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Dalla prima coordinatrice della sicurezza donna del progetto, al cantiere (quasi) tutto rosa della manutenzione della Galleria della Maddalena. La testimonianza di Marzia Puccetti, CSP e CSE del progetto
Il 31 maggio 2020 ho terminato il mio lavoro al cantiere della Nuova Linea Ferroviaria Torino Lione riguardante la manutenzione della galleria della Maddalena, a Chiomonte, in provincia di Torino.
Questo cantiere, del quale sono stata la CSP e la CSE, è durato 24 mesi esatti e si è trasformato in quello delle nicchie di interscambio da realizzare internamente alla stessa galleria sul paramento dx dall’imbocco, e in un appalto separato rispetto al primo, per garantire il transito a due sensi e l’inversione dei mezzi per le fasi di scavo del tunnel di base.
Contestualmente per me è terminata un’esperienza non ordinaria e neanche banale, cominciata nel 2005 quando con un punteggio totalizzante il massimo, un’ ATI internazionale tra Bureau Veritas Italia e Bureau Veritas Francia e un'altra società italiana, si aggiudicò l’appalto per il Coordinamento della sicurezza della Sezione Comune italo-francese, poi diventata transfrontaliera, ai sensi e per gli effetti della cosiddetta Direttiva Cantieri 57/92 recepita con dispositivi nazionali non sovrapponibili, nei due diversi stati, Italia e Francia.
Il contratto prevedeva un serrato programma di affiancamento al Committente per la versione preliminare del progetto della linea, con la redazione di un corposo dossier di sicurezza cantieri, basato innovativamente sullo studio del cantiere elementare, che ha costituito la base di riferimento metodologico dei PSC e degli addendum di progetto di entrambi i fronti dell’intervento, francese ed italiano, negli anni a venire.
L’appalto indetto da LTF sas (Lyon Turin Ferroviaire), società binazionale che ha curato gli studi e i lavori preliminari del Collegamento Ferroviario TORINO LIONE, è poi passato dal 2015 a TELT sas (Tunnel Euralpin Lyon Turin), il promotore pubblico incaricato da Italia e Francia di realizzare l’opera.
Il coordinatore italiano, anzi la coordinatrice italiana designata, ero io, una donna, laureata in architettura.
Incaricare una donna, quale coordinatrice della sicurezza per la progettazione, ed in seguito anche coordinatrice per l’esecuzione di alcuni altri appalti, quali i sondaggi e le ricerche archeologiche, prima ancora della Manutenzione della Maddalena, che partecipasse al tavolo di lavoro con parere vincolante ed incarico di verifica interna del progetto, nel 2005, fu un segno di pura avanguardia da parte di TELT, allora LTF, che confermò l’effettiva esistenza delle pari opportunità in ambito europeo, ben prima della triste legge sulle quote rosa, in Italia.
Ero già stata nominata CSP di un tratto di autostrada da 400 milioni di euro ed ancor prima, ero stata la “coordinatrice redigente” (con la prima 494 si poteva fare redigere ad un terzo il PSC) dei 9.000 miliardi di lire della Variante di Valico che erano stati, come dire, incarichi molto gratificanti eseguiti però, in qualche modo, sotto tutela di un collega uomo, un ingegnere, quotatissimo, quadratissimo e responsabile del progetto, che rassicurava il Committente incredulo di dover accettare che, solo una donna in Italia, avesse, allora, un curriculum vitae che potesse soddisfare con abbondanza i pesanti requisiti di ammissione alle gare per coordinatori di progetti infrastrutturali con gallerie di base e che, di conseguenza, le vincesse.
Figura 1 Linea ferroviaria Torino Lione. Il tracciato (per gentile concessione di TELT)
Nel panorama, però, degli incarichi di prestigio in un settore prettamente maschile come quello delle infrastrutture con gallerie, la Torino Lione era veramente il top e l’oggetto di molti desideri professionali dei pochi aspiranti in grado di candidarsi. Potenziale palestra di esperienza (e contemporaneamente di prova della medesima), sia per la metodologia francese, motivata dalla prevalenza del progetto d’oltralpe e garantita con l’applicazione di un Principio di Territorialità, sia per la fama “da Viaggio al centro della Terra” suggestivamente evocato dalla complessa situazione geologica e dalla difficile possibilità di indagine preliminare nel tracciato. In particolare, del misterioso Massiccio dell’Ambin da noi soprannominato “Hic sunt leones”, alto 2.400 m attraversato, nella sezione basale, dal tunnel di progetto a due canne lungo 57 km con coperture ipotizzabili fino a 2.000/2.200 m.
Il CSP nella metodologia francese è tecnico specializzato, con incarico fiduciario del Committente e con significativa autonomia; non agisce all’interno del gruppo di progetto, ma dal fianco del Committente, con un mandato di verifica di conformità alla sicurezza del progetto stesso, quindi molto collaborativo, ma sostanzialmente “versus “il gruppo di progetto. Questo, sostanzialmente per appurare la conformità della progettazione allo spirito della direttiva sulla sicurezza sui cantieri, ovvero che la sicurezza in esecuzione sia pensata e studiata in progettazione.
Eravamo agli inizi degli anni 2000, nel mondo dell’Ingegneria più iconica e conservatrice, l’ingegneria ferroviaria. Stava per prendere avvio quello che avrebbe dovuto diventare uno dei più importanti progetti di Europa (e di sicuro il più tormentato grazie all’azione dissidente nei confronti dell’opera), condividendolo con dei colleghi di un paese, la Francia, aduso a un ben più spiccato senso di sé e delle proprie regole (che poi sono quelle apprese dai romani) di quanto non fossimo noi italiani. Anche sulle donne al lavoro in ruoli apicali.
Figura 2 Tunnel di base del Moncenisio. Lo schema (per gentile concessione di TELT)
In effetti, allora, progetti parimenti importanti, in Italia, vedevano una scarsa partecipazione delle donne in ruoli di vertice, appunto apicali, desiderati da ambo i sessi.
Si ricordi che un tempo si intendeva che le donne raggiungessero punti apicali, ovvero “l’apice della loro carriera” quando raggiungevano il massimo ruolo loro concesso sotto il famoso tetto di cristallo, e, nell’ingegneria, e che questo tetto era piuttosto basso.
Lo posso dire con cognizione di causa perché ho partecipato alla maggior parte dei grandi progetti infrastrutturali della fine degli anni '90 e lavorato in importanti società di ingegneria. Di sicuro le poche donne che partecipavano a questi progetti e ricoprivano ruoli chiave, tutte ingegnere, portavano i segni della fatica fatta, forse fin dall’ università, per affermarsi.
La denunciavano nella loro aggressività istituzionalmente maschile, nei loro tailleur di Armani indossati come una corazza della rispettabilità, o nelle loro mises da giovane esploratore con scarponi sfoggiati sui pavimenti di marmo delle società mentre emettevano un costante messaggio di difesa per proteggersi dalle denigranti battute dei colleghi, e invece di tirare loro un pestone, si ammantavano di un’aria raggelante, cedevano o all’efficienza segretariale che tradiva l’insicurezza di avere, in effetti, il ruolo giusto, o per contro, per essere certe di dimostrare che erano lì per il cervello e non per la manovalanza, nell’eccessiva durezza nel trattare i subalterni e non fare assolutamente nulla che non richiedesse almeno una laurea.
A queste pioniere va il nostro ringraziamento più sentito per aver tracciato il progetto di una strada ancora lungi dall’essere realizzata e percorsa con la velocità pari alle autostrade a traffico maschile.
Per quelli che pensano che per le donne sia più difficile il cantiere sappiano che non è così. Negli uffici è realmente più difficile. Chiunque si ritiene in diritto di zittirti, minimizzarti, ignorarti, allusive, alludere alla tua salute mentale consigliandoti cure, nasconderti informazioni, scavalcarti, e non si vede mai un capo progetto che intervenga, sostanzialmente perché neanche loro sono in grado di riconoscere le sottili allusioni manipolatorie della discriminazione. La cosa indegna è che chi viene accusato di comportamenti antifemminili pretende di dimostrare che non è vero riaccusando e diffidando ulteriormente chi ne è vittima.
Nella mia lunga carriera me ne sono successe di tutte, ma la più grottesca è stata quella di quell’ingegnere che, esasperato, mi ha “scarabocchiata” sulla mano con la penna. Esatto, ha cercato di scarabocchiarmi via. Inutilmente, ovviamente.
La ragione della pessima fama caratteriale di certe donne è che rimediare a questa difficile situazione, che ha di sicuro conseguenze professionali e di responsabilità, provvedono da sole, con evidenze di una certa cruenza.
Una cosa sulla quale pochi riflettono è cosa pensano i figli di quello che succede alla madre e di come si relaziona in un mondo del lavoro così difficile e di che messaggio vuole portare a casa sul proprio comportamento.
Io ho un figlio unico, che fa un lavoro del tutto diverso dal mio, ha lavorato con me, addirittura da socio, ma si occupa di altro e non di cantieri che peraltro ha sempre visitato proprio perché si rendesse conto del lavoro che stavo facendo.
Lui mi ha dato un grandissimo sostegno morale, di stima e di apprezzamento per il quale non lo ringrazierò mai abbastanza. A lui ho insegnato il valore del metodo, dell’aggiornamento continuo, della serietà. E che l’etica del lavoro permette, in caso di attacco, che non si facciano prigionieri, perché un professionista ha solo la propria reputazione come pubblicità e nessuna invidia o pregiudizio, tanto meno sul genere, la deve distruggere.
I lavoratori sul campo, invece, ti vivono come un elemento debole della catena e pertanto sviluppano una sorta di solidarietà nella polvere, che fa sì che in qualche modo si sentano coinvolti nel tuo successo e nei tuoi risultati e poi la vanità maschile di essere approvati da una donna, senza in cambio portare su la legna e aggiustare rubinetti che perdono, ha il suo peso.
Non è quindi nel fango del cantiere che dai prova di te, come CSE donna, ma ai tavoli delle riunioni di coordinamento, dopo che hai affrontato come CSP i tavoli di progettazione, il famoso “tecnico, possibilmente anziano e ostile” che ti ricorda che, mentre tu avevi i fiocchi in testa e le calzettine, lui scavava maschie gallerie, senza progetto, dove moriva una persona al Km, quando andava bene.
L’ambiente di LTF era severo, i ritmi e le scadenze previste dal bando erano pressanti. Avevo una squadra di 14 persone da gestire, non ci era chiaro se correvamo o meno dei pericoli sotto la minaccia nascente dei NO TAV perché non si capiva neanche cosa volessero, tanto che la stampa li definì, erroneamente, affetti dalla sindrome del NIMBY [1], ma trovai e conobbi colleghe francesi, qualcuna anche italiana, bravissime e informali. Una “esteriorità” di professionista che, in Italia, paludate nei tailleur come eravamo, allora era davvero sconosciuta.
Soprattutto trovai che i francesi avevano chiaro, per istruzione e educazione, quello che gli italiani manifestamente non hanno ancora capito: cioè che non è affatto necessario essere simili per essere uguali. Comunque, ero curiosa di vedere cosa sarebbe successo in un ambiente internazionale dove mi presentavo con un aspetto per i più inconsueto.
A quei tempi io avevo i capelli di due colori e alla prima riunione, di 27 persone della parte italiana, questo fatto non passò inosservato agli annosi ingegneri e geologi italiani dei gruppi di progetto, molto formali, e alle colleghe francesi, che, colorate e disinvolte nei loro abiti femminili e semplici, quando erano in disaccordo con i colleghi uomini, li contraddicevano senza se e senza ma, certamente come un’ italiana avrebbe esitato a fare. Gli uomini, facenti parti dei gruppi di progetto e di esperti, mi guardarono e mi accolsero con una vera e propria riserva mentale.
Era chiaro. Doveva esserci un errore. Era l’assistente, una parente, non poteva essere la titolare dell’incarico della sicurezza della tratta italiana di quel colosso.
Quel giorno, la direzione di LTF era impenetrabilmente impegnata in complessi appunti sui loro grandi quaderni. Da quella parte, dato che non si vedeva la ragione di commentare un evento basato sul merito, e quindi sull’opportunità, nessun aiuto.
Mi presentarono senza alcun commento e avviarono la riunione che non aveva me, come ordine del giorno, nonostante i più lo ritenessero opportuno ad vocem: “invasione aliena”.
Io non sapevo che pesci prendere. Le colleghe francesi mi davano un esempio incredibilmente innovativo, ma ancora non ero pronta a farmi trainare.
La volta dopo, per evitare che mi guardassero ancora come si guarda un cane che si accomoda sulla prima panca in chiesa, prima di sedermi al tavolo da riunione in posizione ben centrale, complice una gentilissima segretaria, portai delle caramelle, servii a tutti il caffè e così si rassicurarono che la CSP fosse anche una mamma, e che non fossero in pericolo. Si rilassarono e si distesero, abbassarono le difese con l’unico risultato di essere meglio confutati dalle colleghe francesi per niente turbate dal fatto che al tavolo sedessero dei tecnici uomini, alcuni perfino ingegneri.
Alla fine, in qualunque modo sia cominciata, imparando via via a mandare prima avanti la competenza e poi la persona, errore che a volte è facile fare, sostituendo “lo dico io” con “lo dice il CSP/CSE” è andata avanti per una durata complessiva di 15 anni a più riprese e, per circa 12 anni, con i dovuti "sospesi" tecnici e politici, sono stata il Coordinatore della sicurezza in fase di progettazione della Nuova Linea Ferroviaria TORINO-LIONE e il Coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione della manutenzione Galleria la Maddalena. Il famoso “buco” (7,020 km) sull’esistenza del quale si è parecchio dibattuto nel 2018-2019.
Quando ho finito il mandato della Maddalena mi sono resa conto che in quel cantiere c’erano tre eventi che dovevano essere menzionati:
e, il particolare, per ultimo, ma non certo per importanza:
Un cantiere (quasi) tutto rosa.
Infatti, esclusa la DL, un ingegnere, che resterà nella storia di TELT come uomo coraggioso, del quale, in due anni, non abbiamo potuto fare a meno di notare la solitudine di genere che di solito colpisce le donne e che, comunque, aveva anche un assistente donna, Cristina, i punti cardine del cantiere erano occupate da donne.
Da parte nostra la squadra era: CSE donna, Marzia, computista, Paola, nonché direttore tecnico della mia società, Gherardo quale responsabile amministrativo del contratto. Assistente al CSE donna, Sabrina, e in back office e progettista del cantiere, Luca.Dall’altra, l’impresa era guidata da una donna, Paola, che ha nominato capo imbocco una donna, Stefania, con un assistente di cantiere donna, Magda e responsabile del SPP donna, Virna, presente nello staff anche Felice, marito di Paola.
La fase del cantiere di Manutenzione M40, come abbiamo detto è durata 2 anni, durante i quali sono stati effettuati manutenzione ordinaria/straordinaria e tutte le riparazioni, di qualsiasi genere, di tutte le componenti degli impianti di videosorveglianza, elettrici etc., comprese le apparecchiature/impianti connessi ed a servizio degli impianti stessi secondo quanto prescritto nel piano di manutenzione e/o nel libretto di manutenzione messo a disposizione dalle case fornitrici degli apparecchi e dei componenti degli impianti.
Abbiamo anche avuto necessità di intervenire con provvedimenti di straordinaria manutenzione per rinnovare gli elementi strutturali più datati e garantire, a tutta la galleria, le performances di stabilità dei settori più recentemente realizzati.
Il cantiere della Maddalena, in questa fase, appunto di sola manutenzione, ha avuto caratteristiche ben diverse dal cantiere di costruzione. Si può infatti dire che ha avuto più le caratteristiche tipiche degli ambienti industriali fissi in cui si deve intervenire a manutenere opere civili che contengono e supportano impianti, piuttosto che dei cantieri di costruzione. Nondimeno le attività che si aprono per fare manutenzione sono comunque cantieri temporanei o mobili.
Le attività oggetto dell’appalto riguardavano quindi le attività di manutenzione ordinaria e, eventualmente, straordinaria da eseguire sulle strutture e gli impianti realizzati a seguito della costruzione della galleria che, non è dotata di rivestimento definitivo ma ha, dalla PK 198,00 in poi, solo il consolidamento primario.
Nel complesso le operazioni comprendevano anche dei servizi generali come le pulizie dei locali, il taglio dell’erba, lo sgombero neve e l’assistenza alle FF.OO, queste ultime non nella giurisdizione del CSE.
Il Piano di Sicurezza e coordinamento riguardava, ovviamente, la gestione del cantiere, nel rispetto della salute e sicurezza dei lavoratori nella gestione e la manutenzione ordinaria/straordinaria e tutte le riparazioni, di qualsiasi genere, di tutte le opere civili e di sostegno, comprese le opere/impianti connesse ed a servizio dell’impianto di depurazione delle acque della galleria esplorativa eseguite secondo le specifiche tecniche riportate nell’allegato ed a quanto indicato nel Piano di Manutenzione delle Opere Civili e degli impianti redatti dai progettisti-esecutori della galleria esplorativa La Maddalena, e corredati dai loro “as build”.
Il cantiere aveva anche la particolarità di essere diviso in parti fruibili e parti senza possibilità di accesso, per rispettare delle prescrizioni ASL precedenti e aventi lo scopo di interdire l’accesso all’area sotto il viadotto a piedi, nelle more del completamento di un certo studio che valutasse altri interventi tecnici da eseguire nell’area.
È stato difficile?
Sì, come tutte le sfide che noi coordinatrici e coordinatori affrontiamo in cantiere e che ha come risultato la sicurezza e la salute dei lavoratori. In questo caso la sfida è anche concettuale, non solo di controllo ed operativa.
Non c’è letteratura di riferimento sulla sicurezza della manutenzione e in particolar modo sulla sicurezza della manutenzione di una galleria geognostica.
Sai che il PSC che sarà redatto sarà il primo documento del genere e nel prosieguo del lavoro ti rendi conto che questo documento si rigenera, continuamente, come i POS dei quali si succedono gli aggiornamenti perché, via via che si avanza, il lavoro nel cantiere cambia senza che cambi il cantiere e questo è un aspetto molto sorprendente e delicato ovvero, che cambino le lavorazioni mentre le esegui, che l’ottica della sicurezza cambi, senza che il cantiere sia in un’altra fase.
Le modifiche derivano dall’operazione stessa, questo fatto non rientra nella categoria dei “near misses”, un incidente senza infortuni, ma semplicemente è un evento che incide il processo che avevi previsto con una deriva tecnicamente necessaria, che non potevi presumere e che ha un campo di rischio che va affrontato nell’immediato, documentato e aggiornato per scegliere le misure di protezione necessarie.
Di solito una delle difficoltà maggiori di un cantiere del genere è che le lavorazioni sono mirate o a prevenire una perdita di efficienza o a mantenerla, ma per quale ragione, complessa, questa perdita di efficienza si manifesti o che aspetto abbia lo scenario, sia di guasto che di una manutenzione programmata, che poi riscontri realmente, è del tutto congetturale.
Il cantiere è un ambiente già costruito mancano tutte le fasi di trasformazione dell’opera tipiche di un cantiere edile o di ingegneria dei montaggi. Il “cantiere principale” è infatti un luogo già edificato, l’interfaccia civile-impianti è casuale, rilevata, ma non progettata e quindi può essere complesso intervenire dove comanda il mantenimento della funzione meccanica, elettrica stabilita prioritariamente dalla funzionalità degli impianti e non la parte civile che funziona in molti casi da mero supporto dell’impianto, e ha una sua reattività (anarchica) tipica dei supporti.
La galleria “è viva”. Elementi naturali si interfacciano con elementi tecnici che concorrono a modificarne l’assetto strutturale. Vi sono altri fattori come temperatura, copertura, presenza d’acqua, clima, alternanze stagionali che incidono nella risposta dell’organismo complessivo e delle sue parti.
L’impianto, il supporto stesso si rompono o hanno bisogno di intervento con tante configurazioni diverse e ogni volta bisogna che il tecnico di cantiere e il CSE si trovino d’accordo su come intervenire e aggiornino tempestivamente i documenti.
L’organizzazione del lavoro è pesantemente condizionata da spazi rigidi, non trasformabili e ristretti, congestionati da dispositivi e parti funzionanti di impianti non tutte facilmente raggiungibili per effettuare la manutenzione o la riparazione.
Da questo la necessità di organizzarsi tenendo conto che certe operazioni richiedono non solo il coordinamento tra diverse discipline ma piuttosto lo sfasamento degli interventi per evitare di lavorare più persone, in ambienti troppo ristretti, contemporaneamente.
È stato quindi effettuato lo studio di procedure adeguate per l’accesso condizionato alla galleria, la gestione delle emergenze con il mezzo di soccorso sempre disponibile all’ingresso della galleria ma non presso l’area di lavoro perché non si poteva entrare dentro con più mezzi, si è condotta sempre la verifica molto puntuale che tutte le attività extra fossero supportate progettualmente e calcolate sullo scenario reale, l’abolizione di qualunque fai da te e autocostruzione, la verifica, la verifica e ancora la verifica della completezza delle operazioni di manutenzione programmata, come garanzia della riduzione degli imprevisti per rottura, le procedure speciali per le urgenze di impianto, la sostituzione di misure di sicurezza troppo pericolose da realizzare con la verifica della vera consistenza del rischio e l’azione puntuale su questo.
Tutti questi elementi hanno nutrito di integrazioni il PSC e arricchito di confronti le riunioni di coordinamento con la ricerca della soluzione tecnologicamente più adeguata e la fermezza di non consentire l’inizio di un lavoro che non fosse stato indagato con l’approfondimento necessario e la conformità progettuale e di piano operativo, fino a negare la fattibilità, a comunicarlo, e a sentirsi bene per questo.
Figura 3 L’area di cantiere divisa in aree fruibili
È stato difficile farsi ubbidire?
Da chi? Questo è un falso problema. La gente è lì a lavorare, non a dare prova di resistenza alle varie forme di forza che cercano di agire sinergicamente per la buona riuscita del cantiere e della sicurezza degli operatori. Inoltre, se chi ha un ruolo di coordinamento sa che il potere dell’arrendevolezza sta solo ed esclusivamente nelle mani di chi deve obbedire e non esiste il condottiero che si impone, evita di coprirsi di ridicolo comandando gli operai, cosa che tra l’altro non ti spetta.
Ha fatto la differenza che fossimo quasi tutte donne?
Sì. Per quanto mi riguarda ha fatto la differenza nel fatto che pur essendo di opinioni diverse in più occasioni sia stata cercata una quadra, anche non condivisa, ma sempre motivata.
Sì, per la tenacia quotidiana del controllo, sì, per la tecnica e la metodologia delle quali sappiamo impadronirci con facilità, per la modalità di gestire la competenza, che quando era presente, era condivisa con interesse e disponibilità, altrimenti, senza drammi, si richiedeva aiuto per imparare tutte qualcosa di nuovo.
No, per le discussioni. Abbiamo discusso a toni forti se necessario, ci siamo date e restituite, qualche colpo basso, ma alla fine il modello maschile non ha prevalso.
L’imprenditrice Paola, la ragioniera più tecnica che abbia mai conosciuto, con l’assistente di cantiere Magda, figlia e giovane socia dell’impresa di famiglia, futura ingegnera ha sempre messo a disposizione quanto necessario per invogliare le proprie maestranze a crescere, con corsi di perfezionamento lavorando tantissimo per arricchire la preparazione e l’addestramento nel cambio mansione. Il capo imbocco, Stefania, una donna con una esperienza formidabile, che ha lavorato in India, in Cina, in Sudafrica nello scavo di gallerie infrastrutturali con TBM, nonché ingegnera progettista delle medesime, che ha offerto con una incredibile generosità il suo enciclopedico sapere e la sua feroce costanza nel seguire mossa per mossa gli operai che hanno appreso da lei tanto da “laurearsi” super centinatori. L’RSPP, imperturbabile ingegner Virna, e la mia eccellente assistente, Sabrina, per caso di ATI, a sua volta titolare di cantieri ben tosti, che dopo le baruffe iniziali mi ha supportato con la lucidità e una preparazione vasta, competente e determinata di un’ingegnera che ha macinato veramente tanta esperienza.
Io ero l’unica laureata in architettura, ma credetemi nel mio piccolo, per i colleghi architetti, mi sono difesa, e ho fatto valere la categoria.
I lavoratori poi, sono stati una grandissima soddisfazione e li ringrazio per la prudenza nel lavoro e la cura che hanno avuto di sé. Resto dell’idea che come dice Savater, la prudenza sia parte del coraggio, e in realtà ci vuole coraggio per andare ogni giorno “al centro della terra”.
Dal punto di vista umano e del lavoro è stato come dovrebbe essere. Ho lavorato, mi sono preoccupata, ho pensato, ho inventato nuovi schemi e ricordato vecchie tecniche aggiornandole, ma anche ho riso con le mie compagne di cantiere, per la prima volta dopo 30 anni di esperienza in cantieri misti, non mi sono sentita in imbarazzo per qualcosa detto a doppio senso, o sentita in difficoltà per dover combattere contro il tentativo di mettermi in difetto perché sono donna o perché, e qualche volta è successo, perché sono anche, un’architetta.
Un’esperienza davvero bella, per la compagine e il contesto irripetibile. Una di quelle cose che ti fanno chiudere con piacere, gratitudine e senza rimpianti una carriera ricca di esperienze incredibili per una donna dell’altro secolo!
Con l'acronimo NIMBY (inglese per Not In My Back Yard, lett. "Non nel mio cortile sul retro") si indica la protesta da parte di membri di una comunità locale contro la realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante (ad esempio grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e simili) in un territorio che viene da loro avvertito come strettamente personale (come il cortile interno di casa, quello posto sul retro o all'interno dell'edificio, che rispetto al giardino davanti alla facciata garantisce più privacy e spesso è totalmente inaccessibile agli estranei), ma che non si opporrebbero alla realizzazione di tali opere se in un altro luogo per loro meno importante.
L'opposizione può essere motivata dal timore di effetti negativi per l'ambiente, di rischi per la salute o sicurezza degli abitanti o di una sua riduzione di status del territorio (Wikipedia ad vocem).
Nel caso della Torino-Lione, questo fenomeno ha preso sfumature diverse, non si è contrari all’opera in val di Susa ma al progetto stesso di costruzione ex novo di una ferrovia, anche altrove rispetto alla Val di Susa.
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