/ News / Approfondimenti / Interventi e commenti
Intervento di Rita Somma, consulente H&S, sociologa del lavoro, Consigliera nazionale AiFOS, e Andrea Rotella, ingegnere, RSPP, tecnico di prevenzione incendi
Sicurezza antincendio e gestione delle emergenze sono due facce della stessa medaglia, che potremmo rappresentare con un Giano bifronte, nella quale le persone sono sempre parte attiva nel processo. Lanciando in alto questa medaglia, come fosse una monetina, qualsiasi sia la faccia su cui atterrerà, la strategia da mettere in campo non può infatti prescindere dall’analisi dei cd. “occupanti” ovvero delle “persone presenti a qualsiasi titolo all’interno dell’attività, considerata anche alla luce della sua modalità di interazione con l’ambiente in condizioni di disabilità fisiche, mentali o sensoriali” (G 1.6, Codice di Prevenzione Incendi).
La normativa di sicurezza antincendio dà in particolare un peso importante e determinante al concetto di occupante nella modellazione dell’esodo, sia in termini di quantità che qualità. La prima componente, di individuazione numerica, per flussi “idraulici”, di ingombro spaziale, è generalmente progettualmente ben attenzionata, mentre la seconda, di individuazione tipologica dell’occupante, risulta essere ancora l’anello debole della strategia progettuale, salvo, quando va bene, ritrovarla tradotta esclusivamente in termini di familiarità con l’ambiente, di stato di veglia/sonno e di velocità di camminamento. Elementi, questi ultimi, senz’altro da considerare ma, dallo studio dei disastri, emerge prepotentemente che la questione qualitativa è assai più complessa: sono diverse infatti le caratteristiche bio-psico-sociali relative agli occupanti che, nel momento in cui si presenta una situazione di emergenza, possono influire sugli atteggiamenti, sulle strategie di comportamento e sulla determinazione dei tempi di esodo. Ed è proprio su queste ultime caratteristiche, meno attenzionate, che questo contributo vuole soffermarsi.
L’introduzione, nelle strategie di modellazione dell’esodo, del dato relativo alle sfumature tipologiche afferenti agli occupanti è infatti un libro ancora da completare, una sfida aperta, che sembra lanciare un guanto che però non si può non accettare. "Houston, we have a problem" … e lo sappiamo, tanto che la questione della definizione di modelli agent based è già oggetto di intensa ricerca scientifica e di sperimentazione (attualmente esistono ancora solo validazioni parziali dei risultati). Un limite progettuale alimentato dalla mancanza di informazioni disponibili in letteratura per l’individuazione qualitativa degli elementi che influenzano il comportamento umano in emergenza. Difatti, se per i dati “idraulici”, di “fisica della folla”, come il numero di occupanti e l’affollamento, ovvero la loro densità, ci sono riscontri all’interno delle norme tecniche come parametro progettuale, in quanto condiziona in modo rilevante la velocità di movimento durante l’esodo e, conseguentemente, il tempo di movimento (ttra), sugli aspetti che influenzano le decisioni nel tempo di pre-movimento la maggior parte delle informazioni tecnico-scientifiche consultabili, oltre ad essere poco divulgate nel nostro Paese, sono prevalentemente di provenienza straniera ed in particolare di natura anglosassone. Per quanto attendibili, questi valori non possono quindi considerarsi direttamente traslabili a tutte le situazioni, poiché la differenza sociale e culturale influisce sulla popolazione e sui modi di agire e comportarsi in un qualsiasi contesto.
Un paradigma interpretativo, quello fin qui delineato che, sia chiaro, non deve essere visto come una pignoleria, un trofeo da esporre nella sala dei virtuosismi di pochi volenterosi eletti, ma rappresenta una strada obbligata. L’attuale normativa di sicurezza antincendio infatti la traccia, in qualche modo, nei principi cardine, che ciclostilano, nero su bianco, la necessità di orientarsi verso una progettazione inclusiva delle persone reali, “delle diverse disabilità (es. fisiche, mentali o sensoriali) e delle specifiche necessità temporanee o permanenti degli occupanti”. E sì, le nuance di variabilità rappresentano condizioni che addirittura, in alcuni casi, possono essere fluide, transitorie e circostanziali, dettate dalla situazione emergenziale, senza che questo possa di contro costituire un alibi dietro cui celarsi: la variabilità è spesso prevedibile e gli strumenti da mettere in campo sono molti (sic!).
Questa visione strategica si deve tradurre in una progettazione sartoriale dell’emergenza, che deve risponde alle effettive esigenze degli occupanti e delle relative caratteristiche, che possono ridurre o eliminare l'autonomia di un soggetto in situazione di emergenza, anche temporaneamente, e determinano la risposta soggettiva all’emergenza in tutte le fasi di esodo.
Ma quali sono le prevedibili discriminanti soggettive che potrebbero essere considerate nella valutazione progettuale per la modellazione dell’esodo? A titolo esemplificativo, possiamo citare: patologie di deambulazione e mobilità, patologie respiratorie (pensiamo alla presenza di affanno) e cardiache, obesità, variabilità sensoriali (riduzione della capacità visiva, daltonismo, dislessia, riduzione della capacità uditiva, etc.), la presenza di persone con bambini, passeggini e donne in gravidanza ma, più in generale, tutte quelle caratteristiche riconducibili a tutti coloro che, nonostante il fatto che in condizioni ordinarie risulterebbero autosufficienti, per un dato motivo e/o per un determinato lasso temporale presentano delle difficoltà, seppur non permanenti e non strettamente codificate come disabilità.
E con le esercitazioni sul campo potrebbero emergere anche altre dinamiche, afferenti allo specifico contesto situato d’azione, che possono impattare sugli atteggiamenti ed i comportamenti umani in emergenza … le emozioni, le credenze, le preferenze, le percezioni degli utenti, i ruoli, le risposte fisiche e psicologiche, le esperienze precedenti, le attitudini, le abilità e la personalità, il contesto, l’attaccamento agli oggetti materiali e così via.
La reazione delle persone al presentarsi di un’emergenza, dunque, non è caratterizzata da un modello lineare stimolo-risposta. Le persone non si comportano automaticamente come noi vorremmo, ma come percepiscono loro! "Houston, we’ve had a problem"… ma attenzione a non confondere la scarsa capacità di previsione da parte dei progettisti con l’imprevedibilità di reazione degli occupanti, che una diversa strategia spesso avrebbe potuto arginare.
La modellazione dell’esodo deve pertanto valutare tutti i fattori che influenzano il comportamento umano in una situazione di emergenza (a ciascuno di questi punti dedicheremo un prossimo contributo):
Tale prospettiva costringe ad alzare coraggiosamente l’asticella, scavalcando la cornice, senza ovviamente dimenticarsi di tutelare chi vi è dentro, guardando oltre la targhettizzazione, iniziando a ragionare sugli occupanti come asset progettuale, tanto quanto combustibili ed inneschi, non solo in termini numerici, per garantirne la prestazione nell’esodo. Una complessità che può essere inizialmente risolta dal professionista antincendio con considerazioni statistiche, con modelli di calcolo numerici o assumendo ipotesi semplificative, ma mantenendo la consapevolezza che, nella parte applicativa, bisognerà inserire le variabili che si erano date per costanti!
Il cambio di paradigma è radicale: vuol dire abbandonare l’idea di occupante “standard”, orientandosi verso una progettazione delle emergenze pensata per gli estremi dei percentili della variabilità umana della popolazione di riferimento, mettendo al centro la persona, non come concetto astratto, inserita in un contesto ambientale in relazione ad altre persone. Vuol dire pensare ad una progettazione della strategia antincendio compatibile con il maggior numero di persone possibili, nel rispetto della diversità, della variabilità umana (biologica, sociale e culturale delle persone).
Gli aspetti qualitativi non sono dunque questione di lana caprina, ma rappresentano condizioni che, se non gestite, possono creare vortici di vulnerabilità ed incidere, e non poco, sui comportamenti delle persone e sui tempi richiesti di esodo (Required Safe Escape Time). Non tutte le caratteristiche degli occupanti però sono ugualmente importanti nell’analisi progettuali, ma quelle maggiormente critiche hanno il potenziale di modificare in modo determinante il comportamento di una persona o di influenzare il comportamento di un gruppo di persone.
Arrivati fin qui è dunque chiaro il motivo per il quale la modellazione dell’esodo resta uno degli aspetti di maggior interesse della sicurezza antincendio ed anche uno di quelli più critici, con molte variabili da considerare. L'approccio prestazionale alla progettazione antincendio aiuta in tale ottica, consentendo di eseguire una differenziazione degli occupanti sia in termini di caratteristiche fisiche, come ad esempio l'ingombro spaziale e la velocità di camminamento, ma anche di variabili cognitive e sociali, sia individuali che collettive, riuscendo dunque a caratterizzare in modo più preciso e puntuale i diversi occupanti.
Il poeta Virgilio così declamava nelle sue Georgiche: «Il tempo fugge», una locuzione che ci ricorda, già nell’ordinarietà delle corse, la necessità di agire rapidamente, di non fare programmi a lungo termine poiché, nella sua caducità, il tempo scorre irreparabile e non bisogna sprecarne nemmeno un istante. Eppure, benché in condizioni straordinarie di allarme, non sembrano pensarla così gli occupanti di luoghi all’interno dei quali si genera un’emergenza derivante dallo sviluppo di un incendio e, per comprenderlo, basta osservare l’illustrazione M.3-1 del Codice di prevenzione incendi che mostra qualitativamente il comportamento delle persone lungo la linea temporale.
Dal diagramma è, infatti, ben visibile come gli occupanti, pur consapevoli della presenza di un’emergenza incendio (essendo già trascorsa la fase di rivelazione e allarme), si prendano il loro tempo prima di iniziare ad evacuare tanto da rendere la sottofase di pre-movimento la più lunga tra quelle che compongono il RSET, ovvero il tempo necessario per il singolo occupante per raggiungere, dalla propria posizione, un luogo sicuro.
Apparentemente, per l’occupante, il tempo di pre-movimento non trascorre invano: egli, divenuto consapevole dell’emergenza, esegue una lunga e complessa serie di azioni cognitive e sociali al fine di prendere quella che gli appare la migliore decisione sul da farsi, raccogliendo informazioni sull'evento e determinando la via d'esodo ritenuta più appropriata (wayfinding). Ma il tempo di pre-movimento può essere dedicato anche ad altre attività come la ricerca dei propri affetti, la ricerca dei propri oggetti ed altre attività a volte anche errate ed inappropriate, che aumentano i tempi di risposta e, al contempo, espongono potenzialmente le persone agli effetti dei gas, del calore e del fumo prodotti dall’incendio, fino al momento in cui potrebbero essere incapacitate.
Un processo, quello di valutazione individuale che intercorre tra il momento dell’allarme e l’inizio del tempo di movimento, che viene reiterato più volte. Quando si rendono disponibili nuove informazioni, o quando per qualche ragione le precedenti informazioni vengono interpretate in modo diverse, l’occupante modifica il proprio comportamento. Questa ricerca di ragionevoli elementi di “certezza”, che consentano di massimizzare la decisione sul da farsi, conduce ad una sorta di fallacia del ritardo: «se aspettiamo, ne sapremo di più su ciò che sta accadendo. Quindi non è il momento di prendere alcuna decisione».
Il punto è che, nel mondo reale, i concetti di ASET e RSET sono riferiti al singolo individuo. Ogni occupante, in ragione dello specifico scenario di incendio, avrà il proprio ASET e il proprio RSET che dipenderanno dalle caratteristiche individuali e relazionali, dalla propria posizione al momento in cui si genera l’emergenza e dal percorso che dovrà compiere per mettersi in salvo. Il comportamento dell’individuo è infatti molto differente dall’immaginario collettivo nel quale si parte dal presupposto che gli occupanti rispondano immediatamente ai segnali della presenza di un incendio o, in alternativa, si trasformino in maniaci scatenati lasciandosi andare a crisi di panico (torneremo anche su questo argomento). In realtà, quello che accade è il seguente (da Leach, J. (1994). «Survival Psychology»):
Una prospettiva evidenziata anche dallo studio condotto nel 2005 dal NIST (National Institute of Standards and Technology) che ha mostrato come, in media, i sopravvissuti all’attentato al World Trade Center abbiano aspettato sei minuti prima di scendere ma, in alcuni casi si sia arrivati a 45 minuti. Questo, nonostante il 63% di loro avesse «sentito qualcosa» (movimento dell’edificio, impatto), il 30% avesse «udito qualcosa» (l’esplosione, lo schianto dell’aereo) e il restante 7% avesse percepito altri segnali (odore di carburante, allarme lanciato da altri occupanti, vista dell’aereo che stava per impattare).
Il tempo di risposta (parte integrante del tempo di pre-movimento) può persino essere influenzata dall’attività che gli occupanti svolgevano prima del verificarsi dell’evento. È infatti riconosciuto che se le persone stanno compiendo certe attività, anche una volta che è avvenuta la segnalazione con l'allarme, questi tenderanno a continuare la loro attività impiegando diverso tempo per interromperla. Motivazioni ed aspettative che le persone collegano alla propria presenza in un determinato luogo hanno infatti ricaduta su quello che metteranno in atto nell’evacuazione. Nel citato rapporto del NIST sull’attentato dell’11 settembre 2001, ad esempio, si è evidenziato come molti dei presenti nelle Twin Towers abbiano speso parte del loro tempo per spegnere il computer prima di iniziare ad evacuare. Così come è noto che, durante un concerto, le persone potrebbero avere atteggiamenti di ritrosia nell’abbandonare la posizione così faticosamente guadagnata per vedere lo spettacolo. In un ristorante, al segnale di allarme, molti continueranno a mangiare ed in un supermercato si dirigeranno verso l’uscita col carrello della spesa. Durante il terremoto del 2011 in Giappone, le commesse di un supermercato hanno speso il loro tempo per impedire alle bottiglie di cadere dagli scaffali piuttosto che ripararsi. In questi casi, l’assenza di schemi comportamentali predefiniti relativi all’emergenza viene sostituito da schemi comportamentali familiari o, comunque, riconosciuti come stereotipati.
Con queste premesse è lampante come il tempo di pre-movimento sia’ l’oggetto della valutazione più complessa, che presenta elevata incertezza connessa all’interazione occupanti-ambiente!!! Ne consegue la necessità di orientarsi verso una progettazione che prende in considerazione il contesto di riferimento ed il più vasto numero di utenti con le specifiche caratteristiche e bisogni, adottando modelli di analisi e di gestione che non siano univoci e inflessibili, ma in grado di sviluppare uno scenario comportamentale di progetto elastico, mettendo in campo strategie per:
La risposta alle emergenze è il risultato di un processo. Gli occupanti degli edifici o i gruppi di occupanti intraprendono un processo decisionale (che si svolge una serie di fasi successive) prima di reagire, sulla base di caratteristiche psicofisiche soggettive, di dinamiche sociali e relazionali e dell’interazione con l'ambiente.
Come conseguenza di questo processo decisionale, vengono eseguite delle azioni. Nei casi in cui gli occupanti non si sentono in pericolo o non si sentono minacciati, è più probabile che si impegnino in attività normali e di routine che ritardino l'adozione di misure di autoprotezione. Allo stesso modo, in circostanze in cui percepiscono la minaccia o il rischio come incerto o poco chiaro, è più probabile che gli occupanti si impegnino in attività di ricerca di informazioni che ritardino la presa di decisioni finalizzate alla loro sicurezza.
Perlopiù, i sistemi di risposta alle emergenze sono stati finora realizzati facendo riferimento a caratteristiche “fisiche” degli occupanti: i tempi di movimento di un disabile, la presenza o meno di limitazioni sensoriali, l’affollamento… ma, diversamente da quanto potrebbe apparire, la conoscenza e la comprensione di questi ulteriori meccanismi comportamentali bio-psico-sociali renderebbe ragionevolmente più prevedibile sia il possibile comportamento dei singoli occupanti che quello del gruppo sociale nel quale essi si trovano e, conseguentemente, consentirebbe di fornire adeguate risposte in caso di emergenza.
La progettazione di un sistema di esodo deve dunque considerare come dato di progetto gli occupanti sia in termini quantitativi che qualitativi, un argomento alquanto complesso ed articolato che passa attraverso:
È chiaro che la prospettiva sopra delineata complica le cose, e di molto, aumentando l’entropia progettuale, ma appare una condicio sine qua non per garantire la prestazione: l’incompletezza dei dati di input non risolve il problema, oppure il problema non era quello affrontato. Se si vuole una modellazione dell’esodo funzionale, il puzzle progettuale deve avere ogni tassello al posto giusto, compresi tutti quelli che determinano i comportamenti delle persone in emergenza ... Come gli individui in emergenza si influenzano reciprocamente? Quali le dinamiche di folla composta da individui casualmente raccolti in quel determinato spazio? Sarà il prossimo contributo.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
25123 Brescia, c/o CSMT Università degli Studi di Brescia - Via Branze, 45
Tel 030.6595031 - Fax 030.6595040 | C.F. 97341160154 - P. Iva 03042120984
Privacy - Cookies Policy - Gestione segnalazioni-whistleblowing
Il sito utilizza cookie tecnici, ci preme tuttavia informarti che, dietro tuo esplicito consenso espresso attraverso cliccando sul pulsante "Accetto", potranno essere installati cookie analitici o cookie collegati a plugin di terze parti che potrebbero essere attivi sul sito.