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Approfondimento a cura di Marco Berrettini, formatore e consulente esperto di normativa ambientale, classificazione e gestione delle sostanze pericolose
Sostiene Primo Levi, ne "Il Sistema Periodico", che "ogni elemento chimico dice qualcosa a qualcuno, a ciascuno una cosa diversa, come le valli o le spiagge visitate in giovinezza". Più di tutti, almeno in questo periodo, ci parla il litio, uno degli elementi chimici in cui si ripongono le speranze per la transizione energetica, e un futuro più sostenibile. Stiamo già da ora vedendo segnali inequivocabili dal mercato, con un aumento dei volumi commercializzati di pile al litio, specie per il settore automotive. Grandi cambiamenti che comporteranno la necessità di rivedere addestramenti, procedure e formazione per non farsi trovare impreparati.
Le pile al litio sono caratterizzate da grande densità energetica, che espressa in Wh/Kg può arrivare a un ordine di grandezza superiore rispetto alla vecchia tecnologie al piombo acido. Per giungere a questo risultato sono stati necessari decenni di sviluppo, fino ad imbrigliare la chimica di reazione in un contesto sufficientemente stabile. Ciò è stato possibile dopo aver integrato alcuni metalli non ferrosi quali cobalto, nickel e manganese al catodo dell’accumulatore, e introdotto alcuni “solventi” organici nella formulazione dell’elettrolita.
Per i motivi brevemente accennati sopra le pile al litio rappresentano problemi di sicurezza non trascurabili, legati alla loro chimica di base. Questo ha portato i costruttori a sviluppare sistemi di sicurezza passivi e attivi all’interno delle celle, che sono appositamente studiati per “spegnere” la batteria in situazioni di emergenza. Inoltre, le batterie possono incorporare sistemi di controllo e gestione di calore ed energia, in modo da mantenere il dispositivo in condizioni in cui i rischi siano limitati.
Nei casi più sfortunati si può generare un thermal runaway, ovvero il repentino aumento di temperatura che può innescare incendi, o addirittura esplosioni. Si stima che la probabilità di un inconveniente del genere sia di uno su quaranta milioni per una batteria nuova, ma scenda a uno su diecimila per una usata, che magari abbia subito degli stress termici o meccanici importanti. I rischi connessi ad un evento del genere sono inoltre quelli di generazione di fumi tossici, nonché il rischio meccanico derivante dai frammenti di batteria scagliati in tutte le direzioni dal brusco aumento di temperatura e pressione.
A questo si aggiunga che la gestione di un incendio del genere è complessa, e comporta modalità operative molto diverse da un comune spegnimento di classe A, B o C. Questa difficoltà ha portato a una severa regolamentazione del trasporto delle batterie, specie per via aerea, e richiede una formazione dedicata di addetti e responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione, la stesura di apposite procedure per fronteggiare le emergenze, nonché un’integrazione della valutazione dei rischi.
Accanto alle problematiche tecniche e di sicurezza, l’attuale tecnologia pone delle sfide ambientali e di sostenibilità. La grande domanda di materie prime dei prossimi anni aumenterà l’estrazione di litio e cobalto, che si concentra principalmente in America Latina ed Africa, e sarà necessario un grande sforzo collettivo per evitare che l’ambiente, o i diritti umani, si trovino a pagare un caro prezzo. Grandi speranze sono riposte nella capacità di avviare pienamente un percorso di economia circolare che consenta il massimo riutilizzo delle batterie scartate. Altro strumento che diverrà d’attualità è la cosiddetta second life, ovvero riutilizzare per applicazioni “stazionarie”, quali l’accumulo di energia generata da rinnovabili, quelle batterie che non sono più adatte per l’utilizzo in autoveicoli, ma conservano ancora una buona capacità residua
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