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Alessandra Marconato rievoca il dilemma del carrello ferroviario: e se lo applicassimo ai temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro?
Mentre sto scrivendo questo articolo, è da poco passata la Giornata Mondiale per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro e la Festa del lavoro o Festa dei Lavoratori. I media riportano, in modo puntuale gli accadimenti che hanno determinato infortuni e/o morti. Per "puntuale" non intendo esatto o circostanziato negli argomenti o nei riferimenti, come riporta, tra i significati del termine, il dizionario. Faccio riferimento al modo di dire puntuale come le tasse e la morte. Sì, l'incipit di questo articoletto è un po' nero ma questa mattina, e da un po' di tempo, c'è una domanda che mi frulla in testa: quanto vale una vita umana?
È un quesito che apre scenari non indifferenti. Prima di tutto, si alza il velo sul tema della "definizione" di vita con uno strascico di risvolti estremamente attuali in termini morali e di diritto. E poi c'è la questione del valore e di come lo intendiamo. Importanza? Elemento economico? Altro?
Così mi è tornato alla memoria il dilemma del carrello ferroviario: un esperimento (mentale) di filosofia etica che è stato formulato da Philippa Ruth Foot (Filosofa inglese 1910 – 2010) nel 1967. Negli anni, altri pensatori si sono sbizzarriti nel trovare alcune varianti. Il problema del carrello ferroviario, nella sua forma più semplice, propone di immaginarsi di essere alla guida di un veicolo capace solo di cambiare rotaia (tramite deviatoio), senza la possibilità di frenare. Sul binario percorso si trovano cinque persone legate e incapaci di muoversi e il tram è diretto verso di loro. Tra il carrello ferroviario e le persone legate è presente un secondo binario parallelo, sul quale c'è una persona, anch'essa legata e impossibilitata a muoversi. Il veicolo, in prossimità di uno scambio sui binari, può imboccare solo due strade. Su una ci sono cinque persone. Prendendo quel binario, il conducente sa che esse avranno morte certa. Sull'altra strada ce n'è una, destinata a morte sicura in caso di impatto con il carrello. Il dilemma si basa su quale scelta deve fare il conducente, che non ha a disposizione una terza via o opzione. Può solo scegliere una delle due strade del bivio. Cosa deve fare? Deviare il carrello, per uccidere una persona e salvarne cinque? Scegliere la via che ucciderà cinque persone e non una? Dovrà non intervenire, sottraendosi alla responsabilità della scelta?
L'approccio utilitaristico, ad esempio, farebbe rispondere che il conducente deve tenere presente che cinque vite sono più di una (nel senso che 5 è maggiore di 1, in termini numerici). Immanuel Kant (Filosofo tedesco 1724 – 1804) risponderebbe che tutte e due le scelte sono ingiuste, perché è illegittimo sacrificare qualsiasi agente morale a favore di altri. Dal punto di vista dello spettatore sia l'azionare lo scambio sia il non azionarlo sono atti preceduti da una decisione. Questo determina rispettivamente un'azione e una omissione, con un coinvolgimento diretto.
Il problema del carrello è stato oggetto di numerose indagini. John Cloud in Would You Kill One Person to Save Five? New Research on a Classic Debate (Time, 5 dicembre 2011) ha messo in luce come, in uno studio, il 90% degli intervistati decide di salvare cinque persone uccidendo una persona. Ma se la persona da sola sul binario è un parente o un partner, gli intervistati sono molto meno propensi a sacrificare una vita per salvare le altre (link).
David Bourget e David Chalmers, in una loro indagine effettuata nel 2009 (What do Philosophers believe?, su philpapers.org), hanno mostrato che il 68% dei filosofi professionisti sarebbe incline a cambiare la direzione del treno per salvare cinque vite, l'8% non devierebbe il treno e il restante 24% non sarebbe in grado di scegliere tra le due situazioni precedenti.
C'è chi, rispetto al dilemma del carrello ferroviario, obietta l'indecidibilità del problema, fondando l'obiezione sulla questione dell'incommensurabilità della vita umana.
Da qui la domanda "Quanto vale una vita umana?"
Spesso le questioni filosofiche vengono relegate a temi che possono essere discussi da chi passa il proprio tempo in torri d'avorio. Ma il dilemma del carrello ferroviario è stato usato per dirimere questioni "pratiche" e salienti della vita delle persone. Infatti, Philippa Foot quando propose questo dilemma nel 1967 lo fece come parte di un'analisi dei dibattiti sull'aborto. Recentemente il dilemma è stato ripreso nella discussione della possibile diffusione di auto a guida autonoma, i cui software potrebbero trovarsi a dovere compiere scelte in situazioni che implicano la soluzione di dilemmi etici.
Sarebbe interessante porre il dilemma del carrello ferroviario nel dibattito (sempre che ci sia) che riguarda i temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, comprendendo non solo quegli accadimenti che provocano una conseguenza immediata (infortunio o morte) ma anche quelli che producono conseguenze nel tempo, che spesso sono dimenticati per effetto del bias della distanza temporale.
La domanda non è quale vita vale di più, chi vale di più ma quanto vale la vita umana.
Ora, in passato abbiamo avuto fior di pensatori e menti brillanti e si è ancora fermi all'incommensurabilità della vita umana. Incommensurabile, facendo riferimento al dizionario, significa quantitativamente irriducibile a qualsiasi termine empirico di riferimento, tanto grande da non poter essere misurato; immenso, smisurato.
È difficile dare un valore a ciò che non può essere misurato e si può cadere nel paradosso che ciò che non è misurabile non ha valore…
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