/ News / Approfondimenti / Interventi e commenti
Approfondimento a cura di Mario Gallo, Professore a contratto di Diritto del Lavoro nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
Il “Testo unico” della salute e sicurezza sul lavoro n.81/2008, quest’anno compie i suoi primi dieci anni di vita ed è, quindi, tempo di bilanci; la complessa riforma della disciplina antinfortunistica varata nel 2008, al di la di alcune incertezze di fondo, frutto anche del travagliato quadro politico dell’epoca, costituisce un importante passo avanti sulla strada della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto perché ha rimodulato il modello prevenzionale europeo della cd. “sicurezza partecipata”, riadattandolo alle specificità che caratterizzano il quadro produttivo italiano.
Dato certamente positivo è l’enfasi che è stata posta dal legislatore anche sul concetto di “sicurezza organizzata”, che emerge sia nell’art. 28 che nell’art.30 del D.Lgs. n.81/2008, che, invero, va ben oltre l’istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) e impone al datore di lavoro una nuova logica gestionale basata sull’adozione di una specifica organizzazione aziendale per gestire i molteplici e complessi processi di safety, che abbracci l’intero sistema aziendale e tenga conto anche dei rapporti di fornitura, in diretto collegamento anche con la “frustante” disciplina sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti in genere prevista dal D.Lgs. n.231/2001.
Invero, a questo notevole salto qualitativo non ha fatto eco, tuttavia, anche una rimodulazione del regime previsto per il SPP che, bisogna riconoscere, era ed è necessaria viste le diverse zone d’ombra che si rilevano ancora oggi, soprattutto intorno alla figura del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e, in particolare, all’estensione della sua posizione di garanzia.
Sotto questo profilo non c’è dubbio che l’emanazione del D.Lgs. n.195/2003, se da un lato ha professionalizzato tale soggetto della prevenzione e previsto dei meccanismi minimi di qualificazione dall’altro, però, lo ha reso per certi versi quasi un “tuttologo” della sicurezza e ne ha ampliato anche le responsabilità penali come emerge in modo nitido dalla giurisprudenza di legittimità che si è formata nel corso degli anni e che ne ha meglio delineato i tratti somatici ([1]).
Appare necessario, quindi, focalizzare l’attenzione sugli ultimi orientamenti espressi dalla S.C. di Cassazione che, come vedremo, partendo da un ormai consolidato indirizzo circa il ruolo che tale figura è chiamata a svolgere, ha fornito magistralmente diversi e importanti insegnamenti in ordine alla portata del principio di autonomia del RSPP, al suo obbligo di diligenza, al contenuto del suo dovere di collaborazione nella valutazione dei rischi e l'omissione colposa al potere-dovere di segnalazione.
Per meglio comprendere la portata di questi ultimi indirizzi giurisprudenziali appare necessario preliminarmente compiere una breve ricostruzione del ruolo dell’orientamento di fondo che si è ormai consolidato in merito alla figura in esame; la S.C. di Cassazione, infatti, in diverse occasioni ha affermato graniticamente che il RSPP non ha un ruolo operativo ma, per effetto delle attribuzioni riconosciute dall’art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008 al Servizio di Prevenzione e Protezione, si deve concludere che lo stesso ha importanti “funzioni di supporto informativo, valutativo e programmatico ma non ha poteri gestori che possano fondare un'autonoma sfera di responsabilità” ([2]).
Si tratta, quindi, di funzioni che rendono il RSPP un fondamentale ausiliario strategico del datore di lavoro che, pur se privo di un effettivo potere decisionale, può essere chiamato a rispondere, anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività allorquando, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro, ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale.
Il RSPP, pertanto, risponde insieme al datore di lavoro di un evento dannoso derivante dal suggerimento sbagliato o dalla mancata segnalazione essendo a lui ascrivibile un titolo di “colpa professionale” che, per altro, può assumere anche un carattere addirittura esclusivo ([3]).
Appare evidente, quindi, che la giurisprudenza alla luce dei principi consacrati prima nel D.Lgs. n.626/1994, e ora nel D.Lgs. n.81/2008, ha inquadrato tale figura come di staff e non di line, di conseguenza pianamente assimilabile a un consulente strutturato del datore di lavoro che, anche per tale ragione, non assume una responsabilità penale in conseguenza della commissione di reati di pericolo opzione, questa, che non è stata scelta dal legislatore con la riforma del D.Lgs. n.81/2008; la responsabilità, quindi, è circoscritta ai reati di danni nei casi di omicidio e di lesioni colpose di cui agli artt. 589 – 590 c.p. ([4]).
Su tali orientamenti fondamentali si è modellata, quindi, la successiva produzione giurisprudenziale che ha trovato la massima espressione nella sentenza delle Sezioni Unite del 18 settembre 2014, n. 38343, relativa al ben noto caso “Thyssen”.
La vicenda affrontata è, ormai, tristemente nota e qui occorre solo ricordare che dopo la mezzanotte del 5 dicembre 2007 nello stabilimento di Torino della ThyssenKrupp si sviluppò un incendio che costò la vita a sette operai a causa delle gravi ustioni riportate e per la quale furono imputati e condannati l’amministratore delegato, i membri del comitato esecutivo, il responsabile della pianificazione degli investimenti antincendio e lo stesso RSPP.
In tale circostanza la S.C. di Cassazione si è trovata di fronte ad una situazione che, invero, risulta essere molto diffusa nella prassi aziendale, ossia l’assunzione da parte del RSPP anche di altri incarichi tipicamente operativi o, addirittura, dirigenziali (anche di fatto) realizzandosi, così, una fattispecie di sommatoria di attribuzioni che potrebbero snaturare proprio il suo ruolo prevenzionale attribuito della norma.
Nel caso di specie il RSPP si è difeso lamentando di non ricoprire alcun ruolo di dirigente di fatto per quanto riguarda le manutenzioni e le emergenze come gli è stato contestato, non avendo lo stesso l’autonomia di spesa e decisionale ma la sola delega di funzioni per l'area ecologica mentre i settori della manutenzione e dell'emergenza erano attribuiti ad un altro dipendente.
Al tempo stesso ha fatto rilevare, inoltre, che “Non ogni episodico fattuale esercizio di funzioni inerenti ad una qualifica comporta l'assunzione della carica. C.C. non esercitava in modo continuativo e specifico i poteri propri della qualifica dirigenziale”; la S.C., tuttavia, ha confermato la decisione di secondo grado rilevando che per il RSPP la posizione di garanzia deriva, al di là dell'assenza della formale qualifica di dirigente, dall'ampiezza delle funzioni e dei poteri all'interno dello stabilimento.
In sostanza per i giudici “era responsabile, e dotato di poteri gerarchici, in un settore che si occupava anche di organizzare il monitoraggio per la manutenzione degli impianti, con la collaborazione dell'ing. Lc” nonché era altresì “responsabile dell'organizzazione del personale e dei mezzi di emergenza in caso di incendio. Da lui dipendevano i componenti delle squadre di emergenza”, assumendo così un ruolo che “ha una evidente connessione con le funzioni operative di prevenzione primaria e secondaria” e che si esplicava anche mediante disposizioni aziendali in materia di organizzazione delle emergenze.
È anche emersa, infatti, la disposizione impartita ai capi turno di assumere su di sé anche la responsabilità dell'emergenza, “disposizione che costituisce ordine gerarchico con il quale il dirigente attua le direttive del datore di lavoro”; di conseguenza l'aver agito operativamente e gerarchicamente nell'organizzazione della manutenzione e dell'emergenza fa dell'imputato un dirigente di fatto e come tale titolare di posizione di garanzia.
In pratica, quindi, si è verificata una confusione di ruoli in quanto il RSPP è un soggetto che, come ricordano ancora i giudici di legittimità, ha il compito di coordinare il SPP che è una struttura che “svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: essa, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze. In breve, un lavoro in équipe” ([5]).
Il SPP, quindi, è “privo di un ruolo gestionale, decisionale, e svolge solo una funzione di supporto alle determinazioni del datore di lavoro” e, in particolare, il RSPP ha l’obbligo di “svolgere in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico, il compito di informare il datore di lavoro e di dissuaderlo da scelte magari economicamente seducenti ma esiziali per la sicurezza”; per i giudici di legittimità, invece, il ricorrente non avrebbe adempiuto né ai suoi doveri di RSPP, né a quelli di dirigente ([6]).
Il principio di autonomia del RSPP è funzionale, quindi, al corretto svolgimento dei compiti ad esso assegnati dal D.Lgs. n.81/2008, soprattutto per quanto riguarda la valutazione dei rischi che, bisogna ricordare, costituisce il fondamentale ambito in cui si realizza la collaborazione tra tale figura e il datore di lavoro; tale principio, inoltre, tutela il RSPP anche da possibili vincoli qualora, rispetto alla necessità di una valutazione di uno specifico rischio, sia necessario chiedere al datore di lavoro l’assistenza di specialisti esterni.
Proprio in ordine a questo obbligo di collaborazione occorre anche osservare che recentemente la S.C. di Cassazione, sez. IV pen., si è espressa nuovamente con la sentenza 7 settembre 2017, n. 40718; la vicenda riguardava l’infortunio di una lavoratrice di una macelleria che mentre stava servendo un cliente introduceva manualmente un quantitativo di carne nella macchina tritacarne, priva di qualsiasi dispositivo di protezione dell'apertura di carico, di modo che la mano della stessa entrava in contatto con gli organi in movimento e rimaneva ivi intrappolata con la macchina in funzione, riportando così gravi lesioni che comportavano l’amputazione della mano sinistra.
I giudici di legittimità hanno riconosciuto la responsabilità penale sia del datore di lavoro che del RSPP per il reato di lesioni personali colpose di cui all’art. 590 c.p., contestando a quest’ultimo di aver individuato e valutato il rischio in questione in maniera “ambigua”, adottando nel DVR una dizione che sembra descrivere una situazione già conforme alle esigenze di sicurezza, piuttosto che imporre una necessità di adeguamento della macchina, pacificamente non rispettosa della normativa di sicurezza di cui al D.P.R. n.547/1955 al momento del fatto.
Né ha chiarito secondo i giudici “la situazione la prescrizione formulata nell'ultima pagina del DVR, e cioè di «mettere in sicurezza il tritacarne secondo la Direttiva Macchine 42/2006» - a tacere della verosimile aggiunta di tale pagina successivamente all'infortunio - posto che la citata Direttiva Macchine non era ancora entrata in vigore (ciò sarebbe avvenuto solo il 29.12.2009), per cui è stato ritenuto incongruo il riferimento ad una normativa al momento non imperativa, invece che alle vigenti previsioni in materia di sicurezza (art. 70 L. 81/08 che richiama l'art. 395 d.P.R. 547/55)”.
Secondo i giudici il RSPP avrebbe dovuto far enunciare nel DVR espressamente e specificamente l'intervento di messa in sicurezza della macchina (apposizione della piastra di riduzione del diametro del collo di alimentazione), con la contestuale indicazione della necessità di adempimento in termini di cogenza, urgenza ed indifferibilità, data l'incombenza del rischio oggetto di valutazione e prevenzione.
Tale figura, quindi, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico, e di collaborare con il datore di lavoro al fine di pervenire ad una valutazione veritiera, quindi, individuando gli effettivi rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli; nel caso de quo, pertanto, sulla base di quanto stabilisce il già citato art. 33 del D.Lgs. n.81/2008, il RSPP avrebbe dovuto “...individuare i fattori di rischio ed elaborare le relative misure protettive e preventive, nel caso costituite dalla necessità di imporre l'installazione del paramani sulla macchina tritacarne, ai sensi del D.P.R. 547/55, non potendo egli fare affidamento sulla conoscenza del rischio da parte del titolare dell'azienda”.
La valutazione dei rischi, quindi, dovrebbe essere un quadro fedele e, al tempo stesso, dovrebbe essere anche connotata dalla specificità; quest’ultimo importante elemento è finito per altro nuovamente sotto i riflettori della S.C. di Cassazione, sez. IV pen., che nella sentenza 11 aprile 2017, n. 18153, ha fornito alcuni ulteriori orientamenti di notevole rilevanza.
Il caso affrontato riguarda la morte di un operaio avvenuta all’interno di uno stabilimento industriale durante le operazioni di montaggio di un pistone, effettuate in occasione della manutenzione straordinaria del forno fusorio e delle relative attrezzature ausiliarie.
I giudici hanno riconosciuto la responsabilità penale oltre che del datore di lavoro anche del RSPP per il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. “per non aver dettagliatamente valutato nel documento di valutazione dei rischi per la sicurezza, i rischi derivanti dalla fase di manutenzione straordinaria del forno fusorio e delle relative attrezzature ausiliarie e, conseguentemente, per non aver specificamente indicato le misure preventive e protettive da adottare nei confronti dei lavoratori durante la fase di smontaggio e successivo rimontaggio degli organi meccanici e degli impianti che compongono il predetto forno” ([7]).
Nel caso di specie il RSPP aveva omesso di segnalare la situazione di pericolo connessa alle fasi di rimontaggio del pistone, relativamente al pericolo di caduta dello stesso, o comunque non aveva segnalato al datore di lavoro l'opportunità circa l'adozione di procedure e tecniche del tipo di quelle costituite dall'utilizzo del tirante-regolatore.
Per altro viene sottolineato dalla S.C. di Cassazione che dagli atti risultava anche il RSPP aveva sottoscritto il DVR senza riserve e senza indicare parti da integrare e/o modificare; inoltre, dalle testimonianze rese “.....era emerso che l'unica misura precauzionale seguita in azienda (e quindi, da ritenere, quantomeno non osteggiata dal RSPP) era quella di far posizionare gli operai che partecipavano alle operazioni di montaggio al di fuori della traiettoria di eventuale caduta del pistone”.
Allo stesso RSPP, inoltre, è stato anche contestato di non aver mai dichiarato nel processo di aver sollecitato e/o suggerito al datore di lavoro, e più in generale ai vertici aziendali, l'adozione di misure del tipo di quelle del tirante-regolatore, o comunque anche eventualmente di altre misure idonee a prevenire adeguatamente il rischio della caduta del pistone durante le fasi di rimontaggio.
Sul RSPP grava, quindi, lo specifico dovere di segnalare i fattori di rischio e le misure da prevenzione e protezione da adottare; la mancata comunicazione costituisce, pertanto, una grave violazione in quanto impedisce l'attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento.
Sotto questo profilo come è stato evidenziato dalla S.C. di Cassazione, sez. IV pen. nella sentenza 11 marzo 2013, n. 11492, l’omissione al potere - dovere di segnalazione può costituire (con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio; con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe rectius, è chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell'art. 113 c.p., e art. 41 c.p., c. 1, dell'evento dannoso derivatone.
Per altro la S.C. di Cassazione nella stessa sentenza ha anche affermato che in caso d’inerzia del datore di lavoro nell’attuare le misure di adeguamento suggerite il RSPP è anche tenuto a reiterare la segnalazione.
In definitiva, quindi, il RSPP occupa una posizione di garanzia primaria del diritto alla salute del cittadino lavoratore (art. 32 Cost.), soprattutto per quanto riguarda la valutazione dei rischi e la segnalazione delle carenze e delle misure da adottare; il primo passaggio fondamentale per rendere il RSPP pienamente consapevole del suo ruolo e delle correlate responsabilità è la formazione di qualità incentivata dal recente Accordo Stato – Regioni del 7 luglio 2016 ([8]).
Per tale motivo il ruolo deve essere svolto in piena autonomia evitando, pertanto, l’assunzione anche di altri incarichi tipicamente gestionali che la potrebbero comprometterla come, ad esempio, quella di delegato ai fini della sicurezza (cfr. artt. 16 e 17 D.Lgs. n.81/2008) ([9]), e al tempo stesso “Non deve esserci un filtro tra datore e RSPP, in quanto i RSPP sono penalmente responsabili nel caso di omessa segnalazione di una situazione di rischio. La norma, di grande importanza pratica, libera di fatto il RSPP da influenze di soggetti che non hanno competenze tecniche. Il rispondere direttamente al datore di lavoro indica l’esistenza di un rapporto privilegiato” ([10]).
Sotto tale profilo occorre ribadire che l’assunzione dell’incarico di RSPP non determina che lo stesso occupi la posizione di “responsabile della sicurezza”; infatti, la S.C. di Cassazione, sez. IV pen., nella recentissima sentenza 7 giugno 2018, n. 25815, ha fermamente ribadito che “la mera designazione dei responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” ([11]).
Invero, la designazione del RSPP non equivale a delega di funzioni utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di trasferire ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori; posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa ([12]).
[1] Per una ricostruzione del quadro evolutivo del ruolo del RSPP si veda Rocco Vitale, Responsabile del servizio manager della sicurezza, EPC editore, Roma, 2016, p.7 e ss..
[2] Cfr. ex multis Cass. pen. Sez. IV, 6 giugno 2011, n. 22334.
[3] Cfr. ex multis Cass. pen. sez. IV, 21 dicembre 2006, n. 41947; Sez. IV, 21 dicembre 2010, n.2814.
[4] Per un approfondimento si veda Mario Gallo – Luigi Imperato, Il rapporto di lavoro e l’obbligazione di sicurezza, Caramanica Editore, Marina di Minturno, 2000, p.43 ss.
[5] Per un approfondimento si veda Paolo Pascucci, L’individuazione delle posizioni di garanzia nelle società di capitali dopo la sentenza “ThyssenKrupp”: dialoghi con la giurisprudenza, in I Working Papers di Olympus, n.10, Olympus, Urbino, 2012.
[6] Sul tema dell’autonomia del RSPP si veda anche Chiara Lazzari, L’organizzazione del sistema aziendale di prevenzione: soggetti ed obblighi tecnici, in I Working Papers di Olympus, n.30, Olympus, Urbino, 2014.
[7] Occorre osservare che il requisito della specificità della valutazione dei rischi deriva dall’art.28 del D.Lgs. n.81/2008, che per altro obbliga il datore di lavoro e il RSPP a valutare anche quei rischi legati alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui è resa la prestazione lavorativa. Per un approfondimento sia consentito segnalare Mario Gallo, Forme flessibili d’impiego e obbligazione di sicurezza: l’instabilità del rapporto di lavoro e la tutela del diritto alla salute, in Antonio Pileggi (a cura di), Forme flessibili di impiego e riforma del mercato del lavoro, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Sambucci Editore, Cassino, 2003, p.104 e ss.
[8] Si veda Rocco Vitale, Formazione obbligatoria: l’Accordo che modifica gli Accordi, in Mario Gallo (a cura di), Formazione obbligatoria. La disciplina dopo l’Accordo Stato – Regioni, Il Sole 24 Ore Editore, Milano, 2016, p. 5 e ss.
[9] Per un approfondimento sulla delega di funzioni si veda Lorenzo Fantini – Angelo Giuliani, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffrè Editore, Milano, p. 63 e ss.
[10] Raffaele Guariniello, Obblighi e responsabilità del Servizio di Prevenzione e Protezione nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Ambiente & sicurezza sul lavoro, n.11/2012, EPC Editore, Roma, p. 20 e ss.
[11] Cfr. anche Cass. pen. sez. IV, 26 aprile 2017, n.24958.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
25123 Brescia, c/o CSMT Università degli Studi di Brescia - Via Branze, 45
Tel 030.6595031 - Fax 030.6595040 | C.F. 97341160154 - P. Iva 03042120984
Privacy - Cookies Policy - Gestione segnalazioni-whistleblowing
Il sito utilizza cookie tecnici, ci preme tuttavia informarti che, dietro tuo esplicito consenso espresso attraverso cliccando sul pulsante "Accetto", potranno essere installati cookie analitici o cookie collegati a plugin di terze parti che potrebbero essere attivi sul sito.