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Intervento di Rita Somma, consulente H&S, sociologa del lavoro, consigliere nazionale AiFOS, e Guido Ferrarese, skydiver con 6.000 lanci all’attivo, istruttore lancio in tandem www.doppiolancio.com
Da un’esperienza di vita personale, un lancio in tandem con il paracadute, nasce l’idea di questo contributo, che plasma vissuti apparentemente lontani ma che, insieme, riescono a far emergere interessanti riflessioni anche per il mondo della sicurezza del lavoro, diventando così pezzi di puzzle ad incastro perfetto, che sembrano poterla delineare veramente quell’immagine da comporre sulla scatola. D'altronde il concetto stesso di sicurezza è un tema trasversale: il lavoro è l’occasione per parlarne, ma la vita è il campo dove viene sempre giocata.
Sarà stata la scarica adrenalinica in corpo, ma i ragionamenti che ne sono scaturiti lanciano davvero frecce che fanno innamorare, che non possono pertanto non divenire pensieri da condividere, cristallizzandoli nero su bianco. Un’opportunità, quindi, per pensare a strategie interpretative nuove, anche coraggiose e creative, per provarci almeno a trovare quel grimaldello interpretativo che potrebbe garantire luoghi di lavoro accettabilmente sicuri (ndr. “accettabilmente sicuri” e non “sicuri”, perché, si sa, la sicurezza assoluta, il rischio zero, non esiste).
D’altronde, se si vuole tentare di superare lo stallo del fenomeno infortunistico, che non tende a scendere, c’è bisogno di smuovere le acque, destrutturare e ristrutturare paradigmi, farne di nuovi.
L’ebrezza dell’insicurezza per volare verso la sicurezza, potremmo dire. Sembra un controsenso, perché sicurezza e paracadutismo sembrano antitetici, inconciliabili. Alzi, appunto, la mano chi pensa che questo sport, considerato per antonomasia tra i più estremi, non sia irrimediabilmente pericoloso per quegli impavidi “cuor di leone” che lo praticano! In effetti, sulla potenziale pericolosità non si discute, può esporre effettivamente chi lo pratica a seri rischi in caso di errori o imprevisti. Lanciandosi nel vuoto da un aereo a propulsione turbo-elica da una quota di oltre 4.000 metri in caduta libera a 200 km/h attraverso l’aria, prima di dispiegare il paracadute, ci si può aspettare che le cose non vadano sempre perfettamente secondo i piani. Sic et simpliciter. Ma se continuerete a seguirci, avremo interessanti sorprese in serbo per voi.
Contrariamente al luogo comune, infatti, questo sport intrinsecamente pericoloso è più sicuro di quello che mediamente si immagina, perlomeno lo è diventato con il tempo, facendo registrare, oggi, una magnitudo delle probabilità di rischio di incidenti nel settore bassissima. Lo riportano incontrovertibilmente le statistiche pubblicate della United States Parachute Association (USPA), che evidenziano che si è passati, infatti, da una media di 3,65 decessi ogni 1.000 paracadutisti nel 1961, ad appena 0,004 ogni 1.000 salti nel 2019. Nel 2021, l'USPA ha registrato 10 incidenti mortali in paracadutismo, l'anno con il dato più basso mai registrato, un tasso di 0,28 morti ogni 100.000 lanci. Questo è paragonabile al 2020, dove i partecipanti hanno fatto meno salti - 2,8 milioni - e l'USPA ha registrato 11 vittime, un tasso di 0,39 per 100.000.
Numeri che, nel loro freddo rigore, non ci consegnano di per sé necessariamente una verità assoluta ma che rappresentano senz’altro un importante punto di riferimento, che non può essere ignorato, e da cui poter partire per più ampie e strategiche considerazioni. Dati che mettono in vetrina un’attività che, pur partendo da una posizione di rischio svantaggiata, sembra aver compiuto un arrocco, spostando due pezzi di scacchi in una mossa, proteggendo il re e battendo l’avversario. Il paracadutismo sembra dunque aver fatto scacco matto alla sicurezza. E così, la comunità di skydivers diventa inconsapevolmente un luculliano crogiuolo di opportunità a cui si può e si deve guardare con attenzione per trovare il volano del cambiamento per abbassare il rateo infortunistico anche nei luoghi di lavoro.
Compiere un vero e proprio ratto delle sabine, per carpirne i segreti e cercare di svelare la mappa che porta al tesoro della sicurezza, presentandolo al mondo del lavoro in tutto il suo splendore, appare dunque estremamente interessante, anche solo per offrire, in una qualche misura, una sollecitazione per una riflessione sul tema, che va senz’altro compiuta. Da tutto questo ne è scaturito quello che abbiamo chiamato il “decalogo delle regole d’oro” della sicurezza.
Ovviamente, dati i limiti di questo intervento e l’ampia varietà di questioni toccate, anche diverse tra loro per ritmo ed intensità, il contributo che segue non può che essere rappresentato solo da una sequenza di diversi spunti, con un carattere quasi rapsodico, senza alcuna pretesa di un’impossibile completezza.
Bramosi di arrivare dunque al nocciolo della questione, facciamo salire sul palcoscenico il modello di sicurezza del paracadutismo. Ecco quelli che sembrerebbero essere gli ingredienti segreti della ricetta:
Ti lanceresti con un paracadute del 1961? Che ovvietà, certo che no. L’utilizzo della migliore tecnica e tecnologica disponibile sul mercato è chiaramente condizione necessaria e imprescindibile per garantire sicurezza in qualsiasi attività, in particolare per quelle a più alto rischio. Attrezzature all’avanguardia, barriere, dispositivi e sistemi di protezione di ultima generazione devono essere le fondamenta dell’impianto prevenzionistico.
Ogni attrezzatura è soggetta ad obsolescenza. Il lento e progressivo deterioramento può portare a guasti e rotture. Manutenzione e controlli programmati, su base ricorrente, di tutte le attrezzature tecniche e tecnologiche, ordinarie e di emergenza, sono dunque tassativi. La manutenzione preventiva costituisce un’attività strategica fondamentale per la sicurtà. E, nel paracadutismo, diventa proprio lampante quanto la manutenzione a guasto non possa essere un’opzione possibile.
Si sa, il gruppo di riferimento assume un ruolo sostanziale nell’influenzare il comportamento, dunque anche nell’influenzare il modo di intendere la sicurezza in quel contesto situato d’azione, nel definire cosa è considerato sicuro e cosa non. La sicurezza è, dunque, context sensitive, risente dello specifico contesto sociale, con il proprio patrimonio di attori, culture, conflitti, entro cui si ricava uno specifico raggio d’azione. Questa dimensione collettiva nella costruzione della sicurezza è particolarmente evidente in questo ambiente, dove la motivazione e la desiderabilità sociale alla sicurezza è elevata. Alla percezione del rischio individuale si unisce, così, quella gruppale, che rafforza.
In tale senso, l’intera comunità di paracadutismo supporta i propri membri orientando verso comportamenti sicuri. La sicurezza diviene così affare di tutti, è democratica: ogni membro partecipa, interpretando attivamente il proprio ruolo. Qui sembra recuperato lo spirito di comunità di olivettiana memoria, che molti studiosi ancora valorizzano. Gli occhi dell’esperienza sono a doppio binario (io controllo te e tu controlli me).
La dimensione sociale è, dunque, uno dei tasselli fondamentali per garantire sicurezza, che deve essere visualizzata e valorizzata. Può essere parte vulnerabile o, al contrario, parte che rafforza l’impianto prevenzionistico.
La dimensione qualitativa psico-fisica soggettiva costituisce un altro elemento essenziale. Spesso ci si sofferma sulla conformità dell’attrezzatura, dimenticandoci di chi quell’attrezzatura deve utilizzarla, invece la variabile uomo non può in alcun modo essere eliminata di scena. I compiti, in particolare quelli ad alto rischio, dovrebbero essere concepiti ed assegnati considerando la peculiarità delle caratteristiche fisiche e cognitive necessarie per lo svolgimento in sicurezza nonché la loro evoluzione (es: tenendo conto del fisiologico invecchiamento del lavoratore e di situazioni soggettive contingenti che possono rendere l’errore più probabile). Non tutte le mansioni possono essere occupate dai lavoratori in modo automatico! Il grado di rischio, ad esempio, è differente se la macchina è in mano ad una persona attenta e riposata, rispetto alla condizione in cui venga guidata da una persona disattenta e stanca.
Una buona preparazione, in termini di abilità tecniche e non tecniche, è essenziale. Capacità che non devono essere intese come innate, ma come competenze da sviluppare attraverso formazione ed addestramento di qualità, volti al raggiungimento dell’obiettivo, che non è il conseguimento di un attestato di partecipazione, ma quello di apprendimento delle procedure per svolgere in sicurezza le attività. Un modo di intendere la formazione che passa da progetto a processo, che vuole favorire l’acquisizione di un modus pensandi sicuro prima ancora di un modus operandi.
Diventa così fondamentale, in approccio grassroots, pianificare azioni per educare ed addestrare i membri ad anticipare i possibili incidenti, gestire scenari critici, affrontare eventuali eventi anomali, che possono capitare anche ordinariamente, in modo da ridurre l’elemento sorpresa o, in ogni modo, per rispondere quanto più adeguatamente possibile. Formazione, diffusione efficace delle informazioni ed addestramento continui i must per prevenire ed affrontare i rischi. Ed il paracadutista è sottoposto a prove periodiche sulla conoscenza delle procedure di sicurezza e dei malfunzionamenti del paracadute. Al di là degli schemi di gioco, se si vuole vincere la partita, in campo servono giocatori allenati e preparati!
Nel paracadutismo le modalità operative non sono tarate sulla “fretta”, ogni procedura per garantire sicurezza è sempre rispettata. Non c’è mai deroga. Un paracadutista ritarda i tempi di lavoro se c’è in gioco la sicurezza.
Il paracadutista comunica e segnala errori o situazioni pericolose, costruendo ponti, non steccati o muri. Il passaggio dall’approccio «name and blame», cioè «trova qualcuno a cui dare la colpa», all’approccio dell’errore, che favorisce le segnalazioni, è fondamentale per costruire sicurezza. Se si gioca al “gioco delle tre carte” si sa già che il giocatore sarà impossibilitato a vincere, mentre una modalità a carte scoperte, ne aumenta esponenzialmente la probabilità di vincita.
Le scuole di paracadutismo sono tenute a comunicare ad ENAC qualsiasi incidente grave occorso per dar modo di analizzarne le cause. ENAC non si limita a registrare l’incidente/inconveniente ma, tra i suoi obiettivi, ha il compito di accertarne le cause immediate ed i fattori di rischio che hanno determinato l'evento al fine di mettere in atto le azioni correttive ritenute necessarie a scopo di prevenzione.
La raccolta delle segnalazioni inconvenienti/incidenti paracadutistici diventa pertanto un prezioso strumento per lo sviluppo di un'attività di Risk Analysis che può anche rivelare rischi latenti non direttamente connessi con le cause di un incidente. Questo circolo virtuoso crea anche circolarità di informazioni sui rischi nell’intera comunità.
L’utilizzo dei dispositivi di protezione collettiva ed individuale non si discute, quasi pleonastico affermarlo. Nessun paracadutista si lancerebbe, ovviamente, senza il paracadute di riserva o senza il dispositivo chiamato AAD (dispositivo di attivazione automatica), che rileva la velocità ed apre automaticamente il paracadute di riserva al di sotto di una certa altezza. La preparazione ad una sorta di piano B, anzi anche quello “C”, se per qualche ragione, anche incontrollabile, il risultato non fosse quello atteso e immaginato, è imprescindibile.
Nel mondo dei skydivers incentivare lo scambio di best practices è la regola. Le iniziative sono molteplici. I vari centri di paracadutismo in Italia, ad esempio, promuovono anche una "giornata di sicurezza" ogni anno per tutti i paracadutisti. Questo assicura che la conoscenza ed il consolidamento (ndr. repetita iuvant) delle procedure di sicurezza sia sempre condivisa ed aggiornata.
Procedure di sicurezza oltretutto improntate al miglioramento continuo del processo. Il mondo del paracadutismo si rifiuta di riposare sugli allori.
Le procedure per garantire sicurezza sono sempre rispettate. In questo mondo è condiviso il concetto di come l’esperienza non sia un DPI. È chiaro che, quando abbassi la guardia e ti senti veramente esperto da bypassare i limiti di sicurezza, sei fottuto. Tragici e noti incidenti ne sono la dimostrazione lampante. Superman volava senza paracadute, ma nessuno uomo, si sa, è un supereroe. Non c’è attività, per quanto effimera o accessoria, che possa consentire una deroga alle misure di prevenzione e protezione.
Arrivati fino a qui, infatti, ci ritroviamo, quasi trasecolanti, a constatare che la strada delineata ricongiunge concetti noti già masticati in modo frammentato nel mondo della sicurezza sul lavoro, ma che ora sono messi lì, ciclostilati uno dietro l’altro ed elevati di grado a condizione sine qua non. Un paradigma interpretativo non eclatante ma che, come nel gioco enigmistico “unisci i puntini”, mette insieme i segmenti e svela l’immagine. Ogni punto meriterebbe certamente un approfondimento a sé, ma già aver contribuito a delineare, seppur a grandi linee, un possibile orientamento di rotta ci appare già un primo piccolo passo. Utilizzando un ossimoro, sembra essersi aperta davanti a noi la strada per raggiungere la realistica chimera e disvelare il sentiero segreto per garantire la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Come sempre, la dimensione tecnica e quella umana vanno a braccetto, investendo tutti gli elementi del sistema socio-tecnico (uomo-attrezzature-ambiente) entro il quale il teatro della sicurezza si compie.
Questi dieci passaggi in realtà non garantiscono che non avvenga l’infortunio, ma faranno in modo che i famosi buchi del formaggio svizzero di Reason più difficilmente abbiano occasione di allinearsi, allontanando il pericolo di incidente. In un sistema che può indurre in errore, l’errore prima o poi capita, si sa già. In un sistema che incentiva la motivazione alla sicurezza, l’imprevisto può sempre capitare, ma è l’imponderabile che si manifesta.
Nel mondo del paracadutismo la leggendaria tendenza al rischio sembra essere planata sulla tendenza alla sicurezza, coinvolgendo sia la dimensione tecnica, sia quella biologica/individuale che quella sociale. Essere autenticamente coraggioso non vuol dire essere sconsiderato. Sintetizzando estremamente potremmo dire che il successo è stato decretato dai grandi salti fatti in termini di mitigazione del rischio realizzata sia attraverso l’evoluzione tecnica e tecnologica delle attrezzature ma anche attraverso processi legati al miglioramento delle competenze umane e dell’organizzazione. Il trend positivo è, infatti, la testimonianza di decenni di rigorosi standard, strategie politiche e programmi di formazione per migliorare la sicurezza. Se c’è riuscito il mondo di uno sport estremo, garantire sicurezza è dunque possibile!!!!!
Un cambio di paradigma che sembrerebbe indirizzare verso una sicurezza non solo prescrittiva ma prestazionale, che garantisce il risultato. Significa quindi assegnare priorità al processo, analisi e valutazione dei rischi, promuovere un circolo virtuoso di segnalazione e risoluzione delle potenziali minacce alla sicurezza, consapevolezza e cognizione tecnica, prevenzione e cambiamento pianificato, dispositivi di protezione adeguati, capacità difensiva …
E se si frequenta un’accademia di paracadutismo, non si può non respirare tangibilmente questa mentalità. Mettere la sicurezza al primo posto è condizione che non si discute, è diventato “naturale”. Ed ecco che l’inafferrabile cultura della sicurezza, tanto acclarata dopo ogni infortunio sul lavoro, sembra materializzarsi davanti ai nostri occhi. Qui diventa manifesto come questa non sia un concetto astratto ma sia una forma di azione che, di fatto, va ad incidere sulla messa in atto di comportamenti, espressione di norme scritte ma ancora di più di convenzioni informali, di linguaggi, di modi di pensare e di rappresentare il rischio. Questa è la cultura della sicurezza che dovremmo fare nostra in tutti gli ambiti di vita: nei luoghi di lavoro, nella strada, nell’ambiente domestico. Meditate gente, meditate.
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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