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27 novembre 2020

Interventi e commenti

Legionella e Covid-19

Il nuovo coronavirus nel contesto del rischio biologico. Un approfondimento a cura di Gloria Pezzaioli, socia AiFOS ed esperta di rischio biologico

Legionella e Covid-19

Sin dall’inizio dell’emergenza Covid-19 si è aperto un grande dibattito tra gli esperti della sicurezza, riguardo al tema rischio biologico. Infatti sin da subito ci si è chiesti se il Covid-19 fosse da considerare nella valutazione del rischio biologico delle diverse attività.

Se è evidente che la valutazione del rischio biologico debba essere rivista ed aggiornata all’interno di strutture, come ad esempio gli ospedali, dove gli operatori sanitari sono esposti lavorativamente al Sars-Cov-2 o in un laboratorio dove si sta producendo il vaccino, riguardo agli altri ambienti lavorativi (ad esempio edilizia, metalmeccanica, uffici o settore turistico) si discuteva su come dovesse essere gestita la questione Covid-19.

Sicuramente al di là della “forma” è evidente come questa pandemia abbia influito sulla vita delle persone e anche sul lavoro. Che venga definita valutazione del rischio o procedura, è importante che nei luoghi di lavoro si applichino tutte quelle misure utili a limitare il più possibile la trasmissione del “nuovo coronavirus”. Difatti, come da indicazioni statali, il tutto va gestito elaborando una specifica procedura di applicazione del Protocollo del 24 aprile 2020 e ovviamente applicando i vari obblighi previsti nei DPCM e nelle Ordinanze per le diverse attività lavorative.

Va considerato però che proprio le procedure di lavoro anti Covid-19, potrebbero far nascere dei nuovi rischi, o comunque potrebbero mutarne alcuni già presenti. Basti pensare, a titolo di esempio, al rischio chimico (con le sanificazioni svolte internamente), o al rischio lavoro in solitaria (per chi ha creato nuove postazioni solitarie o per chi sta alternando i lavoratori presenti in sede, limitandoli al minimo indispensabile) o magari allo stress lavoro correlato.

Questo concetto è stato tra l’altro ribadito anche dall’Eu-OSHA in una nota relativa al rientro negli ambienti di lavoro nel periodo Covid-19, che riporta: “I datori di lavoro hanno l’obbligo di rivedere la valutazione del rischio qualora sia applicata una modifica del processo di lavoro e di tenere in considerazione tutti i rischi, compresi quelli per la salute mentale. Al momento di rivedere la valutazione del rischio, si deve prestare attenzione a eventuali anomalie o situazioni che provochino problemi e al modo in cui queste possano contribuire ad aumentare il grado di resilienza dell’organizzazione nel lungo periodo...”

A queste indicazioni, andrebbe però aggiunto, che le ultime ricerche ci stanno mettendo in guardia sul fatto che altri rischi lavorativi, normalmente presenti in alcune situazioni, potrebbero andare ad accumularsi con il problema Covid-19 ed andare ad aumentarne la potenzialità di creare danno.

Tra questi rischi ce n’è uno che peraltro spesso viene sottovalutato o non preso in considerazione, ovvero il rischio da esposizione a legionella.

Chi conosce la legionella sa che è un batterio gram-negativi aerobio che vive molto bene negli ambienti acquatici. Questi batteri si riproducono tra 25°C e 42°C, ma sono in grado di sopravvivere in un range di temperatura molto più ampio, tra 5,7°C e 63°C, e presentano anche una buona sopravvivenza in ambienti acidi e alcalini, sopportando valori di pH compresi tra 5,5 e 8,1.

La legionella, soprattutto nelle persone immuno compromesse, può provocare la comparsa di una patologia chiamata legionellosi (o Malattia del Legionario) e di una malattia meno grave chiamata Febbre di Pontiac.

La legionellosi viene normalmente acquisita per via respiratoria mediante inalazione, aspirazione o microaspirazione di aerosol contenente Legionella, oppure di particelle derivate per essiccamento. Le goccioline si possono formare sia spruzzando l’acqua che facendo gorgogliare aria in essa, o per impatto su superfici solide. La pericolosità di queste particelle di acqua è inversamente proporzionale alla loro dimensione. Gocce di diametro inferiore a 5µ arrivano più facilmente alle basse vie respiratorie.

La Malattia del Legionario (o appunto legionellosi), dopo un periodo di incubazione variabile da 2 a 10 giorni (in media 5-6 giorni), si manifesta come una polmonite infettiva, con o senza manifestazioni extrapolmonari.

La sindrome pneumonitica non ha caratteri di specificità né clinici né radiologici. Nei casi gravi può insorgere bruscamente con febbre, dolore toracico, dispnea, cianosi, tosse produttiva associati all’obiettività fisica semeiologica del consolidamento polmonare. Nei casi meno gravi l’esordio può essere insidioso con febbre, malessere, osteoartralgie, tosse lieve, non produttiva. A volte possono essere presenti sintomi gastrointestinali, neurologici e cardiaci; alterazioni dello stato mentale sono comuni.

Tra le complicanze della legionellosi vi possono essere: ascesso polmonare, empiema, insufficienza respiratoria, shock, coagulazione intravasale disseminata, porpora trombocitopenica e insufficienza renale. La polmonite da Legionella non ha quindi caratteristiche cliniche che permettano di distinguerla da altre forme atipiche o batteriche di polmonite comunitaria. Come tale va sempre sospettata sul piano clinico tra le infezioni polmonari comunitarie e nosocomiali e, per questo motivo, la diagnosi di laboratorio deve essere considerata complemento indispensabile alle procedure diagnostiche cliniche.

Conoscendone quindi i sintomi si può ben capire come questo batterio vada ad “attaccare” le stesse sedi che vengono prese di mira dal Sars-Cov-2. Alcuni dei sintomi sono proprio compatibili.

Codesto aspetto basta a far pensare che una co-infezione da Sars-Cov-2 e Legionella possa mettere in difficoltà anche il sistema immunitario di individui sani. Per questa ragione, oggi più che mai, è importante valutare bene il rischio legionella in tutti gli ambienti di lavoro, soprattutto poiché i lockdown hanno fatto sì che l’acqua negli impianti (sia quelli lavorativi che quelli ad esempio delle docce degli spogliatoi) scorresse meno, con il rischio più alto di formazione di depositi d’acqua, creando quindi le condizioni ideali per lo sviluppo della legionella.

Una maggiore attenzione al rischio da Legionellosi in fase di emergenza COVID-19 è giustificata dal fatto che la confezione Legionella/SARS-Cov-2 determinerebbe un ulteriore aggravamento dello stato di salute dei pazienti già infettati da SARS-CoV-2. Questa non è solo un’idea derivante dalla simile sintomatologia delle due patologie, ma viene confermato da un recente studio.

Alcuni autori (Xing Q et al – Precaution are needed for COVID-19 patient with coinfection of common respiratory pathogens – medRxiv.) hanno evidenziato che il 20% dei pazienti COVID-19 avevano presumibilmente contratto una coinfezione da Legionella pneumophila avendo un titolo di anticorpi specifici IgM anti-Legionella positivo.

Questo ha portato addirittura l’ISS ad elaborare una specifica guida per la prevenzione della Legionella negli impianti idrici di edifici non utilizzati durante la pandemia (Rapporto ISS Covid-19 n. 21/2020 del 3 maggio 2020).

Nel testo dell’ISS si indica che nel caso in cui l’edificio o altra struttura “siano rimasti chiusi per più di un mese e che si progetti la riapertura, al fine di tenere sotto controllo il rischio di proliferazione di Legionella, occorre applicare le seguenti misure straordinarie di controllo:

  • verificare la corretta circolazione dell’acqua calda in tutte le parti del sistema idrico assicurando, al contempo, che la temperatura all’interno dell’accumulo o del boiler sia non inferiore a 60°C mentre quella misurata in corrispondenza del ritorno dagli anelli di ricircolo non scenda al di sotto dei 50°C;
  • verificare che la temperatura dell’acqua calda, erogata da ciascun terminale di uscita, raggiunga un valore non inferiore a 50°C entro 1 minuto dall’apertura del terminale (evitando schizzi) e che la temperatura dell’acqua fredda non superi i 20°C dopo un flussaggio di 1 minuto. In presenza di valvole miscelatrici termostatiche, verificare che le suddette temperature vengano raggiunte dalle tubazioni che le alimentano;
  • pulire, disincrostare e, all’occorrenza, sostituire tutti i terminali (docce e rubinetti) di acqua calda e fredda; flussare abbondantemente e disinfettare periodicamente con cloro le cassette di scarico per WC, gli orinatoi, i by-pass e tutti gli altri punti sulla rete;
  • assicurarsi che i serbatoi di stoccaggio dell’acqua potabile contengano cloro residuo libero (valore consigliato: 0,2 mg/l). Concentrazioni di disinfettante più elevati (1-3 mg/l) sono efficaci nel controllo della proliferazione di Legionella, ma alterano le caratteristiche di potabilità dell’acqua;
  • verificare che tali livelli di disinfettante siano raggiunti in tutti i punti individuati come sentinella e in quelli scarsamente utilizzati;
  • monitorare le temperature e i livelli di biocida per almeno 48 ore apportando, se necessario, opportune regolazioni; prelevare campioni d’acqua per la ricerca di Legionella dai terminali sentinella (i campioni microbiologici campionati prima delle 48 ore successive all’inizio delle operazioni di disinfezione possono risultare ‘falsi negativi’);
  • se campioni d’acqua prelevati risultano negativi, i sistemi di acqua calda e fredda sono da considerarsi sotto controllo e l’edificio può essere riaperto”.

Al di là di queste indicazioni è però molto importante non sottovalutare mai questo rischio ed analizzare con attenzione tutte le operazioni che vengono svolte in una realtà lavorativa per capire se può essere presente tale problema. Spesso questo si nasconde dietro semplici operazioni di lavaggio pezzi e pulizia, o dietro operazioni di manutenzione. Grande attenzione va dedicata soprattutto agli spogliatoi muniti di docce a maggior ragione se sono presenti depositi di acqua calda. Il campionamento finale è l’unico strumento valido di verifica della presenza del batterio e di validazione delle misure intraprese.

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