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08 febbraio 2021

Interventi e commenti

Nuovo Piano pandemico 2021-2023 e sicurezza sul lavoro: nulla di nuovo rispetto a quanto già (purtroppo) vissuto

Un approfondimento di Matteo Fadenti, Consigliere Nazionale AiFOS

Nuovo Piano pandemico 2021-2023 e sicurezza sul lavoro: nulla di nuovo rispetto a quanto già (purtroppo) vissuto

L’Accordo Stato Regioni del 25 gennaio 2021, pubblicato il 29 gennaio 2021 in Gazzetta ufficiale, approva il Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu 2021-2023). Il piano ovviamente non analizza solamente gli aspetti legati ai virus influenzali ma anche ai coronavirus.

L’influenza è una malattia respiratoria acuta conosciuta da molto tempo, ma il virus che ne è causa è stato identificato solo agli inizi degli anni Trenta dello scorso secolo. I virus influenzali sono in grado di infettare uomini, altri mammiferi e uccelli, e si raggruppano in 3 diversi tipi: A, B e C, ma solo i primi due sono importanti per la specie umana. I virus influenzali di tipo A, poi, oltre a causare ricorrenti epidemie stagionali (insieme ai virus di tipo B, con i quali spesso co-circolano), sono stati gli unici a provocare pandemie.

Quando un virus influenzale di tipo A va incontro a una mutazione maggiore (cosiddetto shift), allora, trattandosi di un virus totalmente nuovo, trova una popolazione umana del tutto suscettibile e quindi è in grado di provocare una pandemia di rilevanti dimensioni. È quanto è accaduto con la pandemia spagnola (dovuta a un virus di tipo A, sottotipo H1N1) nel 1918, con l’asiatica (sottotipo H2N2) nel 1957, e con la Hong Kong (sottotipo H3N2) nel 1968. Nel 2009, poi, un virus A di sottotipo H1N1 ma di origine suina è passato all’uomo, cominciandosi a diffondere in maniera efficiente, e causando una pandemia non particolarmente grave. In genere, i virus influenzali pandemici originano a seguito di un passaggio di specie dall’animale all’uomo, o direttamente dai volatili o tramite i suini, che hanno recettori sia per i virus aviari che umani.

Nel corso del 2020, è accaduto un evento molto raro. Se è vero, infatti, che le pandemie influenzali prima o poi si verificano anche se in termini temporali del tutto imprevedibili, sul finire del 2019 è emerso in Cina un virus diverso da quello influenzale, un nuovo coronavirus. Sebbene altri coronavirus, di origine animale, SARS-CoV e MERS-CoV avessero causato epidemie umane, per la prima volta un coronavirus è stato in grado di determinare un evento pandemico protratto con milioni di casi e di decessi. Il virus SARS-CoV, causa della malattia SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave - Severe Acute Respiratory Syndrome), aveva già fatto la sua comparsa nel 2002-2003 in Cina, causando focolai epidemici in Paesi dell’Estremo Oriente e a Toronto, ma era stato contenuto ed eradicato grazie a pronte misure quarantenarie.

Rispetto al virus SARS-CoV, il contenimento dell’attuale SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, si è dimostrato di difficile attuazione per due motivi diversi:

  1. i casi di SARS erano in gran parte gravi e quindi facilmente identificabili, mentre SARS-CoV-2 è più frequente causa di casi asintomatici o paucisintomatici;
  2. il picco di contagiosità della SARS avveniva circa una settimana dopo la comparsa dei sintomi (quindi si faceva in tempo a isolare i pazienti prima che diventassero contagiosi), mentre per SARS-CoV-2 coincide con la comparsa dei sintomi o addirittura li anticipa.

Inoltre, SARS-CoV-2 è un virus completamente diverso da quello dell’influenza, anche se il suo comportamento in termini di dinamica epidemica, potenzialità pandemiche, e conseguenze cliniche nei casi gravi ricorda quello delle influenze pandemiche, condividendo il tropismo per l’apparato respiratorio, anche se con una tendenza ad un maggior interessamento delle basse vie respiratorie (sul piano clinico, poi, il coronavirus ha delle specificità che non affrontiamo in questa sede).

Viste queste premesse e visto peraltro che possono anche essere altri microrganismi a causare pandemie, ogni stato deve correre ai ripari preparano un piano pandemico. L’ultimo italiano era del 2006 ed è appunto aggiornato con quello del 2021. All’interno di tale piano si parla anche di sicurezza sul lavoro, più specificatamente nell’appendice A1.

Anche se questo documento non ha valore normativo tale da superare o anche solo modificare quanto previsto e prescritto ad esempio nei DPCM per la gestione dell’emergenza Covid-19 (ivi compreso il protocollo del 24 aprile 2020) è interessante analizzare quanto riportato, anche per capire cosa è previsto per affrontare eventuali emergenze nel luogo di lavoro o se è previsto qualcosa di nuovo rispetto a ciò che purtroppo siamo stati abituati in questa pandemia covid19.  

È importante che i datori di lavoro capiscano che, a seconda della gravità della pandemia, si possono verificare fenomeni di assenteismo dei lavoratori a causa di malattie personali, assistenza a conviventi malati o timore di ammalarsi e ciò può potenzialmente perturbare la continuità operativa.

Questo vuol dire che applicare protocolli corretti per la gestione dell’igiene, per far si che in azienda vengano tenuti comportamenti che evitino l’eventuale trasmissione di microrganismi, è utile a migliorare la produttività dell’azienda, ad evitare la perdita di giornate lavorative oltre che a tutelare la salute dei lavoratori. Infatti, la riduzione del personale disponibile e la difficoltà di reperire beni necessari a consentire il regolare svolgimento delle attività, infatti, potrebbero generare gravi limitazioni o persino interruzioni dell’attività aziendale.

In realtà nel documento non si legge nulla di nuovo, se non il fatto di alzare l’allerta quando sta per arrivare una pandemia, dove si dovranno attuare in maniera più rigida le misure che già conosciamo e abbiamo affrontato per Covid-19, ad esempio: lavoro a distanza (smart e home working), mascherine, disinfezione ecc.

Secondo il documento è inoltre importante istruire il personale in merito ai compiti, alle responsabilità e competenze nell’ambito delle misure aziendali di gestione delle crisi. Devono essere stabiliti mezzi e canali di informazione che siano noti a tutto il personale prima dell’arrivo di una pandemia per aumentare le conoscenze specifiche sulla pandemia e sulle relative misure da adottare, creando un team di collaboratori formati ed esperti nella gestione della pandemia che definiscano e adottano le procedure aziendali in caso di pandemia.

Il suddetto team, potrebbe tranquillamente essere composto dalle figure che partecipano alla riunione periodica, o anche il comitato covid19 previsto negli attuali protocolli.

Il documento si concentra anche sulla formazione del lavoratore. Nella formazione sulla sicurezza sul lavoro dovranno trovare sempre più spazio i temi relativi ai comportamenti igienici, alla gestione di eventuali emergenze. Il lavoratore deve essere istruito sulle misure di comportamento personale da adottare: indossare mascherine chirurgiche o mascherine FFP secondo la valutazione dei rischi; lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o in assenza con soluzioni idroalcoliche, in particolare dopo aver starnutito, tossito o essersi soffiati il naso; starnutire o tossire in un fazzoletto di carta o nella piega del gomito; mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 metro (cosiddetto distanziamento fisico); identificare e comunicare precocemente eventuali sintomi influenzali; adottare le misure di protezione individuali per impedire la trasmissione della malattia.

Come detto quindi, nulla di nuovo, anche perché queste sono le indicazioni che sempre sono valide quando si ha a che fare con microrganismi che si trasmettono per via aerea, come i virus influenzali o il coronavirus.

Oltre alla parte generale sulla sicurezza sul lavoro, l’appendice A contiene altre due sezioni, una dedicata ai lavoratori del settore sanitario e una dedicata alle forze di polizia.

Per il settore sanitario è previsto come essenziale quanto segue:

  • Identificare gli OS che hanno fornito assistenza ai pazienti con infezione da influenza pandemica (casi confermati o probabili) o che si sono ripresi dall’influenza pandemica (casi confermati o probabili).
  • Avere un sistema per monitorare l’assenteismo sul lavoro per motivi di salute, specialmente negli OS che forniscono assistenza diretta ai pazienti critici ai fini di garantire la continuità assistenziale.
  • Scoraggiare il presenzialismo in presenza di malattia negli OS.
  • Garantire una continua formazione al personale sanitario sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare e rafforzare le campagne di vaccinazione.
  • Prevedere per il personale ospedaliero e territoriale azioni volte al miglioramento dell’organizzazione del lavoro e strategie per incrementare una corretta comunicazione e percezione del rischio, prevedendo formazione sulle procedure di risk management.
  • In caso di pandemia valutare la possibilità di verificare la presenza di sintomi specifici negli OS che forniscono assistenza a pazienti affetti da influenza pandemica prima del turno lavorativo.
  • Predisporre per gli OS un sistema di sorveglianza delle malattie simil-influenzali raccogliendo informazioni specifiche per ogni setting al fine di migliorare, ove ce ne fosse bisogno, le procedure e i dispositivi di protezione adottati, e incoraggiare gli OS a segnalare loro eventuali stati febbrili.

Per le forze dell’ordine invece occorre, che ogni Amministrazione istituisca a livello centrale una struttura di gestione dell’emergenza pandemica, cui sia preposto un Dirigente medico per ogni singolo Ente, con il compito di assicurare il coordinamento delle attività di prevenzione a livello periferico e di mantenere il collegamento con il Ministero della Salute. Inoltre si deve:

  • Istituire una “Unità di crisi” da parte di ogni Amministrazione delle Forze di polizia
  • Individuare le misure di contenimento del rischio infettivo e monitorarne la loro efficacia.
  • Avviare le pratiche di approvvigionamento dei DPI durante la fase inter-pandemica, con la possibilità di averne una riserva.
  • Predisporre i criteri per l’assegnazione al personale di appropriati DPI.
  • Provvedere all’attività di formazione/informazione nei confronti degli operatori, anche attraverso i medici competenti, sull’adozione di corrette procedure igienico-sanitarie e sulle pratiche di lavoro sicure e sull’utilizzo di DPI.
  • Non appena il vaccino sia disponibile, garantirne la fornitura e distribuzione ai presidi sanitari delle Forze di polizia.
  • Fare in modo che le ASL/ASP stabiliscano anticipatamente un’intesa e un piano di comunicazione con le strutture sanitarie delle Forze di polizia presenti nel territorio di competenza e abbiano una stima preventiva del fabbisogno di vaccini per il personale preposto alla sicurezza e all’emergenza.
  • Fare in modo che, al momento della pandemia, i medici delle strutture sanitarie delle Forze di polizia possano operare coordinandosi con i Dipartimenti di prevenzione a livello territoriale.

In generale rispetto a quanto è riportato nel piano pandemico, c’è da dire che già l’emergenza Covid-19 ci ha insegnato che certe misure, come il lavaggio delle mani, il distanziamento e la sanificazione, siano misure che dovremmo applicare sempre. In particolare perché sono misure igieniche sempre utili, anche nei confronti di quei microrganismi meno pericolosi (come i rhinovirus o i coronavirus del raffreddore). Ovviamente nel momento in cui si dovessero avere le avvisaglie di pandemie più violente o pericolose, allora tali misure andranno inasprite, arrivando a ciò che abbiamo già vissuto in certi periodi a causa del Covid-19.

FAI CLIC QUI per scaricare il Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu 2021-2023).

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