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Un approfondimento di Sebastiano Plutino, DPO AiFOS certificato ai sensi UNI 11697:2017, iscritto ai registri AiCQ-SICEV
Come ormai tutti saprete il 16 luglio 2020 la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGEU) (nota come “sentenza Schrems II”) ha reso invalido l’accordo per il trasferimento dei dati fra UE-USA denominato “Privacy Shield”.
Fino al 16 luglio 2020 il Privacy Shield era considerato una garanzia adeguata ad effettuare trasferimenti di dati personali dai paesi europei verso le compagnie USA (“importatori di dati”) che vi avevano aderito.
Alla domanda “Come incide questo sulla mia attività?” la risposta appare complessa: facciamo un po’ di storia.
I grandi big dell’informatica sono in buona parte negli USA e già dagli albori delle reti di comunicazione hanno “collezionato” dati sul traffico e conservato moltissime informazioni (insieme correlato di dati) “nell’interesse degli utenti navigatori”. I big, i cui nomi sono Microsoft, Apple, Google, IBM, HP, Oracle, Amazon WS, Ebay, SalesForce, Cisco, Zoom, LogMeIn, Mailchimp, Facebook, Linkedin, …. e tanti tanti altri (si stima siano alcune migliaia. Il sito degli USA https://www.privacyshield.gov/list riporta circa 5.300 società che si sono iscritte al Privacy Shield), trasferiscono da molto tempo dati verso i loro sistemi, li raccolgono e li conservano. La tecnologia ha reso possibile utilizzare questa grande mole di dati (BIG DATA) per analisi mirate, per la creazione di profili e per fare affari; si è assistito quindi al fenomeno della monetizzazione dei dati.
Le prime direttive privacy hanno stabilito che i trattamenti dei dati personali dei cittadini europei dovessero avvenire nel rispetto dei diritti riconosciuti agli individui dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea
Nel 2000 è stato stilato un accordo (denominato “Safe Harbor”) fra l’Unione Europea e gli USA per garantire la corretta base giuridica dei trasferimenti di dati da “esportatori” UE a “importatori” USA e viceversa.
Nel 2015, a seguito di una causa, prima intentata dall’avvocato austriaco Maximilian Schrems (fondatore della associazione “NOYB – European Center for Digital Rights”) presso l’Autorità Garante Privacy Irlandese e poi portata davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il “Safe Harbor” è stato dichiarato non più valido in quanto il trasferimento dei dati negli Stati Uniti non garantiva, a un cittadino UE, gli stessi diritti di cui il cittadino UE godeva in Europa.
Visti gli enormi interessi in gioco, l’Unione Europea e gli USA, nel giro di pochi mesi (inizio 2016), hanno firmato un nuovo accordo per il trasferimento dati denominato “Privacy Shield”.
L’avvocato Schrems, ha successivamente avanzato dubbi circa l’applicabilità del “Privacy Shield” e, attraverso vari gradi di giudizio, si è arrivati alla sentenza del 16 luglio 2020 della Corte di Giustizia Europea (“Case C‑311/18”) che ha dichiarato:
La sentenza comporta però una miriade di problemi operativi su cui l’European Data Protection Board (EDPB = autorità europea che rappresenta l’unione delle Autorità Garanti per la protezione dati personali delle varie nazioni europee) ha iniziato a dare delle indicazioni risolutive (almeno in linea di principio).
In particolare, l’EDPB ha emesso delle FAQ in data 24 luglio 2020 e nella riunione plenaria del 2 settembre 2020 ha attivato due task force:
Il motivo del contendere sono gli interessi economici molto rilevanti relativi ai BIG DATA e la volontà degli USA di mantenere la posizione predominante sul mercato. Occorre inoltre ricordare che non esistono piattaforme europee che garantiscono gli stessi livelli di servizi e che sul mercato si affacciano le piattaforme cinesi (vedi Huawei), che potenzialmente pongono gli stessi punti interrogativi.
Torniamo alla domanda iniziale “Come incide questo sulla mia attività?”.
Per rispondere bisogna analizzare le proprie attività dal punto di vista della protezione dei dati; parte del lavoro dovrebbe già essere disponibile al momento che nel registro dei trattamenti sono già stati censiti i principali trattamenti. Esistono tuttavia alcuni “micro-trattamenti” (parti del trattamento) che prevedono il trasferimento di dati (anche personali) verso importatori USA senza che il Titolare ci abbia fatto particolare attenzione; è a queste parti del trattamento che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione.
Nel prosieguo fornirò alcune indicazioni proprio in merito a quelli che ho definito micro-trattamenti, così da consentire una più agevole individuazione dei casi in cui potrebbero configurarsi trasferimenti di dati personali negli USA senza che l’azienda ne sia pienamente consapevole.
Gli esempi proposti nel seguito fanno sempre riferimento ai trattamenti svolti da un’azienda, anche di piccole dimensioni:
In tutti questi trattamenti, come in molti altri non qui citati, il titolare esporta dati dei propri interessati a responsabili del trattamento collocati o basati al di fuori dello Spazio Economico Europeo. È, purtroppo, poco rilevante se l’archiviazione fisica dei dati trattati avvenga in Europa; la sentenza della CGUE sottolinea che è rilevante la legislazione a cui è sottoposta l’azienda importatrice e non la mera localizzazione del dato stesso. Le società che abbiamo nominato fin qui sono tutte società soggette alla legislazione USA, anche, quando il rapporto economico-contrattuale è stipulato dalla nostra azienda con una società europea ove questa è parte di un Gruppo internazionale a guida statunitense come diretta emanazione.
Molti dei trasferimenti di dati personali verso queste società erano basate sul Privacy Shield, ora invalidato, o sulle Clausole Contrattuali Standard, con i limiti intrinseci che queste hanno quando l’importatore è statunitense; nessuna delle due “garanzie per il trasferimento verso paesi terzi” è utilizzabile al momento perché non potrà garantire agli interessati gli stessi diritti loro riconosciuti dai paesi della UE.
Dal punto di vista dell’azienda, questi soggetti importatori sono “Responsabili del trattamento” ai sensi dell’art. 28 GDPR; è un compito del Titolare ricorrere a Responsabili che presentino garanzie sufficienti a garantire che il trattamento soddisfi i requisiti del GDPR.
Poiché l’art. 28 del GDPR definisce che è compito del Titolare ricorrere a Responsabili che presentino garanzie sufficienti a garantire che il trattamento soddisfi i requisiti del GDPR, sarà l’azienda titolare ad assumere su di sé l’onere di garantire che il trasferimento avvenga su basi giuridiche solide e garanzie adeguate. Al momento, se il Titolare decide di proseguire con i micro-trattamenti che abbiamo visto in precedenza, dovrà assumersi il rischio di una potenziale contestazione in caso di verifica avviata a seguito di richieste di un interessato.
Come si vede il problema appare complesso e di non facile soluzione. Poco aiuta guardarsi intorno e constatare che la qualificazione, requisito di conformità normativa, di moltissime società da parte dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) per l’erogazione di servizi cloud alla pubblica amministrazione poggia sull’ormai decaduto “Privacy Shield”.
In questo momento lo scenario è in evoluzione e non esistono facili soluzioni. Ritengo, tuttavia, doveroso che ogni Titolare agisca in modo trasparente con i propri interessati e, a questo scopo, consiglio di:
Non spetta a noi valutare se la sentenza sia giusta o ingiusta: bisogna rispettarla. Sarà compito del titolare valutare il rischio per proseguire con le proprie attività.
Vi informiamo che AiFOS ha individuato i trattamenti effettuati da società USA e sta procedendo ad aggiornare le proprie informative verso gli interessati rendendo più evidenti i micro-trattamenti effettuati con società USA; sta inoltre procedendo al monitoraggio e alla individuazione di possibili soluzioni alternative. Per alcuni trattamenti sembra attualmente impossibile evitare di utilizzare prodotti di società USA perché il mercato non offre soluzioni tecnologiche altrettanto valide sia dal punto di vista delle prestazioni tecniche che di sicurezza dei trattamenti e dei dati affidati.
Poiché la situazione è molto fluida, non si esclude che presto sia disponibile un provvedimento che ripristini la legalità dei trasferimenti di dati personali verso gli USA. Non esiteremo ad aggiornavi. Buon lavoro.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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