignali.it/doc/SIGC.pdf
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