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La toponomastica femminile come azione verso la parità di genere. Un libro di Salvatore Giannella e Gaetano Gramaglia, prefazione a cura di Isa Maggi
Nei 21 capoluoghi delle regioni e province autonome in Italia ci sono 24.572 strade. Di queste, il 93% portano il nome di uomini e solo 1.626 (vale a dire il 6,6%) sono intitolate a donne. Se escludiamo le sante, il numero scende addirittura a 959! Il nome più presente è quello di Maria, la madre di Gesù, che compare più di un centinaio di volte nelle strade delle 21 città considerate con 65 diversi appellativi (dati Mapping diversity).
Il divario di genere nella toponomastica racconta qualcosa sul tipo di società in cui viviamo e su quella che perpetuiamo. Eppure sono molte, anzi moltissime le grandi donne italiane che meritano memoria in un luogo pubblico da intitolare a loro: una strada, una piazza, un monumento, un parco, una scuola. Con questa certezza e l'intento di incentivare la parità di genere toponomastica Salvatore Giannella e Gaetano Gramaglia hanno raccolto nel libro "Le vie delle donne" 20 profili di donne influenti, una per regione - ma c’è un rimando per chi volesse approfondire ad altre 200 donne - che si sono distinte per le loro storie non comuni, donne in carne e ossa che con il loro operare hanno migliorato il mondo attorno a loro, donne laiche, magari scienziate o dottoresse, letterate o politiche, o eroiche protagoniste della Resistenza che hanno contribuito alla nascita della nostra Repubblica.
"Questo libro - si legge nella prefazione a cura di Isa Maggi - è un messaggio diretto agli amministratori delle città italiane, ai componenti delle commissioni toponomastiche e nelle scuole dove vengono formate le nuove generazioni. Vuole contribuire a far scoprire, valorizzare e vedere con uno sguardo nuovo alcune delle tante donne che, in epoche diverse e con ruoli diversi, hanno influito e contribuito con le loro idee, il loro talento e il loro impegno alla crescita culturale e sociale della nostra Italia. La Storia sono anche loro. 'L’altra metà del cielo' merita 'l’altra metà delle vie'. Per ogni figura femminile gli autori rivelano, regione per regione, la galassia di piccole e grandi vite. Il loro raccolto e racconto è in grado di coinvolgere tutti e tutte in un percorso di condivisione per capire cosa le donne hanno saputo fare, spesso in maniera poco visibile o mai raccontata".
In occasione della Giornata Internazionale della Donna 2023 vogliamo proporvi tre di questi profili di donne - contenuti nel libro "Le vie delle donne" - che si sono distinte per il loro operato nel mondo del lavoro e dei diritti dei lavoratori
Rosa Angela Caterina Genoni nasce a Tirano, un piccolo centro in provincia di Sondrio il 16 giugno 1867, da Luigi, calzolaio e Margerita Pini, sarta. Primogenita di diciotto fratelli, a dieci anni, fa in tempo a frequentare la terza elementare, imparando a leggere e scrivere prima di essere mandata a Milano a lavorare come piscinina, apprendista tuttofare dei laboratori di sartoria.
Ad ogni modo Rosa a Milano riprende la scuola conseguendo la licenza elementare, ma soprattutto si iscrive ad un corso di francese organizzato dal Comune. Rosa comprende che il suo futuro è nel campo della moda ed è indispensabile la conoscenza del francese. Parigi è la capitale indiscussa della moda. Intanto però Rosa si avvicina sempre più alla politica e si fa subito notare, tanto che parteciperà a Parigi are ad un convegno sulle condizioni dei lavoratori. Rosa ha diciotto anni…. Fa la domestica per pagarsi una prima sistemazione, poi un giorno vede un avviso affisso sulla vetrina di un negozio: cercano una sarta che sappia fare il point de croix russe. Lei non lo sa fare ma decide di provarci lo stesso. Entra nel negozio e dice:” fatemi vedere come si fa e io lo faccio”. La assumono. Solo allora si rende conto di essere stata assunta dall’atelier Pasquìn, lo stilista più famoso del tempo…L’esperienza francese fa maturare in Rosa la convinzione che il più grosso errore dell’industria della moda italiana è quella di voler copiare i modelli francesi. Rosa va oltre. Apprendendo il metodo di lavoro delle atelier francesi, Rosa si convince sempre più dell’enorme potenzialità sartoriali italiane…
Qui Rosa sfrutta la sua posizione e accanto ai modelli francesi, propone alle clienti i suoi “modelli speciali” come si legge in un cartoncino d’invito alle collezioni. Prende forma il “made in Italy” . È un trionfo! All’esposizione di Milano del 1906, Rosa si aggiudica il “Gran Premio per la sezione Arte decorativa della Giuria Internazionale…
Rita Maglio e le sue indomite gelsominaie.
In Italia le più grandi piantagioni di gelsomino si concentrano in Sicilia, Milazzo ad esempio, e in Calabria, in tutta la costa Jonica e, in particolare, nella Locride.
Un esercito silenzioso di donne che, fino agli anni sessanta del Novecento, ha raccolto il gelsomino per una paga da fame e in condizioni precarie, una situazione in cui le parole diritto e sicurezza sono solo parole da leggere su un dizionario, sempre che qualcuna di queste donne dopo una dura giornata di lavoro ne abbia la forza, di leggere…. molte erano bambine, otto, nove e dieci anni, basta raggiungere un metro di altezza, vissute nel silenzio di un lavoro duro e della povertà. Un esercito di donne fiere e piene di dignità, con i panni intrise di un odore forte e denso, il profumo dei gelsomini, tanto denso e carico da provocare svenimenti…
La raccolta dei gelsomini è un lavoro estenuante. Spesso le donne, madri di bambini in fasce, sono costrette a portarsi dietro i figli, che dormono nelle ceste accanto alla madre. Le donne lavorano scalze in terreni umidi e fangosi. Proprio per questo motivo, le gelsominaie si ammalano di anchilostomiasi detta anche “malattia dei vermi”. E’, infatti, provocata dal verme anchilostoma che, penetrando attraverso la pianta dei piedi e diffondendosi poi negli organismi, provoca gravi anemie, stati depressivi fisici e psichici, riduzione del ferro nel sangue. Inoltre, il lavoro è più faticoso in quanto svolto completamente al buio, di notte. Con la luce del sole, infatti, i gelsomini si ingialliscono e non possono più essere raccolti….
Negli anni ’50 cominciano le prime lotte delle gelsominaie che rivendicano condizioni di vita più umane, bilance automatiche, salario più alto e più giorni (51 giornate) di lavoro per poter maturare il diritto alla disoccupazione. Le proteste delle gelsominaie siciliane arrivano fino alla piana della Locride convincendo anche le colleghe calabresi a pretendere un trattamento più umano.
Rita Maglio, fervente attivista dell’UDI, prende a cuore le battaglie di queste coraggiosissime donne e si adopererà con impegno a favore delle classi sociali più disagiate. E qualche risultato lo ottengono: alle gelsominaie vengono forniti stivali, grembiuli e cappellini e la paga passa da 25 a 50 lire per kg di gelsomini raccolti.
Isotta Gervasi, “la dottoressa povera”.
Isotta nasce il 21 novembre 1889 a Castiglione di Ravenna, prima di otto sorelle. Il padre Emilio Gervasi, imprenditore edile, e la madre, Virginia Ridolfi, sono molto attenti all’educazione delle loro figlie e spingono soprattutto Isotta a dedicarsi agli studi. La giovane Isotta frequenta il liceo classico “Vincenzo Monti” di Cesena, poi a Ravenna, mostrando intraprendenza e curiosità. Isotta non sa quale futuro l’attende. Poi, un giorno qualunque, arriva la scintilla che cambia la vita di Isotta, mostrandole la via da percorrere. È lei stessa a ricordarlo in un’intervista del 1965, quando racconta di aver salvato la vita ad un giovane contadino a cui lei era rovinosamente caduta addosso, intenta ad imitare gli acrobati del circo. Isotta guarda quell’uomo, comprende la gravità del momento e, in uno slancio di coraggio, pratica la respirazione artificiale applicando le regole apprese dal libro di scienze. Il contadino rinviene e ringrazia accoratamente Isotta per essersi presa cura di lui. È in questo momento che nasce la sua vera vocazione.
Nel 1919 diventa la prima dottoressa in Italia a ricoprire il ruolo di medico condotto. È una rivoluzione. Lavora a Savarna e Zaccaria, per poi continuare tra Ravenna e Cervia. Siamo nel periodo fascista e Isotta deve affrontare non poche difficoltà e diffidenze, in una società ancora legata all’idea che alla donna e solo alla donna spetta il compito di avere cura dei figli ed il governo della casa. La caparbia Isotta crede in quello che fa e dimostra di essere non solo molto capace nell’esercizio della professione ma scopre di avere una dote di sensibilità fuori dal comune. Per tutti Isotta diviene “la dottoressa dei poveri” o “l’angelo in bicicletta”. È solita iniziare il giro di visite dalle persone più facoltose, accettando doni che poi ridistribuisce ai pazienti più poveri che visitava dopo. Alla fine degli anni Venti Isotta acquista una macchina, la Fiat 509, diventando una delle primissime donne alla guida di un’autovettura, un altro primato.
Durante la Seconda guerra mondiale però ritorna alla bicicletta. Isotta è ricordata anche per la sua passione per lo sport, in particolare i motori. Nonostante sia stata un’abile schermitrice in gioventù, tanto da vincere alcune competizioni regionali, Isotta è spesso menzionata per la sua passione per le due e quattro ruote e non solo. Nel 1918, l’11 marzo, l’aviatore triestino Giovanni Widemer atterra a Ravenna con il suo piccolo aereo. Isotta ha l’ardire di chiedere all’uomo di avere la possibilità di provare l’emozione del volo, stabilendo un altro primato, la prima donna ravennate a volare.
In occasione della festa della donna, mercoledì 8 marzo, alle 21, "Le vie delle donne" verrà presentato pressp il Museo MAiO, sito in viale Trieste 3 a Cassina de' Pecchi (Milano). Oltre ai due autori, all'evento saranno presenti, con un'incursione, la storica delle donne Valeria Palumbo e il musicista Walter Colombo.
Pubblicato il: 08/03/2023
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