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Il Quaderno della Sicurezza n°3 del 2021 è on-line. L'editoriale di Lorenzo Fantini
“Gli operatori sanitari svolgono un ruolo essenziale nell’ambito del sistema sanitario e nella gestione dell’epidemia, lavorando in prima linea nella cura dei pazienti e assicurando che le misure di prevenzione e controllo siano implementate con il fine del contenimento dei contagi. Tuttavia, il contatto diretto con i pazienti li espone inevitabilmente ad un maggior rischio di contrarre l’infezione. L’OMS l’8 aprile 2020 registrava 22.073 casi di Covid-19 tra gli operatori sanitari provenienti da 52 paesi. Tuttavia, come la stessa Organizzazione ha sottolineato, tale numero, a causa dell’assenza di una raccolta sistematica dei dati relativi alle infezioni nel settore sanitario, comporta una possibile sottostima del numero reale (link). In Italia, stando agli ultimi dati disponibili sulla base della sorveglianza epidemiologica integrata dell’ISS dall’inizio dell’epidemia al 24 febbraio 2021, sono stati registrati 122.717 casi confermati di operatori sanitari contagiati, di cui 288 decessi (link)”.
Queste indicazioni sono riportate nell’introduzione nel “Monitoraggio sugli operatori sanitari risultati positivi a Covid-19 dall’inizio dell’epidemia fino al 30 aprile 2020: studio retrospettivo in sette regioni italiane” realizzato dall’Inail insieme all’Istituto Superiore di Sanità.
Dalla stesura di quel documento ad oggi sono diventati oltre 350 i medici deceduti per la pandemia da Covid-19 (link). Certo, molti sono morti durante la prima ondata, quando i sistemi di protezione individuale erano evidentemente pochi e la conoscenza del virus inadeguata. Tuttavia, la maggior consapevolezza nel trattare i pazienti e il tentativo di prevenzione con nuovi strumenti non sono stati elementi decisivi nemmeno nella cosiddetta seconda ondata, quando i medici (e con loro gli operatori sanitari) hanno continuato a morire: le statistiche evidenziano come, fino allo scorso febbraio, circa il 40% del totale è mancato nel periodo compreso tra settembre 2020 e febbraio 2021.
E altri dati non fanno che testimoniare la gravità di esposizione del settore. In base alle denunce pervenute all’Inail (dato di gennaio 2021), nel comparto della sanità e assistenza sociale si contavano il 68,8% delle denunce e un quarto (25,2%) dei decessi totali codificati. Un segmento che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili. Peraltro, non bisogna dimenticare che il personale medico non è solamente quello del Servizio sanitario nazionale, seppur duramente colpito: per i medici le denunce all’Inail riguardano esclusivamente i dipendenti, ai quali vanno sommati i medici di medicina generale e i liberi professionisti (tra questi gli odontoiatri, i primi specialisti per numero di decessi, probabilmente anche a causa alla peculiarità degli interventi, che espongono a elevato rischio infezione).
Come si evince, dunque, le statistiche sono drammatiche. Eppure, c’è qualcosa di persino peggiore: perché, se anche nel resto d’Europa si affronta un’emergenza del tutto simile, fuori dall’Italia i numeri che coinvolgono i medici rimangono però più contenuti. Tanto che, in una lettera a dicembre 2020 all’allora premier Conte, il segretario generale del Sindacato medici italiani Pina Onotri sottolineava come qualcosa non avesse funzionato.
“Se qualcosa non ha funzionato, l’obbligo oggi diventa migliorare, garantendo una maggior protezione a medici e personale sanitario e socio-sanitario” ha scritto Filippo Mastroianni il 22 febbraio 2021 sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”.
Proprio per questo abbiamo deciso di dedicare un numero specifico de “I Quaderni della Sicurezza” al settore, per cercare di analizzare cosa è stato fatto finora e quello che si può fare per trovare soluzioni idonee in termini di prevenzione e continuare ad applicarle in ogni posto di lavoro dedicato alla sanità e all’assistenza.
Ricordo che qualche settimana fa in un articolo sul Corriere della Sera dal titolo “La fine della profezia”, a firma di Marco Ventura, veniva criticato il modo di guardare al futuro utilizzando solamente algoritmi e previsioni, che mai come adesso appaiono inadeguate:
“Nel 2014 sulla rivista americana “Current Anthropology” Carlo Caduff ha pubblicato uno studio sui preparativi degli scienziati americani per far fronte alle future pandemie. La forza e la debolezza degli scienziati osservati dall’antropologo del King’s College di Londra, sta nel loro carisma, nel rapporto con il pubblico: la profezia pandemica scommette sulla ‘fede nella ragione’ per accompagnare l’umanità sulla soglia tra il noto e l’ignoto, basandosi sul valore della previsione dei dati.
L’anno dopo il bestseller “Superforecasting” di Philip Tetlock indica come l’innovazione scientifico tecnologica e la mutua fertilizzazione dei saperi abbiano reso la previsione un’arte, che è anche una scienza. Grazie al potenziamento computazionale, argomenta Tetlock, alcuni individui hanno dimostrato che possediamo strumenti per previsioni di qualità superiore.
Poi però arriva la pandemia e spiazza tutti: nessun big data ci ha preparato a questa catastrofe e fatica persino a farcene uscire.
Le comunità dell’intelligenza artificiale e delle scienze computazionali sono divise: c’è da un lato il lavoro predittivo, che appare messo in discussione da parte degli imprevisti; e poi c’è la sfida della spiegazione, perché mi serve a poco predire la curva epidemica se non comprendo i fattori determinanti e mi sfugge l’algoritmo”.
Questo momento di profonda criticità e costante messa in discussione dei processi tradizionali in cui ci troviamo è una sorta di “occhio del ciclone”, vale a dire quella zona di sostanziale quiete capace però di scatenare tempeste violentissime. Stiamo ancora piangendo le troppe perdite subite eppure il futuro prossimo, per essere impostato, ha bisogno di risposte tempestive mentre ancora si fatica a trovare un giusto equilibrio tre le esigenze di tutela all’assistenza e la prevenzione (non solo dal Covid-19).
Penso, ad esempio, alla previsione per gli operatori del settore sanitario, di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19 ben approfondito nell’articolo di Giada Benincasa e delle tante critiche a tale obbligo correlate (che richiamano ad esempio il sottile limite di equilibrio tra obbligo e requisito per esercitare la professione sanitaria). E ancora, come significativamente riportato nel suo contributo da Federica Maria Rita Livelli, quanto divenga strategico il ruolo del Risk Manager in ambito sanitario e come sia significativo costruire al meglio la sua interazione con le figure della sicurezza e non lasciarla una scatola vuota. Infine, ho trovato nei contributi di questo Quaderno (ad esempio, in quello di Laura Di Munno per la Fondazione Don Gnocchi) il filo comune della consapevolezza che la sfida del contrasto al contagio da Coronavirus e agli infortuni e alle malattie professionali possa essere vinta solo per mezzo di una corretta organizzazione di lavoro e tramite procedure, cioè tramite un sistema, finalizzato allo scopo di tutelare le persone.
È proprio il bisogno di mettere in discussione il nostro modo di pensare che può diventare la base per impostare nuove politiche e strategie. Che si parta dagli aggiornamenti del DVR o dalla elaborazione di protocolli anticontagio per dotarsi di sistemi di salute e sicurezza sul lavoro (SSL) solidi e resilienti, qualsiasi strategia “richiede investimenti nelle infrastrutture di SSL e la loro integrazione nei piani nazionali per prepararsi e rispondere alle crisi, proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori e promuovere la continuità delle attività lavorative” (link).
Di fatto, è indubbio che la pandemia ha messo a dura prova i sistemi sanitari nazionali, che hanno preso coscienza della necessità di implementare e mantenere radicate strategie, processi e procedure migliori, per consentire la resilienza e la ripresa.
Viviamo in un tempo di crisi, ma anche di grandi opportunità.
Lorenzo Fantini[1]
[1] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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