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Le iniziative del Comitato SOFiA per garantire una valutazione dei rischi inclusiva. Contributo a cura di Rita Somma e Paola Favarano, Consigliere nazionali AiFOS e componenti del Comitato SOFiA
I lavoratori non sempre sono esposti allo stesso livello di rischio per la salute e la sicurezza, alcuni gruppi specifici di lavoratori possono essere esposti a maggiori rischi (o soggetti a particolari esigenze), lo ciclostilano nero su bianco la direttiva quadro dell'UE 89/391/CEE nonché l’art. 28 del D. Lgs. 81/08. Entrambe le norme, infatti, dispongono espressamente che, per garantire l’uniformità di tutela prevenzionistica nei luoghi di lavoro, i datori di lavoro devono considerare, nella valutazione dei rischi e nella definizione delle misure di tutela, la presenza di gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, come quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli correlati alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.
L’indirizzo del legislatore appare particolarmente chiaro: per raggiungere lo stesso risultato nel livello essenziale di diritto alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, è necessario considerare le diverse condizioni espositive di partenza, guardando sì a concetti di rischio assoluti ma anche a variabili relative a caratteristiche particolari della reale popolazione di lavoratori, in sinergia tra loro. Eppure, seppur rilevante concettualmente, questo resta un aspetto del disposto legislativo che, troppo spesso, non è visualizzato con l’attenzione che merita, se non proprio dimenticato.
Nella realtà, infatti, il modellamento prevenzionistico privilegiato è basato sull’immagine stereotipata di un "lavoratore standard", rappresentato generalmente da un maschio di mezza età, di corporatura media, psico-fisicamente normodotato, madrelingua, che rappresenta però solo un piccolissimo percentile della varietà della popolazione lavorativa. Un approccio che oggi appare difficile da superare, viste anche le difficoltà attuative dovute alla carenza di strumenti e metodologie standardizzate e condivise, così come il permanere dell’incertezza espositiva su alcuni rischi, che necessitano di essere ulteriormente indagati. Questo però non può costituire un alibi dietro cui nascondersi.
E se dobbiamo dirla tutta, alzando coraggiosamente ancora di più l’asticella, il quadro che considera la variabilità umana nella costruzione di un impianto prevenzionistico diventa ancora più complesso se scavalchiamo la cornice, allargando gli orizzonti, per guardare alla singola persona (il lavoratore), oltre la targhettizzazione nelle categorie definite per giungere a toccare le capacità e limitazioni caratterizzanti di ogni individuo. Ed oltre ci sono, è quasi pleonastico dirlo, altre differenze che possono impattare sulle condizioni iniziali e, dunque, sull’esposizione al rischio: differenze culturali, di lingua, sociali, psichiche, antropometriche, biomeccaniche, di istruzione, di potere, generazionali, economiche, di stile di vita, di contesto familiare, da considerarsi anche in prospettiva evolutiva nel tempo.
Con queste premesse diventa chiaro che l’approccio prevenzionistico non può essere neutrale, ma deve essere attento alla soggettività, in un atteggiamento mentale inclusivo (ndr. della persona), che richiede di conservare la consapevolezza che l’astrazione impersonale della valutazione dei rischi è un’operazione strumentale e, pertanto, nella fase applicativa, è essenziale introdurre nel sistema le variabili che erano state date per costanti, costringendo a ragionare sulla tutela della persona reale, con tutte le sue sfaccettature. Se questo non avviene, il risultato non risolve in problema, oppure il problema non era quello che era stato inizialmente affrontato, con la variabilità umana che tenderà, quasi inevitabilmente, a trasformarsi in diseguaglianze, ossia in vantaggi e svantaggi per le persone e i gruppi che di tali differenze sono portatori.
Siamo consapevoli che la sfida qui prefigurata è assai ardua, ma è arrivato il tempo per stimolare il dibattito sulla questione. Riconoscere e valorizzare le differenze diventa condizione indispensabile per una prevenzione efficace!
In sintesi:
Vedasi anche NOTA di approfondimento in calce. |
Una delle variabilità umane che certamente si può trovare nella popolazione di lavoratori nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro è quella relativa al genere. L’influenza della differenza di genere sappiamo già che può tradursi in differenze sessuali (biologiche) e di genere (socio-ambientali), che influenzano la fisiologia, la fisiopatologia, la clinica di tutte le malattie sia nell’uomo che nella donna, impattando inevitabilmente anche sull’esposizione a rischi professionali.
Sulla questione, grande attenzione va posta agli studi portati avanti dalla Medicina di Genere1, che si sta prodigando per colmare quel gap di conoscenza su tutte le variabili dicotomiche dovuto al ritardo nell’avvio della sperimentazione farmacologica e nella ricerca scientifica, storicamente polarizzata e androcentrica. Le nuove frontiere emergenti di studi hanno evidenziato proprio come i determinanti delle differenze di genere non sono legate solo alla forza fisica o alla riproduzione, ma investono una vasta gamma di aspetti: genetici, epigenetici, ormonali e ambientali, comportamentali andando a costituire un complesso di fattori biologici e socio-culturali che possono incidere sul livello di rischio, indipendentemente dal grado di esposizione, che può essere uguale tra maschi e femmine.
È ormai accertato, infatti, che uomini e donne si ammalano in modo diverso, di malattie differenti, non hanno gli stessi sintomi e rispondono in maniera dissimile. Una vulnerabilità verso i rischi che cambia oltretutto in modo significativo con l’età ed in modo differente per i due sessi. Riconoscere e valorizzare le differenze diventa così condizione indispensabile per una prevenzione, diagnosi e cura appropriate, un concetto che ovviamente investe anche ai luoghi di lavoro.
Esempi di determinanti biologici di differenza di sesso che impattano sul livello di esposizione al rischio professionale possono essere:
Esempi di determinanti sociali di differenze di genere che impattano sul livello di esposizione al rischio professionale possono essere:
Con queste prerogative, è chiaro che fare una valutazione dei rischi in ottica di genere non può tradursi, come troppo spesso avviene, nella “valutazione dei rischi per le donne” e non va confusa e ricondotta esclusivamente con la tutela delle lavoratrici madri, già declinata in uno specifico dettato normativo (d.lgs. 151/2001), o relegata al solo rischio da movimentazione manuale dei carichi, per il quale ci sono definizioni di indici differenziati tra uomini e donne. La valutazione dei rischi per differenza di genere riguarda tutta la popolazione lavorativa, uomini e donne, in tutte le fasi ed età.
Il tema è certamente rilevante, tanto che INAIL ha inserito l’attività di approfondimento sull’integrazione in ottica di genere del DVR tra gli obiettivi dell’attuale piano triennale di prevenzione dell’Istituito. Scopo è l’analisi per specifici comparti lavorativi (identificazione pericoli, valutazione dei rischi, interventi di prevenzione e protezione) e analisi per rischi specifici in ottica di genere e la realizzazione di un manuale con schede di rischio per la descrizione del rischio specifico, approfondimento su effetti sulla salute e/o sulla sicurezza, con evidenza delle eventuali differenze nell’interazione con il rischio in base al genere. Attendiamo la pubblicazione delle evidenze.
In questa premessa prospettica si inseriscono le iniziative portate avanti dal Comitato SOFiA per promuovere la centralità della persona sulle tematiche di sicurezza sui luoghi di lavoro, sostenendo la necessità di un approccio alla salute e sicurezza sul lavoro che mette la persona al centro, compiendo un salto epistemologico che introduce parametri conoscitivi nuovi, che tengano conto anche della peculiarità di fattori soggettivi propri dei destinatari di qualsiasi azione prevenzionistica.
Per fare un passo in questa direzione è necessario portare avanti azioni di sensibilizzazione e formazione sul tema, attività che si inseriscono nel più ampio concetto di “cultura della sicurezza”, che è anche gestione delle differenze. Se ogni analisi, ogni valutazione, è collegata indissolubilmente al modello di sicurezza adottato ed all’atteggiamento mentale dell’investigatore, al paradigma utilizzato, dobbiamo fare in modo che, nella cassetta degli attrezzi di chi si occupa di prevenzione, ci siano tutti gli attrezzi utili per la costruzione della tutela della salute e della sicurezza, compresi gli strumenti per la gestione delle differenze. Per questo è necessario diffondendone i termini tra gli attori della prevenzione, stando attenti però a non peccare di eccessiva astrazione concettuale, cercando di declinare sempre i concetti teorici verso esemplificazioni concrete, direttamente applicabili dalle organizzazioni per incidere effettivamente sulla risorsa umana e sull’organizzazione del lavoro.
In questa ottica si inserisce il workshop dal titolo “La parità di genere, dalla valutazione dei rischi alla certificazione del sistema di gestione in azienda” coordinato dai membri del Comitato SOFiA in occasione della Convention AIFOS dell’8 e 9 giugno scorso. Il workshop è stato strutturato in due laboratori interattivi: il primo sulla valutazione dei rischi di genere ai sensi del D. Lgs. 81/08 e, il secondo, sulla certificazione del sistema di gestione per la parità di genere ai sensi dell’UNI/PdR 125:2002.
Nel primo laboratorio abbiamo costruito due case studies relativi a due mansioni (addetto/a alle pulizie e operaio/operaia ricamatore), con lo scopo di ragionare insieme ai colleghi partecipanti per:
Il risultato di questo primo laboratorio sembra confermare qualitativamente la necessità di valutazioni differenziate per genere, facendo emergere considerazioni importanti sulle differenze di ripercussioni dei rischi su lavoratori e lavoratrici, con la necessità di definizione tutele specifiche ed interventi di prevenzione e protezione più mirati ed efficaci, in una progettazione ergonomica del lavoro che è questione anche di gestione delle differenze di sesso e genere.
Proviamo allora a mettere a terra l’esperienza realizzata, fornendo un nostro contributo sulle possibili azioni per procedere ad effettuare una valutazione dei rischi adeguata ed inclusiva:
Molto senz’altro ancora c’è da dire e fare sul tema ma un primo germe pensiamo di averlo gettato. Le differenze di genere rispetto ai rischi, il progressivo invecchiamento della popolazione, la flessibilità e destandardizzazione dei rapporti di lavoro, la multiculturalità che caratterizza gli ambienti di lavoro, solo per fare alcuni esempi, sono dunque aspetti che impattano sull’esposizione al rischio e, pertanto, non possono non essere considerati. Questo si deve tradurre in valutazione dei rischi e definizione di misure di prevenzione e protezione adeguate alla popolazione reale di riferimento, su misura, ponendo attenzione “sartorialmente” alle differenze interindividuali.
Le iniziative del Comitato SOFiA non finiscono certamente qui. L’attività prosegue anche con proposte di intervento strategico, consulenziale e formativo, su questi temi mirato alle organizzazioni. Per maggiori informazioni contattare la segreteria AIFOS.
NOTA DI APPROFONDIMENTO – Cosa si intende per sesso e genere? L‘OMS definisce:
Il sesso e il genere interagiscono influenzandosi a vicenda. Nel loro insieme rappresentano determinanti di salute molto potenti poiché influenzano l’eziopatogenesi di molte patologie sia per cause intrinseche, come quelle legate alla biologia e alla genetica di un individuo, sia per fattori ambientali, quali l’esposizione a fattori esterni e alla loro interazione specifica con l’individuo e la comunità di appartenenza. Le differenze di genere, d’altra parte, possono facilmente tradursi in ‘disuguaglianze di genere’. Le norme di genere, ad esempio quelle relative alle rigide nozioni di mascolinità, possono influire negativamente sulla salute e sul benessere fisico e psicologico. Ad esempio, in virtù di un concetto di mascolinità, i ragazzi e gli uomini possono essere incoraggiati ad assumere comportamenti a rischio per la salute e a non cercare aiuto o assistenza sanitaria. Le disuguaglianze di genere possono generare livelli di stress e ansia direttamente connessi al ruolo di genere che le società attribuiscono ai due sessi; così le donne possono essere fortemente influenzate dal ruolo di caregiver che la società affida soprattutto al genere femminile, mentre gli uomini possono essere condizionati dal ruolo di vincente e di successo che la società attribuisce al genere maschile. Le disuguaglianze di genere possono, in ultima analisi, tradursi in rischio per la salute, anche a causa del cosiddetto gender bias o pregiudizio di genere che, applicato alla ricerca clinica e farmacologica e alle professioni di cura, porta a trattare le persone senza considerare le differenze legate al sesso e al genere (Rif.: Decreto Ministero della Salute dell’11/04/2023). |
[1] La medicina di genere (MdG) introduce nella sanità il concetto di genere in medicina (Legge 3/2018). La medicina di genere non è la medicina delle donne ma è lo studio dell'influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
Per approfondire:
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
25123 Brescia, c/o CSMT Università degli Studi di Brescia - Via Branze, 45
Tel 030.6595031 - Fax 030.6595040 | C.F. 97341160154 - P. Iva 03042120984
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