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16 ottobre 2018

Interventi e commenti

Una donna in cantiere

L’esperienza di Pamela Cerminara, una giovane donna che negli ultimi otto anni ha lavorato in cantieri in Italia, Israele, Azerbaijan, Germania e Portogallo

Una donna in cantiere

Quando mi è stato chiesto cosa vuole dire “essere donna in un cantiere” la mia mente ha fatto un salto nel passato… ma per me è più facile raccontare un po’ della mia vita in campo lavorativo.

Essendo geometra (donna) ho sempre frequentato ambienti maschili dove in classe eravamo solo 3 donne. Già allora mi sentivo dire «ma non ti senti a disagio in un ambiente maschile?» e io «ma perché? È una scuola come tante altre, io quando sono là non avverto differenze». Poi il tirocinio, la libera professione, il confronto con gli altri colleghi. Ricordo ancora il catasto, dove le donne si contavano sulle dita di una mano.

Quando presi la decisione di partire e fare il colloquio con l’azienda per la quale lavoro e che realizza microtunnel, ben 8 anni fa, lo feci controvoglia, ricordo di aver risposto urlando a mio padre (che insisteva ripetutamente per farmi fare quel benedetto colloquio): «Ma che ci vado a fare, non capisco nulla di quello che fanno, è una tecnologia che non conosco minimamente, non ho mai fatto cantiere, poi con un’azienda tedesca! Ma sei matto? Non conosco nemmeno l´inglese… figurati se quelli prendono me!»

Così controvoglia, pronta a sentirmi dire un “no” colossale, indossai la mia maschera migliore e andai a fare quel colloquio direttamente in cantiere. Là scoprii che bisognava sostituire la mia collega (che poi è diventata la mia migliore amica) la quale era in maternità, e che, nonostante il problema della lingua, mi avrebbero messo in prova 15 giorni con altre persone. Iniziai il lunedì successivo: entrai in cantiere e veloce come una freccia mi chiusi nell’ufficio container con gli altri colleghi in prova.

Cerminara04.JPGIniziai a sistemare tutti i documenti e fogli sparsi per l´ufficio poiché la mia collega ormai era assente da mesi, e iniziai a prendere confidenza con quel mondo sconosciuto. Ricordo ancora il capocantiere di allora che quando mi vide sistemare e catalogare i faldoni, arrivò con una marea di documenti arretrati da sistemare, e me li consegnò senza troppi se e troppi ma. Così sistemai anche quelli, perché io con le mani in mano non so stare.

Tutto iniziò quando, finito di sistemare i documenti, iniziai a mettere il naso in cantiere per vedere cosa stessero facendo, cosi per caso mi accorsi che gli operai avevano difficoltà a riparare una pompa smarino e organizzai immediatamente la manutenzione da una ditta esterna. Da là mi coinvolsero giorno dopo giorno nelle fasi lavorative, aiutai anche il loro topografo nel fare i rilievi nel tunnel, come si suol dire... mi sporcai le mani senza fare la schizzinosa. Ancora adesso molti rimangono sorpresi nel sapere che scendo nei pozzi e sto nei tunnel!

Le battutine non mancavano, ma nonostante il problema di comunicazione capivo benissimo e ridevo con loro e ci scherzavo su. E forse è stato proprio questo lato della mia personalità a farmi andare avanti. Con il personale di cantiere mi adattai subito, non ci fu tempo per le differenze di sesso, si lavorava per portare a termine il lavoro. Dopo 15 giorni mi assegnarono un cantiere da sola, non ci volevo credere!

Nonostante con il personale di cantiere non ci fossero minimamente problemi, le differenze me le hanno fatte sentire alcuni colleghi (maschi) dagli uffici italiani (e che ora non lavorano più per noi). Tante volte mi son sentita dire «Tu non capisci niente» o sentivo dire loro «Cosa vuoi che capisca?! È una poverina» poi sempre a mettermi tanto in difficoltà dicendomi che loro seduti dall´ufficio ne capivano più di me che stavo 24 ore su 24 in cantiere, fino ad arrivare a studiarle tutte su come farmi buttare fuori… no, non è stato minimamente semplice dover sentire queste cose.

Già era difficile star fuori casa in trasferta per lunghi mesi, lontana chilometri e chilometri completamente sola senza la tua famiglia e i tuoi amici, con una realtà che non conoscevo e con persone che non parlavano nemmeno la mia stessa lingua… poi dover subire anche da loro critiche e vessazioni! Momenti di crisi ci sono stati, anche molto forti, nei quali mi chiedevo sempre «Ma chi me lo ha fatto fare? Io cambio lavoro!», ma quello che producevo con il mio lavoro parlava da se. Per fortuna il mio Team Leader (che io scherzosamente chiamo “boss”) mi ha sempre sostenuta, anche perché capivo quello che loro volevano, ed è stato lui all´inizio, quando io la sera dopo il lavoro andavo a prendere lezioni di inglese, ad imporsi e chiamarmi anche dieci volte al giorno per farmi parlare in inglese per esercitarmi.

Il periodo più difficile è stato in Azerbaijan, dove la mia posizione non è stata mai accettata ed ero considerata (dai locali) il niente più assoluto in quanto donna, sono stati i 15 mesi più bui che abbia mai passato, dove un ambiente maschilista al 1000% annulla la tua persona fino a farti sentire una nullità. Parole dure, ma è la cruda verità. E nonostante tutto la mia Azienda (operai inclusi) mi è sempre rimasta a fianco sostenendomi totalmente.

Nonostante siano passati otto anni non trovo nessuna difficoltà in cantiere. Ogni tanto capita di qualche nostro cliente prevenuto, che nel momento di mettere nero su bianco le quantità/addebiti vari, tira in ballo le differenze di genere. Ma sono casi sporadici. E devo ammettere che a dover lavorare in Italia avrei dovuto veramente lottare per farmi apprezzare; al contrario all’estero hanno apprezzato fin da subito il lavoro svolto. Ripensando ai primi giorni in cantiere mi viene in mente anche un mio ex, il quale mi disse «ma io che ci devo stare a fare con una che lavora in cantiere in mezzo agli uomini? Per me non è una donna».

Da allora ho fatto in modo di superare tutte le mie insicurezze… e oggi mi ritrovo su un cantiere in Israele dopo aver fatto zapping tra Italia, Azerbaijan, Germania e Portogallo!

E non solo… L’emozione più grande è stata ricevere, dopo la disavventura (solo ora la posso chiamare così) dell´Azerbaijan e in un momento di crisi su un altro cantiere, la telefonata dal Presidente del Collegio dei Geometri di Catanzaro il quale mi informava di essere risultata l’unica donna Geometra regolarmente iscritta a lavorare su cantiere specialistico con azienda estera in Italia e all’estero. Ricordo bene quel momento, non ci volevo credere, mi son dovuta fermare con la macchina e ho pianto, pensando che alla fine tutti i sacrifici fatti (e che ancora sto facendo) hanno portato a qualcosa.

In tutti questi anni passati in cantiere di una cosa sono certa: non è facile e non lo sarà mai. Con gli operai ci si è scontrati, arrabbiati l’un l’altro, si è riso, si è stati complici, ci si è supportati nei momenti di difficoltà, si è lavorato ed eseguito tutto senza bisogno di parlarci. E capisco che è andato tutto bene quando a fine giornata, che sei esausta e hai voglia solo di chiuderti a casa e dormire, loro ti chiamano e ti aspettano per bere una birra insieme.

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