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Intervista a Sophie Her-Braga, una delle facilitatrici-partecipanti al Safety Barcamp 2024
Formatrice, consulente, Chief Happiness Officer, Master advisor dell’Italian Institute for Positive Organizations ed Equicoach, Sophie Her-Braga si impegna per la trasformazione culturale delle organizzazioni e la responsabilità sociale d'impresa, con un focus sul benessere delle persone, anche in contesti interculturali in particolare tra Italia e Francia.
Si parte con una domanda molto delicata! Sicuramente il benessere non corrisponde alla risposta veloce - e ogni tanto di facciata - che si fa quando ti viene chiesto “Come stai?”
Per me il benessere è una cosa molto complessa e molto profonda. Complessa perché va a toccare le nostre tre dimensioni individuali: fisica, emotiva e mentale. Profonda perché è uno stato che potremmo qualificare di serenità che nasce dall’equilibrio di queste tre sfere con quello che siamo veramente, anche a volte inconsapevolmente e permette di generare una chimica positiva nel nostro corpo. Complessa e profonda anche perché il benessere è uno stato che si può provare sul momento in riposta ad uno stimolo ma anche sul più lungo termine.
Già nel 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità definiva il benessere come lo “stato di completo benessere fisico, mentale, ambientale e sociale”. Questa definizione è interessante perché corrisponde al cruscotto della “Teoria del cervello tripartito” sviluppata da Paul MacLean tra gli anni 70 e gli anni 90 secondo lacuale il nostro cervello avrebbe conservato la stratificazione dell’evoluzione umana permettendoci di appagare i nostri bisogni di sicurezza, di soddisfazione e di socialità. Trattandosi di bisogni individuali, di conseguenza ognuno può definire in maniera specifica e unica le caratteristiche della propria esperienza di benessere anche a secondo del suo proprio momento di vita. Insomma il benessere è un concetto aperto, mutevole nel tempo che non si può definire in modo standardizzato.
Per finire vorrei far notare che spesso il benessere viene definito in contrapposizione al malessere che può anche lì manifestarsi nelle nostre tre sfere individuali. Invece dovremmo abituarsi a parlare di benessere in chiave positiva, riconoscendosi la possibilità di star bene. Esso è ben diverso di non star male! Questo è della nostra responsabilità individuale e collettiva. Il benessere è allo stesso momento suggestivo e universale. È un dritto per tutti di viverlo e un dovere di ciascuno di mantenerlo.
Seguendo il concetto del cervello tripartito, la declinazione del benessere in azienda è abbastanza facile da capire. Chi lavora ha bisogno di condizioni di lavoro che ovviamente non metta in pericolo la sua integrità fisica, ma anche di un ambiente che garantisca il raggiungimento dei bisogni individuali in termine di soddisfazione e che sia favorevole allo sviluppo di relazioni di qualità.
Se la legge 81/2008 sulla sicurezza che conoscete più che bene all’AIFOS regola la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, si fa molto più fatica a tutelare il campo della salute mentale - ancora di più quello emotivo - per un motivo semplice: la sicurezza fisica riguarda il nostro corpo che complessivamente ha delle caratteristiche simili per ognuno di noi, mentre la sfera mentale e la sfera emotiva definiscono la nostra personalità per non dire la nostra identità. In più, viene impattata dalle interazioni con gli altri. Per fortuna le scienze umane tale la psicologia e ormai le neuroscienze sono sempre più avanzate.
Oggi, nel 2024, il benessere nelle organizzazioni riguarda sempre di più la salute mentale sia perché la sicurezza è ormai tutelata, sia perché le organizzazioni stesse generano un livello di stress negativo sempre più alto che viene impattare appunto la sfera mentale. Questo malessere organizzativo è talmente diffuso che è riconosciuto come «stress lavoro correlato». Nel 2019, l’OMS ha addirittura riconosciuto il “burn-out” come fenomeno occupazionale. Infatti, i paesi della Comunità europea evidenziano come lo stress legato all’attività lavorativa sia il problema di salute più largamente diffuso tra i lavoratori europei. La condizione di stress interessa circa il 22% di loro. In Italia, due lavoratori su tre soffrono di stress e burnout.
Numerosi sono i motivi di malessere in azienda. Ne cito soltanto alcuni: carichi di lavoro eccessivi, richieste contrastanti, mancanza di chiarezza sui ruoli, scarso coinvolgimento nei processi decisionali, precarietà del lavoro, comunicazione inefficace, mancanza di sostegno da parte dei colleghi o dei superiori senza andare sulle molestie psicologiche e sessuali.
Infatti, quando proviamo un grande stress si attivano dei meccanismi di difesa che sono alla base di molti comportamenti ai quali assistiamo anche al lavoro e nelle relazioni professionali. Ma lo stress non è una malattia. È uno stato di prolungata tensione. Sul lavoro, può ridurre l’efficienza e determinare problemi di salute psicologica e fisica. L’agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro lo definisce “come una risposta emotiva che interviene quando le caratteristiche del lavoro non corrispondono alle capacità, risorse o bisogni dei lavoratori”. Non è un caso se 65% delle persone attive in Italia hanno come priorità un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale. È proprio perché sono consapevoli dell’emergenza.
Siccome passiamo 40 anni della nostra vita a lavorare, noi Chief Happiness Officer certificati dall’Italian Institute for Positive Organizations diffondiamo e agiamo in favore del benessere, anzi della felicità in azienda.
Anche lì, partendo di questi elementi di definizione lo si può capire facilmente. Il livello di stress negativo a cui le persone nelle organizzazioni sono sottoposte sta rendendo il sistema insostenibile. Ed è senza parlare del costo! Secondo l’Eu-Osha, il costo economico dello stress legato alla attività lavorativa in Europa è pari a 20 miliardi di euro l’anno (costi legati alla perdita di produttività, assenteismo per malattia, assistenza sanitaria ecc.).
Il Chief Happiness Officer ha come mission di lottare contro questa emorragia! In primis per motivi sociali e poi a catena per motivi economici. Detto diversamente un CHO ha come impegno di rendere l’ambiente di lavoro favorevole al benessere fisico, mentale e sociale per farsi che i collaboratori siano persone il più soddisfate possibile nella loro sfera professionale con gli impatti positivi che si possono generare per l’intera organizzazione e il suo intero ecosistema ma anche nella loro propria sfera privata e la sfera sociale.
Concretamente, chi incarna questa figura deve essere in grado di lavorare su quattro dimensioni dell’organizzazione: la cultura, la strategia e i processi, la leadership e il futuro. Nello specifico lavorerà in un modo coerente in favore di una cultura aziendale eco-sistemica, di processi che rinforzano il benessere individuale e collettivo, di un management che inspira invece di controllare e di una progettazione nel tempo che sviluppa le capacità evolutive dell’insieme.
Ad esempio, potrà contribuire all’emergenza di valori aziendali e renderli tangibili, oppure rendere l’Employee Experience la più positiva possibile dalla selezione alla partenza, affiancando i collaboratori nello sviluppo delle loro potenzialità o ancora contribuire alla progettazione di scenari in modo che l’azienda possa essere guidata in un modo il più consapevole e quindi più sostenibile.
Di conseguenza, un CHO agisce in modo trasversale, dentro e fuori l’azienda. Per esso deve essere dotato di competenze di comunicazione, di relazione, di strategia, e di pianificazione. Ma il suo lavoro dipenderà di tanti aspetti: da come è grande l’azienda, da come è strutturata in termine di collaboratori, di stabilimenti, dal suo piano strategico, eventualmente dalla sua attività ma innanzi tutto della volontà e della determinazione delle figure decisionali di mettere le persone a centro dell’attività.
Per quello il CHO non deve per forza essere una figura interna. Può essere come me consulente che affianca le aziende nel tempo per far che il benessere organizzativo sia una strategia vincente per loro.
Con questa modalità, le aziende possono mettere le persone al centro in modo progressivo portando piano piano risultati che permetteranno di combattere più facilmente il grande ostacolo al cambiamento: la resistenza culturale. Ho accompagnato ad esempio su più mesi una cooperativa sociale con un intervento a 360 gradi dalla formazione dello staff manageriale fino alla definizione di un piano strategico sul tema tramite sessioni individuali e analisi sistemiche, il tutto misurato con una fase di assesment di inizio e una di fine missione. Attualmente, affianco una start-up che vuole innescare il benessere organizzativo nel suo sviluppo e un’attività turistica che ha capito il valore del beneficio anche per i suoi clienti.
Mi piace sempre guardare nel retrovisore per vedere il percorso svolto. Magari anche perché accumulo ormai più di 25 anni di esperienza professionale in mondo aziendale sia come imprenditrice, che come manager o come consulente. Prima ho lavorato a livello gestionale e strategico, poi nell’ambiente della comunicazione e delle relazioni pubbliche in particolare tra Francia e Italia. Ma sempre ho visto l’azienda come parte attiva della società con uno sguardo attento e sincero a chi costituisce la vera ricchezza di un’organizzazione: le persone.
Nel 2017 sono stata chiamata da una società specializzata nella promozione del benessere in azienda. Lì ho toccato i livelli di malessere per non dire di sofferenza nel mondo professionale. L’anno successivo, sono stata coinvolta in un ambizioso progetto di trasformazione organizzativa: ancora una volta ho trovato conferma che per dare il meglio di sé le persone hanno bisogno di evolvere in un ambiente favorevole e di attribuire un senso alle proprie funzioni. Nello stesso periodo, ho dato avvio ad un percorso di crescita personale con i cavalli.
Dopo anni di frenesia nel giornalismo e le relazioni pubbliche al momento della pandemia ho colto l’opportunità per approfondire i temi legati alla sostenibilità, con un focus sulla dimensione umana e dare forma a quello che alla fine avevo sempre fatto in modo diverso. D’allora affianco le aziende perché creino relazioni positive e producono un impatto sociale reale verso futuri preferibili, lavorando anche a volta con esperti di vari orrizonti sotto il cappello “Regenerative People”.
Nessuno può negare il punto di rottura tra chi da lavoro e chi lavora. Il mercato del lavoro di oggi e ben diverso di quello di 10 anni fa. Alla pandemia hanno seguito delle onde di dimissioni. Ormai con l’accelerazione dell’intelligenza artificiale, le aziende in Italia come in altri paesi europei si trovano ad affrontare la scarsità di competenze adeguate a loro bisogni attuali e futuri. Un male per un bene che le porta a considerare di più chi lavora, pensando le risorse umane in termine di persone e non più soltanto di numeri.
Se la salute mentale fa parte dell’agenda dell’Unione europea sin al 2005 è solo dal 2016 che l’Italia ha dotato le aziende di strumenti fiscali per venire incontro al loro personale tramite benefits. Ma non è sufficiente: Una recente ricerca condotta dall’Osservatorio Sanità di UniSalute dimostra che gli italiani sono stressati e ansiosi, in particolare le donne e i giovani. Purtroppo pochi si fanno aiutare. Comunque gli attori pubblici italiani sembrano, dunq orientati con maggiore interesse rispetto al passato sulla salute mentale, tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale. Nelle aziende italiane secondo uno studio di Deloitte, nel 2021-2022 il benessere dei collaboratori era riconosciuto dai manager tra le priorità strategiche.
Tutto quello dimostra che stiamo vivendo un cambiamento. Anche nel linguaggio: In quaranta anni siamo passati dalla sicurezza al welfare aziendale. Oggi, si parla anche di felicità al lavoro nelle organizzazioni le più evolute.
Si tratta ovviamente di una tendenza sul lungo termine perché ci sono sempre casi particolari, situazione locali o settoriali che fanno più fatica ad avviare la transizione. Quando non fanno resistenza. Dopo circa 250 anni di un paradigma basato sulla competizione e sul profit, pensare l’azienda e fare impresa in una chiave positiva per le persone costituisce un profondo cambiamento culturale.
Infatti era la mia prima partecipazione al Safety Barcamp dell’AIFOS. E devo dire che ne sono molto felice. Ne avevo sentito parlare e mi incuriosiva. È stata una bella sorpresa: un format dinamico con una vera co-partecipazione, dei contenuti innovativi, un’organizzazione al top e delle persone positive. Il tutto in un contesto piacevole!
Ho potuto partecipare a vari workshop e ne ho animato uno. Siccome mi sembra opportuno far toccare quello che faccio in azienda, ho proposto un workshop sulla gestione dell’energia invece della gestione del tempo. Esso è un approccio fondamentale del nostro modo di vivere e quindi di lavorare. In un mondo sempre più fluido dove ci sono sempre meno confine tra il lavoro e la vita privata e dove le sollecitazioni sono permanente con una densità sempre più alta, non si può più trascorre le giornate in un modo sequenziale. Perché? Perché il tempo è limitato mentre la nostra energia non lo è! Dalla nostra capacità a gestirla – come si consuma e come si rigenera - dipende anche il nostro stato di benessere. Conoscere i suoi livelli di energia, scoprire pratiche per trovare le sue proprie strategie, praticare fino a dimenticare lo sforzo e farlo diventare routine è la strada giusta per chi non vuole farsi prendere dell’onda del sopraccarico e della confusione circondante. Così con i partecipanti abbiamo misurato la nostra energia individuale e collettiva, attivato la nostra chimica positiva e condiviso l’esperienza. È stato veramente bello. E spero che qualcosa i partecipanti si lo saranno portato a casa!
Vivi complimenti a tutti coloro che hanno fatto del Safety Barcamp 2024 un successo e all’AIFOS per la sua parte attiva del cambiamento nelle aziende. Questa giornata conferma il passaggio culturale che stiamo vivendo dalla sicurezza alla felicità.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
25123 Brescia, c/o CSMT Università degli Studi di Brescia - Via Branze, 45
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