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26 settembre 2025

Interventi e commenti

La propensione al rischio nei luoghi di lavoro: proteggere le persone (anche da se stesse)

Alcuni spunti di riflessione da Alessandra Marconato, docente nei corsi di formazione esperienziale e coach

La propensione al rischio nei luoghi di lavoro: proteggere le persone (anche da se stesse)

Negli ultimi giorni, la cronaca ci ha restituito eventi con un finale drammatico. Tanti, troppi come diciamo spesso. La domanda è sempre la stessa: com’è possibile? Non serve fare andare il pensiero verso scenari estremi: l’imprenditore che non investe un centesimo nella sicurezza, l’operaio che lavora senza dispositivi di protezione, il manager che firma un accordo milionario senza verificare le garanzie di sicurezza. La realtà quotidiana del lavoro mostra che la propensione al rischio non è solo una questione di imprudenze plateali. È piuttosto un atteggiamento, una disposizione, un modo di stare nel mondo che influenza le piccole e le grandi decisioni, spesso in modo silenzioso ma determinante, senza neanche rendersene conto. Perché?

Ogni giorno, milioni di lavoratori si trovano di fronte a situazioni dove si può decidere se stare seguire un modo ligio le regole o spingersi un po’ oltre. Questa tendenza a scegliere l’opzione più rischiosa o più prudente è ciò che viene chiamato propensione al rischio (risk propensity), che è la disposizione, più o meno stabile, che ciascun individuo ha nell’affrontare situazioni incerte, ambigue o potenzialmente pericolose. Non riguarda solo il “piacere del brivido”, come accade nello sport estremo, ma tocca decisioni quotidiane: accettare un incarico che non si sa se andrà a buon fine, proporre un’idea non convenzionale in una riunione, adottare una tecnologia ancora sperimentale. Questa tendenza non riguarda solo la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ma le scelte che compiamo ogni giorno, come attraversare la strada sulle strisce pedonali oppure no. O, come ho visto ieri sera, fare salire la propria figlia alta meno di 150 cm sul sedile anteriore dell’auto senza alzatina. Dobbiamo andare oltre allo schema mentale tale per cui alcuni comportamenti, atteggiamenti, competenze valgono solo ed esclusivamente per i luoghi di lavoro. La percezione e la propensione al rischio sono disposizioni trasversali e riguardano ogni ambito della nostra vita, seppur espresse in modo diverso.

È importante distinguere qui, il concetto di propensione al rischio da quello di percezione del rischio. Due persone con uguale propensione al rischio possono infatti valutare la stessa situazione in modo diverso: per una, avviare un nuovo progetto può sembrare un rischio calcolato; per l’altra, un salto nel buio. La percezione, cioè il modo in cui giudichiamo probabilità e gravità delle conseguenze, interagisce sempre con la propensione.

Un’altra distinzione utile è quella con l’avversione al rischio, termine spesso usato in economia. Se l’avversione indica la tendenza a evitare le situazioni rischiose, la propensione rappresenta l’opposto: la disponibilità ad assumerle.

Ma da che cosa dipende la propensione al rischio? La letteratura scientifica dice nasce dall’intreccio di fattori individuali e ambientali. Gli psicologi della personalità hanno osservato che alcuni tratti rendono più probabili i comportamenti rischiosi. L’estroversione e l’apertura all’esperienza, ad esempio, spingono a cercare stimoli nuovi e a tollerare l’incertezza. Al contrario, persone molto coscienziose tendono a essere più prudenti. Non a caso, i cosiddetti sensation seekers, individui alla ricerca di stimoli intensi e forti emozioni, mostrano, in genere, una spiccata propensione al rischio. Anche l’età gioca un ruolo importante. In media, i giovani sono più propensi a correre rischi rispetto agli adulti maturi, probabilmente perché hanno meno da perdere, vedono davanti a sé più possibilità di recupero in caso di errore o hanno una minore casistica di esperienze negative a cui riferirsi. Va anche ricordato che l’esperienza può avere effetti ambivalenti: da un lato aumenta la capacità di valutare i rischi in modo realistico, dall’altro può indurre a sottovalutarli perché “ci siamo già passati e tutto è andato bene”. Ed è qui che possono fare breccia i bias cognitivi, come quello dell’esperienza, e l’overconfidence, cioè l’eccessiva fiducia in se stessi che porta molte persone a sopravvalutare le proprie capacità e a sottostimare i pericoli, alimentando comportamenti rischiosi.

Inoltre, la propensione al rischio non dipende solo da ciò che siamo ma anche da ciò che viviamo ogni giorno sul lavoro. La cultura organizzativa è un elemento fondamentale. Nessuno è veramente immune dalla pressione sociale. Così, se il gruppo di lavoro in cui si è inseriti adotta atteggiamenti rischiosi, sarà più probabile che il singolo faccia lo stesso. Se invece vige un clima di prudenza e di rispetto delle disposizioni aziendali, la propensione individuale si ridimensiona.

Va inoltre ricordato che spesso, nell’immaginario collettivo, la percezione e la propensione al rischio sono collegati a lavori produttivi. Si è tagliato e non indossava i guanti; è caduto dal ponteggio e non indossava l’imbracatura; la scheggia è entrata nell’occhio e non aveva gli occhiali di protezione… Vale lo stesso principio quando il management fa scelte imprudenti a livello organizzativo nell’ambito della salute e sicurezza, sottovalutando i possibili rischi o non tenendo conto delle reali conseguenze.

Studiare la propensione al rischio non è semplice. Gli psicologi del lavoro utilizzano vari strumenti: questionari che indagano la disponibilità a rischiare in diversi ambiti; esperimenti e simulazioni decisionali; persino tecniche neuroscientifiche, per osservare come il cervello reagisce a situazioni di pericolo. Questi strumenti aiutano a capire non solo quanto un individuo sia propenso a rischiare, ma anche in quali circostanze. Perché la propensione non è una caratteristica fissa: può cambiare in base al ruolo, al contesto, al momento della vita. Le organizzazioni, però, non possono limitarsi a sperare che i propri lavoratori abbiano la “giusta dose” di propensione al rischio ma devono creare le condizioni per garantire salute e sicurezza, indipendentemente dal singolo e/o dalla somma dei singoli. Molti errori derivano da una percezione distorta del rischio. Corsi di formazione, simulazioni, analisi di casi reali aiutano i lavoratori a valutare meglio le probabilità e le conseguenze delle proprie decisioni. Il nuovo Accordo Stato-Regioni invita, tra l’altro, a utilizzare le metodologie attive per rendere sempre più partecipi le persone della loro formazione. La percezione del rischio è oggetto di formazione. La propensione al rischio è una caratteristica umana che può diventare, essa stessa, una fonte di rischio. La sfida per le organizzazioni è comprenderne l’esistenza, saperla riconoscere e gestire, individuando misure per proteggere le persone (anche da se stesse).

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