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Quali sono gli spazi confinati? Come li riconosciamo? Un approfondimento a cura di Rita Somma: RSPP, sociologa del lavoro e consulente salute e sicurezza
È uno spazio confinato? Difficile rispondere in modo categorico. Dipende!
Proviamo a chiarire con semplicità i termini della questione.
Il problema di categorizzare un ambiente come spazio confinato non è un problema di lana caprina ma una situazione di rischio concreto, subdolo, trasversale a molti settori, eppur non sempre sufficientemente conosciuto ed individuato, ancora troppo spesso sottovalutato da datori di lavoro e RSPP, che costituisce il nesso causale, il legame eziologico, di molti infortuni gravi e mortali, spesso plurimi, anche a “grappolo”, conseguenziali al tentativo postumo di salvare i propri colleghi di lavoro: il rischio di lavorare in ambienti confinati o con sospetto inquinamento o similari. La presenza in spazi confinati di gas tossici asfissianti o la carenza di ossigeno può infatti far precipitare velocemente la situazione e comportare tragedie plurime, per questo è fondamentale che l’RSPP supporti il datore di lavoro nel saper intercettare preventivamente e valutare la casistica, anche attraverso una sensibilizzazione che possa aumentarne la consapevolezza.
La sicurezza è un diritto primario e una componente fondamentale della qualità della vita delle persone, anche in rapporto ai valori che formano e radicano l’identità di cittadinanza, un obbligo etico oltre che legale. Quando il pericolo è così elevato, la prevenzione diviene un fattore essenziale per evitare disgrazie e catastrofi di grave portata e deve portare a prevedere tutele prevenzionistiche maggiori. Ad oggi il legislatore ha definito tali tutele attraverso due norme specifiche: gli articoli 66, 121 e allegato IV punto 3 del D. Lgs. 81/08 e s.m.i. ed il DPR 177/2011 (costituito da soli 4 articoli). Quest’ultimo è stato emanato a spron battuto per rispondere a gravi infortuni mortali finiti agli onori di cronaca e ripetutisi con dinamiche spesso molto simili tra loro, ma si limita sostanzialmente a regolamentare la qualificazione tecnico-professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in tali luoghi confinati, senza però risolvere la vexata quaestio della definizione di ambienti confinati, lasciando ai datori di lavoro ed i tecnici delle “zone grigie” di incertezza.
A primo impatto, quando si parla di attività in spazi confinati, si ha quasi la percezione di trovarsi di fronte ad un rischio di nicchia, presente solo in realtà complesse a rischio elevato, invece è una situazione diffusa, presente nei luoghi di lavoro più di quello che normalmente si crede, così come evidenziano sistematicamente le disamine infortunistiche. Le statistiche ci dicono anche che, più frequentemente, sono le aziende di piccole dimensioni ad essere lo scenario di incidenti mortali in ambiente confinato e che l’esperienza nella mansione non aiuta nella prevenzione, infatti spesso sono lavoratori con consolidata esperienza ad esserne interessati, per questo è importante mantenere l’attenzione sempre alta. Tali ambienti infatti si trovano trasversalmente in molti settori, non sempre immediatamente individuati ed individuabili e che più difficilmente si associano alla presenza di gas/vapori pericolosi. Le cronache più recenti ce lo hanno prepotentemente e drammaticamente ricordato: in Danimarca due pescatori sono morti, dopo che il loro pescato, conservato senza ghiaccio, ha iniziato ad imputridire, rilasciando idrogeno solforato (o solfuro di idrogeno), risultato fatale alle due vittime entrate nella stiva, che si sono trovate inermi di fronte un gas silenzioso e invisibile, implacabile e nefasto: basta aspirarlo per rischiare la morte ancora prima di poter comprendere cosa stia succedendo. Ma questo è solo uno degli ultimi casi, la punta dell’iceberg.
Quali sono allora gli spazi confinati? Come li riconosciamo?
Nel procede all’individuazione, subito ci imbattiamo nella prima difficoltà, che risulta cruciale alla nostra analisi: in letteratura non esiste una definizione univoca di ambiente confinato (luoghi confinati, spazi confinati, locali confinati sono utilizzati come sinonimi), lasciando ancora molto ampio il dibattito su quali ambiti possano essere considerati tali. La normativa italiana ed europa non li definisce infatti chiaramente. E se consideriamo che le norme costituiscono un aspetto fondamentale per stabilire ed indirizzare verso un comportamento condiviso, è chiaro che la mancanza di un grimaldello interpretativo condiviso che chiarisca gli aspetti sfuggenti, costituisce un primo problema ostativo nella gestione puntuale di tale rischio.
Data tale carenza, spesso i tecnici si fanno aiutare dallo specifico regolamento federale americano (29CFR1910.146) e dagli standard OSHA (1993) e NIOSH (1978), nonché da documenti tecnici messi a disposizione da organi tecnici. L’INAIL, ad esempio, definisce uno spazio confinato come: “... uno spazio circoscritto, caratterizzato da limitate aperture di accesso e da una ventilazione naturale sfavorevole, in cui può verificarsi un evento incidentale importante, che può portare ad un infortunio grave o mortale, in presenza di agenti chimici pericolosi.” [Manuale INAIL 2012]. Le norme internazionali, invece, li definiscono: “Luoghi totalmente o parzialmente chiusi, che non sono stati progettati e costruiti per essere occupati in permanenza da persone, né destinati ad esserlo, ma che all’occasione possono essere occupati temporaneamente per l’esecuzione di interventi lavorativi come l’ispezione, la riparazione, manutenzione, pulizia …” [Occupational Safety and Health Administration-OSHA-National Institute for Occupational Safety and Health - NIOSH].
Già da una prima veloce lettura si nota che le definizioni hanno in comune alcuni aspetti ma non altri, condizione che può facilmente indurre a problemi interpretativi e lasciare ampi margini discrezionali, che possono cambiare completamente la valutazione dello scenario di riferimento. Sintetizzando, uno spazio confinato sembrerebbe definito da: zona circoscritta – zona non progettata per la permanenza delle persone - limitate aperture di accesso/uscita - ventilazione naturale sfavorevole - magnitudo di incidente elevata, spesso grave o mortale - possibile presenza di agenti chimici pericolosi (sostanze asfissianti, tossiche o esplosive - ad esempio, gas, vapori, polveri[1]) o atmosfera con mancanza o eccesso di ossigeno - dinamicità dell’ambiente (che può cambiare rapidamente) - soccorso difficoltoso.
Spazi confinati così definiti si possono trovare negli ambienti di lavoro più disparati: nelle costruzioni, nella metalmeccanica (fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo e fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici), nello smaltimento rifiuti/acque di scarico, nel settore alimentare (polveri, farine, grano, cereali, materiale sciolto e simili) ed in quello vinicolo (esalazioni alcoliche vino, mosto), della movimentazione/magazzinaggio merci, nel trasporto e nel commercio, nella manutenzione e riparazione di autoveicoli, nei cantieri, nelle raffinerie, galvanotecniche, concerie, bonifica/depurazione, pulizia industriale e nelle industrie in genere.
La categorizzazione di alcuni ambienti è piuttosto immediata e ci arriva dalle norme (artt. 63, 66, punto 3 dell’All. IV e dall’art. 121 del D. Lgs. 81/08), o sono comuque ormai assodati come tali dalla giurisprudenza e dalla prassi, pensiamo a: silos, cisterne interrate, seminterrate o fuori terra[2] o altri contenitori per sostanze o prodotti chimici organici e inorganici, stive, tramogge, recipienti di reazione e serbatoi di stoccaggio, autoclavi, vasche (di depurazione, di liquami, acquedotti, reti di bonifica, etc.), pozzi e pozzetti, canalizzazioni, tubazioni, recipienti di reazione, cunicoli di fognature, fosse biologiche, camini, gallerie, celle di conservazione/surgelazione, fosse di manutenzione autoveicoli.
Per altri invece risulta necessario un’attività di brainstorming iniziale che stimoli un processo associativo per la verifica della presenza o meno delle caratteristiche considerate identificative. Pensiamo a una sorta di rappresentazione grafica che permette di inserire i vari tasselli negli spazi vuoti, ma che lascia spesso molteplici dubbi interpretativi: per attivare un campanello di allarme che ci dice che ci troviamo di fronte ad uno spazio confinato così definito, devono essere presenti tutte le condizioni contemporaneamente? Quale diametro di apertura deve essere considerato per un accesso limitato? Quali condizioni rendono difficoltoso il passaggio? E così via. Non è cosa di poco conto!
L’individuazione di taluni ambienti non risulta infatti semplice ed immediata. Alcuni potrebbero, ad una prima analisi superficiale, non essere considerati come confinati, traendo in inganno, pur potendo rientrare a pieno titolo nelle definizioni del caso a seconda delle circostanze. Parliamo ad esempio di: camere non ventilate o scarsamente ventilate (anche se con aperture in alto), container, camere di combustione nelle fornaci e simili, autobotti, scavi profondi a sezioni ristretta, locali tecnici con accessi difficoltosi e spazi angusti, ambienti o recipienti in aziende vitivinicole, nelle combustioni in difetto d’ossigeno (stufe catalitiche, bracieri), ambienti dove si effettuano processi di saldatura o in cui possono insinuarsi fumi tossici da ambienti adiacenti, ambienti ove sono presenti liquidi e solidi che possono rilasciare gas tossici, intercapedini.
Esistono anche luoghi e ambienti di lavoro che, pur comunemente frequentati, assumono temporaneamente le caratteristiche proprie degli spazi confinati in relazione all’attività di lavoro in essere durante la loro costruzione o per successive modifiche o, ancora, per interventi manutentivi periodici e straordinari: attività di manutenzione all’interno di fosse o dei vani corsa degli ascensori, parcheggi sotterranei, metropolitane, cantine e sottotetti.
Naturalmente, questi esempi non possono essere considerati esaustivi degli innumerevoli casi che possono verificarsi. Indubbiamente la questione è delicata e complessa: utilizzare questa o quella definizione, o questa o quella interpretazione, cambia non di poco lo scenario. Il problema è che di tali ambienti ce ne potrebbero essere più di quanto a primo acchito si possa pensare. Consideriamo, ad esempio, l’acceso ad una riserva idrica a servizio della rete antincendio/pompe di pressurizzazione o l’accesso ad alcuni locali pompe ubicate in locali tecnici seminterrati/interrati effettuato da tecnici manutentori antincendio. Potrebbero costituire casi di spazi confinati? Affermativamente potrebbe rispondere chi adotta la linea di pensiero che fornisce una interpretazione più estensiva della definizione di spazio confinato, non basata unicamente sulla definizione del luogo o sulla configurazione geometrica/dimensionale, ma focalizza l’attenzione sul livello di rischio. In tale ultima fattispecie, potrebbe costituire uno spazio confinato qualsiasi spazio aperto o chiuso nel quale siano presenti o possano formarsi accidentalmente atmosfere pericolose, asfissianti, tossiche, infiammabili o esplosive ed in cui esiste un rischio di morte o di gravi lesioni da sostanze pericolose o da condizioni di pericolo a rapida evoluzione. Si pensi, per esempio, a fosse, depressioni del terreno o ambienti nel quale possono accumularsi gas più pesanti dell’aria (carenza di ossigeno) o dove per effetto di fenomeni atmosferici o attività umana possano manifestarsi onde di piena, sversamenti di grandi quantità di liquidi (rischio di affogamento), o anche ai locali interessati dalle attività di sanificazione con macchinette generatori di ozono, che hanno spopolato nella recente pandemia come misura di prevenzione anticontagio.
Le recenti Linee guida SNPA (21 dicembre 2020) “Gestione degli accessi in sicurezza in ambienti confinati o con sospetto di inquinamento o assimilabili”, propongono un percorso decisionale che si articola in due parti fra loro collegate: la prima per individuare se trattasi (o meno) di ambiente confinato, la seconda se trattasi di ambiente sospetto di inquinamento, attraverso la risposta a domande guidate, che sembrerebbe venire in soccorso nell’attività di individuazione, ma che non risolve del tutto il problema, non potendo colmare a monte il nocciolo della questione: la definizione!
È palese che l’interpretazione “ad ampio respiro” rischia di sovraccaricare molte attività, mentre quella restrittiva potrebbe influire in modo negativo sull’attenzione dedicata alla valutazione e non fornire indicazioni di sicurezza adeguate, esponendo i lavoratori a rischi elevati ed i soggetti ritenuti responsabili alle conseguenze imputabili alla violazione. Fino a quando l’eccessiva generalizzazione della definizione universale di uno spazio confinato resterà sfuggente ed il diritto non offrirà la chiave di volta in grado di offrire una definizione di senso comune, il dibattito resterà aperto, lasciando pericolose intercapedini interpretative. Se l’insieme delle norme risulta complicato ed apparentemente contraddittorio, ogni datore di lavoro si ritrova, di fatto, da solo a correre la propria gara per la sicurezza, come di fronte ad un notebook con un file word aperto a sfondo bianco, con il rischio di generare eccessiva incertezza e non garantire gli elevati standard prevenzionistici che l’approccio al rischio richiede. Con desolazione si ha la conferma che bisogna aspettare le tragedie per poter pronunciare la parola “sicurezza” (Giagni, 2015).
Altro aspetto fondamentale, che merita un approfondimento a parte, è che mancano nell’intero panorama europeo norme tecniche ufficiali di riferimento per dipanare i molteplici problemi applicativi. Come procedere per garantire l'assenza di pericolo per la vita e l'integrità fisica dei lavoratori che operano in ambienti confinati?
Questo ed altro in un prossimo articolo.
[1] derivanti da: • infiltrazioni nel terreno e/o • agenti chimici e/o • processi di lavorazione.
[2] contenenti prodotti o sottoprodotti di tipo organico, alimentare, zootecnico che possono dare luogo a fermentazioni derivanti sia dal ciclo produttivo (ad es. silos per foraggi, vini) che di origine accidentale o comunque indesiderata (ad es. infiltrazioni d’acqua in silos per sfarinati).
FONTI UTILIZZATE
• (DPR 177/2011) Attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Riferimenti normativi e requisiti di sicurezza.
• Quaderno Tecnico: Attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati
• DPR 177/2011
• (ISPESL) ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO Guida Operativa. “Rischi specifici nell’acceso a silos, vasche e fosse biologiche, collettori fognari, depuratori e serbatoi utilizzati per lo stoccaggio nel trasporto di sostanze pericolose”. Art. 66 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n.81“Lavori n ambienti sospetti di inquinamento”, 12/06/2008
• (NIOSH) National Institute for Occupational Safety and Health,
• Guide to Safety in Confined Spaces. DHHS (NIOSH) Publication Number 87-113, 1987 Criteria for a Recommended Standard... Working in Confined Spaces. DHHS (NIOSH) Publication Number 80-106, December 1979.
• (OSHA) U.S. Department of Labor Occupational Safety and Health Administration Confined space guide
https://www.inail.it/cs/internet/docs/manuale-illustrato.pdf?section=attivita
https://www.inail.it/cs/internet/docs/all-informo-factsheet-11.PDF?section=attivita
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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