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Cosa c’è di nuovo all’orizzonte che può destare l’interesse del mondo della formazione sicurezza? La risposta di Rita Somma, consulente H&S, sociologa del lavoro, Consigliera nazionale AiFOS, e Giovanni Fanucchi, ingegnere con specializzazione in ambito Sistemi di Gestione Qualità, Ambiente e Sicurezza Lead Auditor 9001-14001-45001-21001
Si sa, la formazione costituisce uno dei pilastri portanti dell’impianto prevenzionistico di una Organizzazione. La formazione (ndr. efficace) non è la panacea di tutti i mali, ma rappresenta senz’altro un punto di partenza per poter operare in sicurezza. Un mondo, quello dell’istruzione e della formazione, che deve raccogliere continuamente nuove sfide, viaggiando in continua evoluzione, alla ricerca della strategia migliore per il conseguimento dei risultati attesi.
In questo scenario si inserisce quello che costituisce il primo standard di Gestione del Sistema di Istruzione, la più recente UNI ISO 21001:2019, un documento che specifica i “requisiti per un sistema di gestione per le organizzazioni di istruzione e formazione”, che riflette ed è espressione internazionale di buone prassi in tale ambito. Norma che è passata forse un po' in sordina, ma che è un luculliano crogiuolo di opportunità a cui guardare con attenzione come indirizzo nella definizione di prodotti e servizi per l’apprendimento efficaci, capaci di soddisfare i requisiti dei discenti e degli altri beneficiari. Scopo della norma, infatti, è quello di migliorare i processi e la qualità delle istituzioni educative ed i loro servizi.
Può, dunque, questo autorevole sagittabondo standard costituire un interessante riferimento a cui guardare anche per trovare il volano del cambiamento per migliorare l’efficacia della formazione sul versante della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e superare le storture applicative che hanno accompagnato l’ultimo decennio? Sì perché, si sa, che qualcosa non ha funzionato nel fondamento logico dell’applicazione pratica degli ASR sulla formazione alla sicurezza, che ha prodotto, troppe volte, corsi formali e non di sostanza. Una formazione il cui grimaldello interpretativo, troppo spesso, si è tradotto in un approccio meccanico e acritico che sviolina slides su slides, che poco o nulla incidono sui comportamenti dei lavoratori. Proveremo dunque a fare alcune considerazioni ripercorrendo la strada delineata dalla recente norma. Riflessioni a voce alta che potrebbero tornare utili anche in vista della definizione del nuovo AST che dovrebbe accorpare, rivisitare e modificare gli accordi attuativi in materia di formazione obbligatoria per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Senza il malcelato intento di fare pubblicità pseudo occulta ad una nuova nata della famiglia ISO, ci addentriamo nella questione facendo salire sul palcoscenico la UNI ISO 21001:2019. La norma è basata sulla ISO 9001:2015 ed elaborata attraverso l’applicazione della struttura ad alto livello, quindi facilmente integrabile con altri sistemi di gestione già adottati dalle organizzazioni. Trattasi di uno standard rivolto ai fornitori di servizi per l’apprendimento nell’istruzione e nella formazione non formale, quella cioè non rivolta alla creazione di titoli “a valore legale” (corsi di formazione professionale, di educazione permanente, di addestramento e aggiornamento dei lavoratori, comprese le scuole di lingue e quelle organizzazioni che svolgono attività di formazione tecnica qualificata) e può essere applicato a tutte le organizzazioni che forniscono un curriculum per lo sviluppo di conoscenze, abilità e attitudini attraverso diversi metodi formativi. Lo standard UNI ISO 21001:2019, a differenza della più generale norma UNI EN ISO 9001:2015, specifica i requisiti per un sistema di gestione caratteristico per le organizzazioni educative per cui, nel caso di utilizzo della norma UNI EN ISO 9001:2015, è richiesta una puntuale correlazione con la richiamata norma UNI ISO 21001:2019, andando a definire le linee guida per un efficace modello organizzativo per la qualità ed il controllo del servizio di formazione.
Con queste premesse, ed evitando di addentrarci ulteriormente nella complessità dell’impianto normativo, ci facciamo catapultare su quello che è il nocciolo della questione: “cosa c’è di nuovo all’orizzonte che può destare l’interesse del mondo della formazione sicurezza?” Puntiamo dunque i riflettori sulla norma e proviamo a metterne a nudo i requisiti. Bramosi di captare la mappa nascosta che porta al tesoro, quella per garantire un processo capace di supportare l’acquisizione e lo sviluppo di competenze, ci ritroviamo, quasi con stupore, a constatare che la strada delineata ricongiunge concetti già rapsodicamente masticati nel mondo della formazione, ma che ora si ritrovano lì, ciclostilati nero su bianco in un unico autorevole documento, che sembra elevarli di grado a condizione sine qua non. Nulla di particolarmente eclatante, ma è come se il gioco enigmistico “unisci i puntini” fosse stato risolto e l’immagine svelata. Utilizzando un ossimoro, possiamo dire che sembra aprirsi la strada per raggiungere la realistica chimera e disvelare il sentiero segreto per una formazione efficace.
Formazione che, con la UNI 21001, si allontana dall’ottica tradizionale del rapporto cliente-fornitore per andare verso una collaborazione più partecipata mantenendo un alto livello di servizio. Una strada che oltrepassa l’approccio lineare alla formazione e richiede il coinvolgimento attivo tutti gli stakeholders. La formazione si traduce così in un patto, un’individuazione di unità di intenti, che deve promuovere il conseguimento degli esiti dell’apprendimento e puntare all’acquisizione di competenze, che vuol dire essere capaci di applicarla quella conoscenza e quell’abilità, dimostrare atteggiamenti e comportamenti appropriati in differenti contesti d’uso o situazioni con responsabilità ed autonomia, focalizzandosi sull’impatto sui discenti e altre parti interessate. Traslando la cosa in ambito prevenzionistico, questo si traduce nel trasferimento ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale delle conoscenze e procedure utili per saper identificare, ridurre e gestire dei rischi e mantenere comportamenti corretti, riuscendo a portare a termine un compito in sicurezza.
Una prospettiva che porta a guardare la formazione, in particolare quella professionale, non più come progetto ma come processo, in un approccio in ottica PDCA. Al centro dell’articolazione del percorso formativo principi di gestione obbligatori per garantirne l’efficacia: focalizzazione sui discenti e partecipazione attiva, leadership di scenario, responsabilità sociale, consapevolezza, accessibilità ed equità, condotta etica nella formazione. La tendenza è dunque quella di allontanarsi dal tradizionale rapporto cliente-fornitore per andare verso una collaborazione più partecipata, mantenendo un alto livello di servizio.
Pochi e semplici, dunque, i principi cardine della ISO 21001, primo tra tutti l’orientamento alla “leadership visionaria”, che pone come fondamento logico del processo formativo l’individuazione di unità di intenti, la direzione e la partecipazione attiva di tutti i discenti e delle organizzazioni alla creazione, scrittura e attuazione della mission, della visione per il raggiungimento degli obiettivi. Quasi lapalissiano che questo debba esserci, eppur spesso manca. Il riconoscimento, la responsabilizzazione e l’accrescimento della competenza facilitano la partecipazione attiva delle persone nel conseguire gli obiettivi. Un coinvolgimento nella leadership che assicura, così, una focalizzazione continua sulle esigenze dei discenti, con il loro coinvolgimento mentale, fisico ed emotivo, per assisterli e supportarli nell’apprendimento. Migliore comprensione degli obiettivi, maggiore coinvolgimento, incremento dello sviluppo personali, aumento della soddisfazione, della fiducia e della collaborazione, maggiore attenzione verso i valori e la cultura condivisi, alcuni dei potenziali benefici chiave di una politica della formazione così intesa, che consente di apprendete il know-how per padroneggiare un’attività.
Orientamento, dunque, al risk based thinking, che persegue una valutazione razionale strategica che deve puntare ad apprendimenti capaci di soddisfare realmente le esigenze e le aspettative dei lavoratori, oltre che ad ottemperare all’obbligo legale. Garantire qualità del processo deve diventare così il principale grimaldello interpretativo comune ed elemento chiave di svolta, anche per migliorare il valore e la competitività delle imprese, andando così ad alimentare un passaggio culturale da una politica della formazione solo prescrittiva a quella in ottica davvero preventiva. La formazione non può che essere questo. Un cambio di paradigma che non vuole essere un semplice slogan ad effetto, diventa una priorità, un’urgenza improrogabile.
La progettazione e la gestione del processo devono essere orientate all’obiettivo, supportando ed incoraggiando i lavoratori, incrementando la responsabilità sociale attraverso una formazione inclusiva ed equa per tutti. Questo si traduce in:
L’idea, dunque, è quella di provare a prospettare un’ipotesi di lavoro che indirizzi verso l’avvio di un processo più ampio di cambiamento evolutivo strategico della formazione, per renderla più adatta alle reali necessità. L’esigenza diventa così quella di tirare le somme di una esperienza ultradecennale per fare una sorta di rebranding, di innovazione e rivitalizzazione del ruolo, che ne possa valorizzare davvero la funzione. Sembra, infatti, mancare nella formazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro l’approccio collante del processo educativo, la base sulla quale poggiare l’impianto del sistema formativo, che non lo faccia intendere come attestato da conseguire. Ed è proprio la base culturale, che orienta il processo verso una cultura della formazione strategica, che persegue processi di attività correlate ed interagenti che trasformano input in output, che dobbiamo guardare, ipotizzando nuovi scenari, nuove ipotesi di lavoro e, persino, nuovi strumenti operativi. Durata, contenuti minimi, modalità di erogazione e della verifica finale sono senz’altro elementi indicativi importanti per sostenere la formazione dei lavoratori a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma non sufficienti a garantire il risultato. Questo i nuovi ASR dovranno considerarlo.
Quello della formazione non formale rappresenta uno dei settori più importanti per lo sviluppo delle imprese e della società dal momento che presidia la formazione e l'addestramento dei lavoratori e soprattutto la crescita culturale ed umana delle persone. Ma, al momento, una formazione così concepita sembra restare un lontano wishful thinking, ma parlarne ci sembra già un primo passo per renderla più attuabile. Quello che sembra apparire oggi come un’utopia è, come direbbe G. De Carlo, un’utopia compiutamente possibile e questa è la grande differenza. Se si tiene conto di tutte le variabili in gioco e si suppone che le loro relazioni possano essere diverse – perché di fatto poterebbero esserlo – allora l’utopia è realistica.
L’invito al legislatore è quello di promuovere politiche che aiutino ad uscire dall’ottica della carta e indirizzino verso una formazione di sostanza e qualità, stabilendo requisiti aggiuntivi per l’analisi e il soddisfacimento delle esigenze che coinvolga e responsabilizzi tutti gli stakeholders (datori di lavoro, soggetti formatori, docenti formatori, enti ed organismi di vigilanza, etc.). Il diritto è elemento strutturale ma anche fattore di promozione di processi di cambiamento, anche culturale. La buona volontà non basta. Una cosa è certa, la formazione per la sicurezza dovrà essere ripensata ma, ancora una volta, dobbiamo domandarci chi sarà a guidare il processo e trovare la via.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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