/ News / Approfondimenti / Il contributo della sociologia alla sicurezza nei luoghi di lavoro
Approfondimento a cura di Rita Somma, consulente H&S, sociologa esperta in organizzazione del lavoro e Human Factor e Consigliera nazionale AiFOS
Gli incidenti sul lavoro sono eventi indesiderati da parte di tutti gli attori in campo. Eppure, registriamo un pressoché quotidiano bollettino di guerra, tante sono le morti bianche. Notizie accolte silenziosamente da un’opinione pubblica che sembra ormai assuefatta a questo tipo di notizie. L’assuefazione subisce una brusca interruzione solo quando la vittima è particolarmente giovane o il numero dei morti particolarmente elevato. Si pensi alla vicenda dell’orditoio di Prato, dove ha perso la vita una giovane madre di 22 anni; alla storia altrettanto triste di Udine, nella quale è rimasto ucciso un tirocinante di 16 anni in alternanza scuola-lavoro; al crollo della gru che a Torino ha spezzato la vita di tre operai, due cinquantenni ed un ventenne1.
Anche in questi casi, però, passato lo sdegno ed il clamore mediatico, tutto torna come prima, se non addirittura peggio di prima. Il rapporto INAIL del 20212 ci consegna, infatti, un trend infortunistico che non tende a scendere. Nel 2021 sono stati denunciati poco più di 564mila infortuni sul lavoro, mentre quelli con esito mortale sono stati 1.361. Al netto dei contagi da Covid-19 di origine professionale, le denunce con esito mortale “tradizionali” sono aumentate di quasi il 10%, rispetto al 2020. In aumento anche le denunce di malattia professionale, che sono state poco più di 55 mila3.
Numeri che debbono essere interpretati, perché non ci consegnano di per sé la verità assoluta, ma che fotografano nitidamente il persistere di una piaga sociale che non riesce ad essere estirpata e rischia di sprofondare sempre più nel retaggio culturale, che recupera i concetti di fato e di ineluttabilità propri dell’impotenza di fronte a eventi contro i quali sembra non si possa far nulla. I freddi numeri che ci consegna l’Inail vanno pertanto interpretati tenendo conto che ogni analisi e ogni valutazione sono indissolubilmente connesse a tre fattori: il modello di sicurezza adottato, l’atteggiamento mentale dell’investigatore ed il paradigma utilizzato4.
A volte costa molto guardare negli occhi un problema. Ma di fronte al perdurare di un fenomeno che lede il diritto primario delle persone alla tutela della salute e della propria incolumità, non possiamo pensare di continuare a girarci dall’altra parte. Il numero elevato di morti bianche è eticamente inaccettabile, strutturalmente insostenibile e mina i fondamenti che formano e radicano l’identità stessa di cittadinanza.
Ed è in quest’ottica che bisogna agire, creando le basi per una netta inversione di tendenza degli infortuni, termometro della vita civile.
Se si vuole invertire la rotta c’è bisogno, dunque, di un deciso cambio di passo nel pensare la prevenzione e nell’affrontare il problema della sicurezza sul lavoro. Non si può, infatti, continuare a leggere il fenomeno con le categorie e gli strumenti culturali del passato. Ad oggi le strategie messe in campo non appaiono in grado di superare lo stallo in cui ci troviamo: una media di oltre 1.200 morti bianche all’anno. Parliamo di tre morti al giorno a cui il corposo impianto normativo di tutela, unitamente all’evoluzione tecnica e tecnologica5, non sembrano, da soli, riuscire ad offrire risposte e fornire strumenti per arginarne la portata e garantire, dunque, luoghi di lavoro sicuri e salubri. Perciò è necessario allargare la strada ad altri approcci metodologici per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Questa prospettiva induce a cercare criticamente possibilità altre e concrete, compiendo un salto epistemologico per introdurre parametri conoscitivi nuovi. Parametri che vadano oltre l’approccio alla sicurezza degli attuali modelli ingegneristici di gestione dei rischi, figli di generazioni cresciute nella cieca fiducia della tecnologia di risolvere i problemi (approccio tecnocentrico)6, ma che sembrano tralasciare un tassello fondamentale del sistema socio-tecnico (uomo-macchine-ambiente – sistema UMA) entro cui il lavoro, e dunque la sicurezza, si compie: l’uomo, che ha un ruolo determinante nelle cause infortunistiche. Diversi studi7 hanno infatti evidenziato che oggi la causa principale degli infortuni sul lavoro è riconducibile al cd. fattore umano.
All’elemento umano è infatti attribuita, direttamente o indirettamente, la maggior parte degli errori che portano oggi all’incidente. Questa attribuzione è confermata dai grandi case studies (per esempio: ThyssenKrupp, Eternit e Linate)8, che hanno dimostrato come i comportamenti, l’organizzazione del lavoro e le decisioni assunte ex ante possano costituire, laddove interviene l’imponderabile e/o i disciplinari non sono meticolosamente osservati/aggiornati, elementi che innescano l’incidente. Non va mai dimenticato che dietro un infortunio c’è sempre un’organizzazione composta da persone, che prendono o non prendono decisioni e si comportano in una determinata maniera oppure in un’altra, anche a seconda della rigidità o dell’elasticità del sistema normativo dell’organizzazione. Formalizzando questo insieme di interazioni si tratta di un agire sociale nel senso weberiano del termine. Ossia di un'azione condivisa con altre persone e destinata a produrre effetti su altre persone. Un’azione che si traduce in un fare, ma anche in un tralasciare o in un subire. Tranne nei casi di conclamata negligenza individuale, le cause dell’incidente vanno infatti spesso cercate nel rapporto tra soggetto agente e organizzazione.
L’attenzione all’elemento uomo, come imprescindibile tassello dell’impianto prevenzionistico, è una strada già in parte spianata dall’’Ergonomia (o scienza del Fattore Umano)9, che ha aperto la strada all’approccio sistemico della sicurezza, che considera anche il fattore umano, ovvero la determinante delle capacità e delle limitazioni cognitive e fisiche dell’essere umano, che devono essere considerate nell’organizzazione del lavoro.
Ergonomia, è un termine utilizzato nel 1949 dallo psicologo britannico Hywel Murrell (1908-1984) e ha una duplice valenza: indica sia la scienza che si occupa della comprensione delle interazioni tra gli esseri umani e gli altri elementi di un sistema, sia la professione che applica teoria, principi, dati e metodi per progettare e ottimizzare il benessere umano e le prestazioni complessive del sistema. L’approccio improntato al fattore umano è diventato sempre più popolare man mano che l'industria dell'aviazione commerciale, forse la più error free, si è resa conto che l'errore umano, piuttosto che il guasto meccanico, è alla base della maggior parte degli incidenti aerei.
Nel panorama scientifico italiano, un tentativo concreto di cavalcare questo indirizzo è stato compiuto nel campo della psicologia, attraverso la promozione di diversi studi e iniziative improntate all'analisi dell’errore umano10, allo sviluppo di metodi e strumenti per supportare le capacità dell’individuo di garantire la sicurezza, anche avviando collaborazioni sul tema con la parte tecnico-ingegneristica, senza che questo si sia tramutato però in un approccio epistemologico permanente.
Il cerchio della sicurezza non sembra però ancora chiudersi. Come nel gioco enigmistico “unisci i puntini”, resta ancora una parte irrisolta per svelare l’immagine e mostrare il sentiero segreto per raggiungere una sicurezza accettabile nei luoghi di lavoro. Diciamo sicurezza accettabile perché, si sa, la sicurezza assoluta non esiste. Non foss’altro perché l’imponderabile è sempre in agguato.
Se si considera il modello basato sui fattori umani euristicamente probante, allora occorre mettere in primo piano un altro tassello dell’impianto prevenzionistico: il ruolo svolto dal sistema di relazioni, dalla cultura del contesto di riferimento, che influenzano la mentalità e l’agire più o meno sicuro. Questo perché il contesto influenza prepotentemente anche il comportamento (certo o incerto) dei lavoratori nell’ambiente di lavoro. I rapporti interpersonali e le dinamiche organizzative risultano spesso determinanti nello scenario infortunistico. Focalizzarsi sul sistema delle relazioni, sulle nuove asimmetrie che vedono la massa di lavoratori intenti a guadagnarsi (o preoccupati a mantenere) il posto di lavoro prima ancora di esigere la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, diventa così imprescindibile.
E, nel passaggio obbligato alla sicurezza nei luoghi di lavoro: dall’ “approccio tecnocentrico” ad “approccio sistemico”, devono essere pertanto aggiunti gli aspetti organizzativi e quella che noi definiamo la cultura del contesto situato d’azione. Con questa espressione intendiamo il teatro di trasmissione sociale delle regole, degli atteggiamenti e delle pratiche che contribuiscono alla costruzione della sicurezza. Una strada da realizzare, seppur tentativi, anche concreti, in tale direzione sono stati compiutamente realizzati11.
Nell’approccio sistemico ogni tassello della sicurezza deve essere messo al suo posto, ogni aspetto legato agli altri in un modello di influenze reciproche. In questa cornice, a quella che può essere definita la dimensione sociale della sicurezza deve essere attribuita la qualifica di “componente del sistema” prevenzionistico, per consentire di intercettare e prevenire una serie di eventi infortunistici comportamentali, oggi sempre più nesso di causalità.
La dimensione sociale della sicurezza deve necessariamente prendersi il ruolo di protagonista che le spetta all’interno delle politiche di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Può essere osservata come parte vulnerabile che contribuisce all’incidente, oppure come parte che riesce a rinforzare l’impianto prevenzionistico.
Osservare, analizzare e valutare l’entropia sistemica, fatta di sovrapposizioni, distorsioni e contaminazioni che caratterizzano i sistemi sociali, anche negli ambienti di lavoro, deve essere la base iniziale di un concreto studio sulla sicurezza.
Un richiamo all’interesse delle scienze sociali per la sicurezza nei luoghi di lavoro si è rapsodicamente affacciato negli ultimi anni in alcuni ambienti accademici. Federici e Romeo12, affrontano dal punto di vista sistemico il percorso che introduce allo studio della sicurezza in una prospettiva sociologica. Prospettiva che tocca ogni ambito dell’azione sociale e fa risaltare il ruolo cruciale del contesto, nella duplice faccia della medaglia: safety e security13.
La ricerca sociologica può contribuire ad analizzare i dati raccolti prima ed eventualmente dopo un incidente, individuando problemi non immediatamente visibili affiancando così i modelli ingegneristici e consentendo di cogliere la complessità dell’interazione degli elementi all’interno dei sistemi di lavoro socio-tecnici (UMA). Riteniamo che l’intervento del sociologo sul luogo di lavoro o dell’infortunio permetta di individuare il legame o i legami che uniscono gli elementi del sistema gli uni agli altri e consentire di proporre soluzioni coerenti per la prevenzione degli incidenti e/o la loro analisi.
La questione della rilevazione dei dati statistici relativi agli infortuni nei luoghi di lavoro, compresa l’individuazione delle cause che hanno portato all’evento avverso, è un aspetto molto importante ai fini della programmazione delle politiche di salute e sicurezza. L'analisi dei dati, infatti, è una precondizione per l'approntamento dei programmi di prevenzione, per individuare le aree di rischio, per definire le priorità nella scelta delle azioni, per valutarne l'effetto e introdurre correttivi. Se questo non avviene, il risultato non risolve in problema, oppure il problema non era quello che era stato inizialmente affrontato.
Più di qualunque altro approccio, quello sociologico, potrebbe aiutare a far vedere al centro del sistema sicurezza le relazioni e le sub-culture che si creano negli ambienti di lavoro e che possono condurre a situazioni critiche. Si sa, come in ogni sistema sociale, il comportamento del singolo sul lavoro è condizionato e influenzato dalle altre persone, dai ruoli, dai valori, dalle norme e dalle variabili che caratterizzano quello specifico contesto. Ricoprono allora un ruolo decisivo, anche per la sicurezza, i processi di socializzazione che si attivano all’interno dell’organizzazione poiché contribuiscono alla costruzione di senso a quei comportamenti che si tengono sui luoghi di lavoro, che devono essere portati in evidenza.
Concentrarsi sulla dimensione sociale vuol dire far emergere l’accezione valoriale della sicurezza, l’insieme delle credenze, delle norme, degli atteggiamenti e delle pratiche, indirizzate (o non indirizzate) che rappresentano il modo in cui la società e i singoli membri vedono, pensano o discorrono dell’organizzazione e della sicurezza del lavoro, che svolgono un ruolo cruciale come causa di incidenti e sulle questioni legate alla sicurezza.
Potere, dinamiche relazionali, apprendimento organizzativo, comunicazione organizzativa, cultura organizzativa, simbolismo organizzativo, per citarne alcuni, sono meccanismi di funzionamento sociali, ampiamenti studiati dalle scienze sociali, che concorrono a strutturare schemi e modelli di comportamento penetrando in profondità nei processi e condizionano le pratiche di sicurezza.
L’approccio sociologico risulta fondamentale sia teoricamente, per promuovere e rinnovare l’autoriflessione sugli eventi infortunistici e prospettare ipotesi di dinamicità, di cambio di paradigma, sia empiricamente, per fornire il proprio contributo alla costruzione di organizzazioni affidabili. L’incorporazione delle competenze sociologiche nella sicurezza costituirebbe anche un’opportunità nella costruzione pratica dell’impianto prevenzionistico delle organizzazioni che, all’approccio tecnico-ingegneristico, potrebbero aggiungere il collante di matrice sociologica.
Sociologia delle organizzazioni, sociologia del lavoro, sociologia dei gruppi, sociologia industriale, sociologia del rischio costituiscono così branche della sociologia che possono contribuire a dipanare l’intreccio tra dimensione tecnica e sociale sulla tematica sicurezza nei luoghi di lavoro.
La sociologia può svolgere un duplice compito: quello critico, che contribuisce a spiegare, e quello di sintesi e orientamento, che contribuisce a progettare e a ordinare allo stesso tempo. La competenza sociologica può e deve messa al servizio della sicurezza sul lavoro sia a livello teorico che pratico, per leggere la cultura del contesto situato d’azione, per osservare le connessioni sociali sul lavoro attraverso differenti punti di vista: come legami che uniscono (Durkheim); come integratori di parti di un tutto (Parsons); come tiri alla fune (Marx); come scambi tra attori razionali (Weber); come reti o web d’interazione emergenti (Simmel)14.
La sociologia che ha già fornito diversi studi del rischio, degli incidenti tecnologici e della sicurezza organizzativa alla fine del XX secolo.[15] Studi che hanno messo in evidenza come la percezione, il riconoscimento e la gestione stessa del rischio siano intimamente connessi e filtrati dalla specifica cultura, dall’orizzonte simbolico e dall’organizzazione sociale entro cui i soggetti si muovono e hanno fatto da apripista per condurre ad un salto epistemologico: lo spostamento progressivo dell’attenzione nella comunità scientifica dallo studio teorico del rischio a quello dalla costruzione sociale della sicurezza.
Lo stesso termine “cultura della sicurezza”, oggi tanto abusato, è nato negli anni ‘70 ad opera di un sociologo, B.A. Turner. A Niklas Luhmann, invece, dobbiamo la distinzione tra rischio e pericolo: cioè tra quei rischi che appaiono passibili di controllo da parte dell'uomo e quelli che sembrano invece eccederne le capacità operative. Si tratta spesso della stessa situazione vista da due prospettive diverse. Al sociologo tedesco Ulrich Beck dobbiamo la fortunata definizione di «società del rischio».
Questi sono solo alcuni dei contributi sociologici alla questione della sicurezza sul lavoro. Resta tuttavia ancora molta strada da fare sia in termini teorici che applicativi. In questa sede ci siamo limitati ad offrire un primo quadro delle opportunità che ha la sociologia per contribuire a curare la piaga sociale delle morti bianche. Utilizzando una metafora di Zygmunt Bauman, la sicurezza è “un puzzle da ricostruire”, nel quale sono necessari tutti i pezzi del gioco. L’immagine rappresentata nella scatola rende tutto più facile. La sicurezza nei luoghi di lavoro è uno spazio di intervento che richiama la necessità di coabitazione fra approcci differenti poiché lo studio dei comportamenti umani sembra richiedere un superamento della specializzazione per indirizzarsi verso ipotesi dinamicamente relazionali tra le varie discipline, tecniche e sociali.
Il Comitato per lo sviluppo sociale della cultura della sicurezza del lavoro dell’ASI Associazione Sociologi Italiani è nato proprio per stimolare tale dibattito, con l’aspettativa ambiziosa di accendere i riflettori sul problema per stimolare il dibattito sociologico sulla questione. Ci auguriamo che la nostra riflessione dia il via ad altri contributi sul tema. Con la consapevolezza che innovare vuol dire anche destabilizzare.
[1] Questi incidenti sono accaduti rispettivamente il 3 maggio 2021, il 14 febbraio 2022 e il 18 dicembre 2021.
[2] Inail, Relazione annuale Inail 2021: dopo la pandemia l’impegno dell’Istituto per una ripresa nel rispetto della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, (in rete). Vedi anche, Relazione annuale del Presidente Franco Bettoni, 25 luglio 2022, (in rete).
[3] Fonte: Inail, Appendice statistica alla Relazione annuale, cit., (in rete).
[4] Molto sommariamente per sicurezza sul lavoro si intende una condizione che garantisca al lavoratore un luogo di lavoro in cui sia fatto tutto il possibile per evitare il rischio di incidenti. In Italia la sicurezza sul lavoro è normata dal Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni, noto come "Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro". Al di là del piano normativo l’idea di sicurezza è un concetto dinamico e multidimensionale, tanto che servono diverse discipline per descriverla: economiche, politiche, normative, tecniche e tecnologiche, psicologiche, sociali e così via.
[5] Le norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori emanate a partire dalla seconda metà del secolo scorso e l’evoluzione tecnica e tecnologica, seppur abbiano avuto ed abbia un ruolo fondamentale nell’abbassamento della curva degli incidenti, non sembra sufficiente per creare ambienti di lavoro sicuri.
[6] L’approccio tecnocentrico vede nella tecnologia una risorsa per aumentare la sicurezza e nell’uomo l’anello debole del sistema.
[7] Cfr., tra gli altri: Campagna Informativa “Impariamo dagli Errori” di ATS Monza Brianza, https://www.ats-brianza.it/it/casi-infortuni.html; Flight Safety FoundatioN, The Human Factor Implications for Flight Safety of Recent Development In the Airline Industry, in Flight Safety Digest, March-April 2003; Delle Fratte A., Determinanti di rischio e cause degli infortuni. Risorse umane in azienda, anno V, n. 40, 1994; Grassani E., L’errore come causa di infortunio, Editoriale Delfino srl, 2003; Chialastri A., Human Factor. Sicurezza & Errore Umano, IBN Editore, 2012; Bisio C., Gestione della sicurezza nei sistemi sociotecnici. Resilienza, incidenti e complessità nella sicurezza industriale, EPC Editore, Milano, 2019.
[8] L’incidente alla ThyssenKrupp di Torino avvenne tra la notte del 5-6 dicembre 2007 e costò la vita a sette operai. I processi hanno portato alla condanna dei manager dell’azienda per omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio e antinfortunistici. Il caso Eternit ha portato alla condanna per “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche” per la morte di migliaia di persone uccise dall’amianto respirato in quattro fabbriche Eternit. Il disastro aereo di Linate avvenne l’8 ottobre 2001: morirono 118 passeggeri. La causa è stata attribuita ad una serie di errori umani. (D. Novelli, ThyssenKrupp. L’inferno della classe operaia, Sperling & Kupfer, 2008 - R. Altopiedi, Un caso di criminalità d’impresa: l’eternit di Casale Monferrato, L’Harmattan Italia, 2011 – Catino M., Da Chernobyl a Linate. Incidenti tecnologici e errori organizzativi, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2006. Edizione riveduta e aggiornata).
[9] La disciplina racchiude una varietà di studi redatti principalmente in lingua inglese e rivolti perlopiù ad un pubblico specializzato.
[10] Cfr., ad esempio: Kahneman D., Pensieri lenti e veloci, Mondadori Editore, Milano, 2012 - Lehrer J., Come decidiamo, Codice Edizioni, Torino, 2009 - Motterlini M., Trappole mentali, Rizzoli, Milano, 2008 - Nassim N.T., Il cigno nero, Saggiatore Edizioni, Milano, 2008 - Reason J., L’errore umano, EPC editore, Roma, 2014.
[11] Cfr, ad esempio: Dekker S., Sicurezza e pensiero sistemico, Hirelia Edizioni, Milano, 2012 – Bisio C., Gestione della Sicurezza nei Sistemi Sociotecnici, EPC Editore, Ed. 2019 – Hollnagel E., Safety-I e Safety-II. Il passato ed il futuro del safety management, Hirelia Edizioni, 2016 – Servadio M., Safety leadership e comunicazione efficace. Fattore umano, sicurezza sul lavoro e interventi nelle organizzazioni, EPC Editore, 2015 - Cipolla C., Mazzetti M., Veneri L., Sicurezza e salute sul lavoro Quale cultura e quali prassi? FrancoAngeli, 2015 – Chialastri A., Human Factor. Sicurezza & Errore Umano, IBN Editore., 2012 - Gherardi S., Murgia A., L’in-sicurezza sul lavoro tra imposizioni formali e pratiche quotidiane, FrancoAngeli, 2015 - Gherardi S., Le micro-decisioni nelle organizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1990 - Gherardi S., Apprendere nelle organizzazioni, Carrocci, 1994.
[12] Cfr., Federici M.C., Romeo A., Sociologia della sicurezza, Mondadori, Milano, 2017.
[13] In Italia si parla genericamente di sicurezza ma la suddivisione anglosassone specifica la differenza tra Safety e Security. Con la prima si intende la sicurezza dei lavoratori e con la seconda la sicurezza dei cittadini.
[14] Cfr., Hachen Jr, D.S., La sociologia in azione. Come leggere i fenomeni sociali, Carocci, Roma, 2003.
[15] Cfr., tra gli altri, Luhman N., Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano, 1996. Beck U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Feltrinelli, Milano, 2013. Douglas M. e Ferraro G., Purezza e pericolo. Un'analisi dei concetti di contaminazione e tabù, Bologna, Il Mulino, 2003 – Giddens A., Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994 - Douglas M., Come pensano le istituzioni, Il Mulino, Bologna, 1990.
Pubblicato il: 27/02/2023
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