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Il Quaderno della Sicurezza n°4 del 2020 - esclusivamente in digitale - presenta il Rapporto AiFOS 2020. L'editoriale di Lorenzo Fantini
La notifica di whatsapp appare sul display. A scrivermi è Marco Sabatini, Responsabile Media Relations del Gruppo Sogin che abbiamo invitato a scrivere un articolo per questo numero incentrato sulla loro esperienza aziendale. “Quale taglio preferite dare, più improntato alla formazione realizzata appositamente in questi tempi di Covid-19 o più correlata alle azioni di comunicazione adottate nella pandemia?”
Solo in quel momento ho compreso veramente che proprio questa domanda rappresenta il punto focale di qualsiasi azione siamo stati chiamati a fare in questi mesi, scontrandoci con la pandemia.
Perché formazione e comunicazione sono entrambi componenti necessarie e fondamentali per tutte le iniziative che si stanno portando avanti in un contesto lavorativo e sociale dove interazione e la condivisione diventano, come l’Associazione e questa rivista hanno sempre sostenuto, parti di ogni processo.
Ecco allora che, senza dubbio, vogliamo raccontare quello che abbiamo ascoltato e fungere da cassa di risonanza per ogni buona pratica si possa adottare oggi e per diffonderla un domani. E per fare questo siamo partiti, come ogni fine anno, dal Rapporto 2020 condotto da AiFOS per conoscere la situazione di “Lavoro, Sicurezza e Formazione ai tempi del Coronavirus”; e da questa base di partenza, ricchissima di elementi significativi (e di un gran numero di persone coinvolte) siamo andati a cercare quello che si sta muovendo.
Nel suo ultimo libro “Quel che stavamo cercando”[1], non ha caso proposto in un formato nuovo e fruibile gratuitamente, Alessandro Baricco suggerisce di pensare alla pandemia come ad una figura mitologica:
“Bisognerebbe provare a pensare la Pandemia come a una creatura mitica. Molto più complessa di un semplice evento sanitario, rappresenta piuttosto una costruzione collettiva in cui diversi saperi e svariate ignoranze hanno spinto nella stessa direzione. Innocui eventi sportivi, profili social apparentemente insignificanti, governi fragili, giornali sull’orlo del fallimento, semplici aeroporti, anni di politica sanitaria, il pensare di innumerevoli intellettuali, comportamenti sociali radicati nelle più antiche tradizioni, App improvvisamente utilissime, il ritorno sulla scena degli esperti, il silenzioso esserci dei giganti dell’economia digitale – tutto ha lavorato per generare non un virus, ma una creatura mitica che dall’incipit di un virus si è impossessata di ogni attenzione, e di tutte le vite del mondo. Prima e più velocemente della malattia è quella figura mitica che ha contagiato l’intero mondo. Quella è la vera Pandemia: riguarda l’immaginario collettivo prima che i corpi degli individui. È la deflagrazione di una figura mitica, a una velocità e con una potenza che ha lasciato tutti sconcertati. A molti, non a caso, ha ricordato l’esperienza della guerra: le circostanze pratiche erano completamente differenti, non si sparava un solo colpo, non c’erano nemici, eppure quel che la gente ha registrato è che, nella memoria, l’unico altro evento che avesse avuto quella inarrestabile efficacia pandemica era la Guerra. Stava allineando istintivamente la Pandemia alle altre grandi creature mitiche di cui si aveva memoria, accettando di prenderla per quello che effettivamente era: un contagio delle menti prima che dei corpi”.
Ecco da questo contagio siamo chiamati, oltre che come esperti nelle nostre figure professionali, come persone ad uscire per dare un nuovo significato alle nostre azioni in ufficio come a casa e a dare un nuovo al nostro essere ‘animali sociali’.
Sempre Baricco scrive che “In moltissimi si è pensato: “Ma che follìa di vita facevamo, prima?” La figura mitica della Pandemia porta nel ventre, tra le altre cose, questa epifania, pronunciata con una chiarezza destinata a non risparmiare nessuno. Essa dice che era una follìa andare a quei ritmi, disperdere così tanta attenzione e sguardo, smarrire qualsiasi intimità con se stessi, scambiarsi corpi nevroticamente senza fermarsi a contemplare il proprio, vedere molto fino a raggiungere una certa cecità, conoscere molto fino a non capire più nulla. Nel ralenti a cui ha costretto l’intero mondo, la Pandemia ha tirato fuori fotogrammi, dal film delle vite, che non si potevano vedere: spesso contenevano il volto dell’assassino, o il volo dell’angelo. E nella costrizione all’immobilità ha spalancato quarte dimensioni che si erano abbandonate.
È indubbio che volevamo, e cercavamo, qualcosa di simile. Forse, tra le correnti di desiderio che hanno spinto quella figura mitica fino alla superficie del mondo con tanta violenza improvvisa, una delle più forti è stata proprio questa: il bisogno spasmodico di fermarsi. In questo senso, la Pandemia è stata veramente un urlo. Un urlo di fatica. Di ribellione. Il bambino quando piega le ginocchia e si lascia cadere perché non ce la fa più.
E infatti poi la ripresa – che fa parte ancora integrante della figura mitica – è un tornare strano, riottoso, più che altro dettato dalla necessità di rimettere in moto il giro del denaro. Ma con un’incrinatura nel senso delle cose – ineliminabile”.
In questa ripresa dobbiamo credere profondamente e, in essa, costruire le basi fondanti per tornare a credere di poter essere attori del cambiamento, nella sicurezza sul lavoro come nella vita.
Ne va del nostro futuro.
Lorenzo Fantini[2]
[1] Alessandro Baricco “Quel che stavamo cercando” https://libroprivato.it/pc.html.
[2] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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