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I rischi del lavoro notturno e le misure di prevenzione essenziali per garantire la sicurezza dei lavoratori. Un approfondimento di Rita Somma, consulente H&S, sociologa del lavoro, Consigliera nazionale AiFOS, e Lorenzo Fantini, consulente e già avvocato e dirigente presso il Ministero del Lavoro
In tema di gestione del lavoro notturno rileva la recente pubblicazione della ricerca INAIL “Gli infortuni sul lavoro in orario notturno in Italia”, nella quale l’Istituto nazionale competente in materia di assicurazione obbligatoria per infortuni sul lavoro torna sul tema già affrontato in una analoga ricerca del 2011 al fine “di riesaminare la tematica con l’intento di aggiornare le statistiche degli infortuni sul lavoro, ampliando le analisi con ulteriori variabili, per evidenziare peculiarità e cogliere aspetti nuovi” (in questi termini si esprime l’introduzione della pubblicazione). A tal fine viene precisato come: “L’arco temporale preso in esame per lo studio del fenomeno infortunistico è il quinquennio 2018-2022; le statistiche presentate analizzano sia le denunce, con l’evidenza dei casi mortali, sia le definizioni positive e le conseguenze degli eventi”, avendo quale punto di partenza la normativa di riferimento.
La ricerca INAIL costituisce, quindi, un utilissimo spunto per operare una ricognizione sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali dei lavoratori attivi in orario notturno, al fine di comprendere da un lato come ottemperare alla normativa e soprattutto, dall’altro, come fare in modo che siano predisposte ed efficacemente attuate misure di tutela prevenzionistiche adeguate a questa tipologia di lavoro, indirizzando necessariamente le organizzazioni verso una gestione della salute e sicurezza che ne consideri il diverso scenario contestuale, in termini di valutazione dei rischi ma anche di gestione dell’emergenza.
La valutazione dei rischi
A livello normativo nessun dubbio può esserci in merito alla rilevanza del lavoro notturno per la valutazione dei rischi. Ciò a maggior ragione, come efficacemente sottolineato dall’INAIL nella sua ricerca (pagina 5), tenendo conto che: “Il ricorso al lavoro notturno risponde a bisogni sociali ed essenziali, perché garantisce servizi primari come: la salute con la sanità e i servizi assistenziali, la sicurezza con le forze dell’ordine e la vigilanza, il trasferimento e il reperimento di beni di base col trasporto. Negli anni si sono aggiunte a queste esigenze, anche altre di tipo strettamente economico, legate ai processi industriali a ciclo continuo e alla massimizzazione dell’utilizzo di macchinari che non possono restare fermi perché il riavvio comporterebbe tempo e perdita di materiali o perché il loro costo è molto elevato e per essere ammortizzato è necessario farne un uso ininterrotto. Il tempo del lavoro si è di conseguenza esteso, dilatandosi nell'arco delle 24 ore, con effetti anche sulla salute e sull’integrità psico-fisica del lavoratore”.
Dunque, la circostanza che il ciclo produttivo dell’azienda preveda il lavoro notturno non solo impone al datore di lavoro la piena osservanza delle relative disposizioni obbligatorie (alcune delle quali, come la maggiorazione della retribuzione per il lavoro notturno, hanno rilevanza giuslavoristica e, quindi, non verranno qui trattate, occupandosi questo contributo di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali) – a partire dal divieto di lavoro notturno tra le 24 e le 6 per le donne in gravidanza e fino al raggiungimento di un anno di età del figlio e, in generale, per i lavoratori dichiarati inidonei dalle strutture sanitarie competenti – ma colloca la tematica della tutela del lavoratore notturno nell’ambito dei principi attuativi dell’articolo 2087 c.c. Ciò secondo il più recente orientamento in materia, il quale evidenzia come: “l’articolo 2087 cod. civ. non configura, (…), un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Né può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero”, quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile” (…) non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto” (così Cass. lav., ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3282 e negli stessi termini, tra le altre, Cass. Pen., sez. III, 6 novembre 2018, n. 50000). Questi insegnamenti giurisprudenziali devono essere letti congiuntamente ai principi giuridici relativi alla valutazione dei rischi, a partire dalla previsione di cui all’articolo 28, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008, che impone al datore di lavoro di valutare “tutti i rischi” lavorativi esistenti nel ciclo produttivo dell’impresa. Ciò, prosegue la disposizione appena citata, “…compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”, quali, appunto i lavoratori notturni o, comunque, coloro che svolgono attività nelle ore notturne.
A tale proposito può essere utile sottolineare come la più recente giurisprudenza evidenzi la finalizzazione della valutazione dei rischi molto più di quanto ha fatto in passato, ritenendo essenziale non solo che la rilevazione dei rischi lavorativi sia completa ma, soprattutto, che essa risulti concretamente in grado di: “individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione” (come previsto, in sede di definizione della valutazione dei rischi, dall’articolo 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 81/2008). E, infatti, l’indirizzo in parola rimarca al riguardo come i rischi da valutare devono essere unicamente professionali – non, quindi, tipici della popolazione ma legati al lavoro (cfr. quanto esposto da Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2022, n. 31478, in un caso di investimento di una persona da parte di un lavoratore, circostanza nella quale la Suprema Corte ha escluso che il datore di lavoro dovesse valutare un rischio investimento in una area privata, in quanto rischio non di tipo professionale) – e, soprattutto, debbano trovare la loro naturale espressione nella predisposizione di misure di prevenzione e tutela concretamente attuabili, in quanto coerenti con quanto chiesto dall’articolo 2087 c.c.. Ad esempio, Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2022, n. 31478, sottolinea come la ricerca della soluzione che costituisce – in relazione al fattore di rischio individuato e valutato – lo “stato dell’arte” non può tradursi in modo automatico nella conclusione che il verificarsi dell’infortunio sia addebitabile al datore di lavoro perché è possibile trovare soluzioni tecnologiche di maggior tutela di quelle adottate, se queste ultime comunque sono coerenti con il quadro normativo e “tecnico” del settore e del momento (nel caso di specie la Suprema Corte annulla la sentenza di condanna di un datore di lavoro in un caso di infortunio mortale di un addetto alle consegne di cibi a domicilio, con condanna della Corte d’Appello fondata sulla circostanza che nella valutazione dei rischi era stato considerato il rischio di caduta dal motociclo ma la misura di riferimento (fornitura di un casco omologato) applicata era stata ritenuta inadeguata (perché si trattava di un casco «jet» e non di un casco integrale, che avrebbe probabilmente salvato la vita del lavoratore).
Se dunque, come si sa, lo svolgimento del lavoro in orario notturno può esporre a situazioni di rischio professionale specifico per la salute e la sicurezza, differente o emergente rispetto alla medesima attività in orario diurno, in termini di: condizioni ambientali (illuminazione, microclima, tasso di criminalità, etc.) e/o legato all’organizzazione del lavoro (gestione dei turni, n° lavoratori presenti, attività pianificate, etc.) e/o alle condizioni psicofisiche dei lavoratori (alterazione della concentrazione, dell’attenzione o dei riflessi, ad esempio) queste vanno considerate e valutate dalle organizzazioni, al fine della gestione del rischio, della diminuzione della probabilità di errore e della definizione di adeguate misure di tutela.
Un presupposto che ci viene restituito in modo convergente dai dati assicurativi infortunistici, dalla letteratura scientifica ma anche da diverse inchieste giudiziarie, che hanno spesso rilevato come la stanchezza accumulata, l’orario di lavoro, la turnazione, debbano essere considerati aspetti comuni e scatenanti o, comunque, concausa determinante di eventi infortunistici; molti dei quali sono avvenuti nel mezzo della notte o al mattino presto, quando i lavoratori affaticati erano ancora impegnati nelle attività.
Uno scenario espositivo da attenzionare guardando non solo a concetti di rischio assoluti ma anche a quelli relativi alla peculiarità della reale popolazione di lavoratori, in sinergia tra loro. Alcune caratteristiche di variabilità umana, infatti, impattano sul livello di esposizione a tale rischio, lo dispone chiaramente anche il TUSL: età (in particolare relazione ai processi di invecchiamento), genere, provenienza da altri paesi, stato di salute, ad esempio.
Da questa consapevolezza nasce questo contributo, che hai l’intendo di sostenere la percezione sul tema ma anche l’ambizione di proporre qualche spunto concreto, senza per questo avere la pretesa di una impossibile dogmatismo o completezza.
L’idea orientativa proposta, per affrontare la questione, è quella di indirizzarsi verso una valutazione dei rischi che consideri la variabilità di entrambi gli scenari, diurno e notturno, partendo dal sistema matriciale classico: R (rischio) = P (probabilità) x D (danno), attualmente più diffuso, per poi applicare una sorta di fattore correttivo (K) per riquantificare il rischio nelle attività di lavoro svolte in orario notturno, andando così a considerarne le condizioni espositive differenti e/o emergenti legate all’ambiente, all’organizzazione e alle condizioni psico-fisiche dei lavoratori.
Un orientamento metodologico di valutazione del rischio semplice, quello sopra indicato, che vuole e deve rappresentare prima il modus pensandi, l’atteggiamento mentale da adottare nella gestione del rischio, piuttosto che un ulteriore ciclostilato da esibire.
Le misure di prevenzione e protezione
Una valutazione dei rischi così impostata potrebbe, dunque, essere uno strumento davvero sostanziale per aiutare ad individuare adeguate misure di prevenzione e protezione rappresentative anche del lavoro in orario notturno. Misure di tutela che potrebbero essere di diversa natura: tecnica, tecnologica e/o organizzativa, afferenti all’impiantistica, alle procedure, alla formazione e all’addestramento, alla sorveglianza sanitaria, a mezzi e presidi, etc.
Proviamo ad indicare di seguito alcuni esempi concreti di misure di prevenzione e protezione che sono senz’altro da considerare in caso di esposizione a lavoro notturno.
La sorveglianza sanitaria
Ragionando in termini generali e giuridici, la sorveglianza sanitaria è un tema di assoluta rilevanza rispetto alla gestione della salute e sicurezza dei lavoratori notturni. Dal punto di vista medico è stato documentato, infatti, che l’alterazione del ritmo circadiano rende l’organismo umano più vulnerabile durante le ore che abitualmente dovrebbero essere destinate al sonno. I vari effetti negativi sull’organismo umano, determinati dal lavoro notturno, possono essere raggruppati in tre differenti livelli: Lavorativo, Socio-Familiare, Biologico essendo comunque tutti importanti.
L’aumento dei rischi legati all’affaticamento, al deficit di sonno e, in generale, all’impatto neuro-psico-sociale, prestano il fianco ad un aumento della possibilità di errore nonché al rischio di assunzione di stili di vita maggiormente dannosi per la salute, con un conseguenziale aumento della possibilità di insorgenza di disturbi.
Non appare, pertanto, un caso che alcuni tra i più gravi disastri sul lavoro nel mondo si siano verificati in orario notturno (Chernobyl, Bophal, Exxon Valdes, ad esempio). Ciò è in linea anche con l’opinione diffusa nella ricerca, nonché presso gli operatori della prevenzione, che considera maggiori la probabilità di avere un infortunio o di contrarre patologie legate all'alterazione dell'equilibrio tra sonno e veglia per il lavoratore che svolge la propria prestazione in orario fisiologicamente dedicato al sonno.
Per tutte queste ragioni l'articolo 14, comma 1, del d.lgs. n. 66/2003 dispone che: "La valutazione dello stato di salute dei lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese del datore di lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche (…) o per il tramite del medico competente (…) attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi".
Come noto, l'articolo 41 del d.lgs. n. 81 del 2008 dispone che la sorveglianza sanitaria, definita dall'articolo 2, comma 1, lett. m), come «insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute dei lavoratori, in relazione all'ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa», venga effettuata «nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6» (articolo 41, comma 1, lett. a) oppure «qualora il lavoratore ne faccia richiesta e essa sia ritenuta dal medico competente correlata a rischi lavorativi» (articolo 41, comma 1, lett. b). Queste previsioni sono state oggetto di integrazione per mezzo della legge n. 85/2023, la quale ha introdotto all’articolo 18 (il quale individua gli obblighi di datore di lavoro e dirigente), comma 1, un “nuovo testo” della lettera a), la quale ora impone a datore di lavoro e dirigente quanto segue: “nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all'articolo 28”.
Tali previsioni evidenziano, ben più di quanto già ex d.lgs. n. 626/1994, come la sorveglianza sanitaria sia attività richiesta non solo in ipotesi tassative di legge (come accadeva anteriormente al 1994, periodo nel quale si individuavano una per una le ipotesi nelle quali un “medico competente” fosse tenuto a visitare gli addetti a determinate lavorazioni a rischio di malattia professionale; cfr. il lungo elenco di cui alla circolare del Ministero del Lavoro 17 gennaio 2001, n. 11) — prime tra tutte quelle del "testo unico" di salute e sicurezza sul lavoro — ma debba ritenersi misura di tutela strettamente correlata con il principio della completezza della valutazione del rischio, come ormai largamente riconosciuto in dottrina e nella prassi seguita dagli organi di vigilanza.
Il quadro normativo appare pertanto chiaro su come la scelta organizzativa di prevedere, o anche solo permettere, ad alcuni lavoratori di svolgere la propria attività di notte debba necessariamente trovare riscontro in una considerazione di tale circostanza nella valutazione dei rischi (intesa come negli ultimi indirizzi, qui sintetizzati) e nella individuazione di misure di prevenzione e tutela – tra le quali la sorveglianza sanitaria – adeguate allo “stato dell’arte” della prevenzione.
Sorveglianza sanitaria che deve necessariamente ricadere sui lavoratori che rientrano nella definizione data di lavoratori notturni, soggetti al rischio specifico propriamente definito, ma anche attenzionare quel personale che svolge, o potrebbe svolgere occasionalmente (ad esempio in caso di reperibilità notturna), attività straordinaria che valica la mezzanotte, al fine di per accertarne l’idoneità per l’esposizione allo specifico rischio. Il quadro clinico ed anamnestico del lavoratore, infatti, potrebbe non essere compatibile con quelle alterazioni sonno-veglia già sopra evidenziate, comportando limitazioni e/o prescrizioni di preclusione soggettiva, temporanea o permanente, di esposizione a tale fattore di rischio.
La gestione delle emergenze
Lo scenario lavorativo in orario notturno, soprattutto se in organizzazioni articolate e complesse, potrebbe richiede un importante rivisitazione anche nella progettazione della gestione dell’emergenza, in riferimento alle diverse circostanze (caratteristiche dei luoghi di lavoro, illuminazione, segnaletica, contesto, visibilità dei presidi e mezzi, n° degli occupanti, n° di addetti alle emergenze presenti, accessibilità/chiusura di aree, ecc.).
Il progettista dell’emergenza dovrebbe altresì verificare l’adeguatezza delle risorse e delle competenze necessarie e presenti, in orario notturno, per svolgere gli interventi in emergenza previsti dal piano/procedure di emergenza. Di conseguenza, dovrebbe essere valutata anche la necessità di effettuare prove di emergenza ed evacuazione nello scenario emergenziale notturno.
Informazione, formazione ed addestramento
Partendo dall’analisi dell’attività in orario notturno (attività /compiti da svolgere, carichi di lavoro, organizzazione del lavoro, gestione dei turni, contesto, etc.) e dei rischi, va rilevato anche l’eventuale fabbisogno formativo specifico del lavoratore, per renderlo competente anche nella gestione di questo scenario espositivo.
Il lavoratore deve essere informato e formato in merito e, laddove necessario, addestrato per svolgere i propri compiti in orario notturno, così come sulle eventuali differenti procedure di sicurezza da rispettare.
In conclusione
Il lavoro in orario notturno può comportare e comporta uno scenario di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori spesso sottovalutato, se non banalizzato. Il quadro regolamentare delle misure di tutela può e, nel caso, deve comprendere:
Il miglioramento dei livelli di tutela al lavoro passa anche attraverso la piena consapevolezza dei rischi legati all’attività in orario notturno, che può costituire un grimaldello interpretativo condiviso a sostenere la promozione della salute e della sicurezza anche per i lavoratori esposti a tale rischio.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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