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Il Quaderno della Sicurezza n°1 del 2022 è on-line. L'editoriale di Lorenzo Fantini
Qualche giorno fa, in un post su Instagram, la scrittrice Laura Imai Messina, italiana che vive in Giappone, ha raccontato un aneddoto su suo figlio che aveva trovato una moneta da 1 yen (meno di 1 centesimo di euro). Ha deciso di accompagnare il figlio di 4 anni alla polizia per consegnarlo: “Non si trattava tanto del valore, quanto di educazione” segnalava..
Nel post il racconto proseguiva in questo modo: «“Dovremo compilare un documento, ci vorrà tempo. Va bene lo stesso?" ha chiesto il poliziotto. In realtà il tempo è stato di molto superiore al previsto, ma è stato bello vedere Emilio che rispondeva alle domande sul proprio nome e cognome e, aiutato, sul proprio indirizzo. Ma soprattutto, una volta concluso tutto quanto, guardarlo mentre, tutto fiero, ci domandava: "Sono stato bravissimo, vero?” Davvero l’onestà generale del Giappone permette di predisporre meglio l’esistenza, di non preoccuparsi che del necessario, di non sprecare tempo ed energie nello sforzo di non essere truffati. La fiducia si nutre così di giorno in giorno, confermata si rinforza, fa sì che naturalmente tutti si inseriscano nello stesso ordine di idee, che diano per ovvie regole del vivere comune che, tuttavia, nel mondo appaiono come un’eccezione. Lo si fa per spontanea emulazione, per abitudine, ma anzitutto per educazione. Ecco, è davvero importante partecipare».
“Questo sistema efficacissimo non potrebbe funzionare senza la cooperazione e il senso civico dei giapponesi. Restituire gli oggetti smarriti è una cosa che viene insegnata fin dalle scuole elementari. Secondo Kazuko Behrens, psicologo alla State University di New York, in parte ha a che fare con motivazioni legate alla spiritualità nelle religioni buddista e shintoista, e in parte con un altro concetto profondamente radicato nella cultura giapponese: quello che viene chiamato “Hito no me”, “l’occhio della società”, cioè la consapevolezza che le altre persone osservano e giudicano ogni singola azione, e che perciò bisogna seguire una morale interna che porta ad avere un comportamento corretto nella gran parte dei casi. In generale, nella società giapponese conta moltissimo come si è percepiti dagli altri: nel caso degli oggetti smarriti, si potrebbe dire che secondo questa morale bisogna riconsegnare ciò che si trova per non farsi trovare fuori posto agli occhi della società, anche quando la società (o la polizia) non sta guardando”.
Dopo questa lunga premessa, immagino abbiate compreso dove voglio arrivare: ormai si parla da troppo tempo della necessità di una cultura della sicurezza, ma questa non può prescindere da un modo di rivedere la nostra italica idea di essere parte della società e di contribuire sin da bambini a fare qualcosa di nuovo e facilitare il cambiamento.
Lo sottolineo in questo editoriale perché questo numero dei “Quaderni della Sicurezza” è dedicato alle novità normative introdotte sul sistema dei controlli e sulle novità sulla formazione presenti nel cosiddetto decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 ottobre 2021, n. 252), coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2021, n. 215 che si annuncia come un nuovo elemento fondante per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Nonostante l’argomento fosse già ricco di suo, nell’attesa di lasciar passare qualche mese per valutare al meglio l’applicazione delle norme, abbiamo pensato non solamente di proporvi un’intervista al Prof. Michele Lepore che ha contribuito alla stesura del DL e ci ha regalato la sua preziosa testimonianza, ma anche di inserire alcuni approfondimenti riguardanti i nuovi scenari di rischio che si sono delineati con la pandemia (riders - controlli a distanza dei lavoratori) e - ricordando a 10 anni di distanza l’emanazione del DPR spazi confinati - un focus sul lavoro in ambienti sospetti di inquinamento, dove è ancora evidente si debba fare molto per la prevenzione, perché purtroppo pur non essendo un rischio emergente è ancora uno dei rischi per cui si muore di più. Ecco allora la necessità di agire e di proporre indirizzi utili per trovare soluzioni realizzabili e capaci di tenere in considerazione i tantissimi cambiamenti in atto.
Questo perché i dati Inail dicono che negli anni '60 la media giornaliera dei morti era di oltre 10 morti, scesa a 8,1 nel decennio 71-80 e al 5,7 tra gli anni 81 e 90. In seguito, tra il 91 e 2000 si è arrivati al 4,1 per poi toccare il 3,6 tra il 2001 e il 2010 e attestarsi al 3,5 del decennio 2011-20: di fatto, come ritroverete nei contributi proposti, da 30 anni non riusciamo ad abbassare drasticamente le percentuali di morti sul lavoro, a testimonianza che “non bastano buone leggi e indignazione”, come segnala anche Marco Bentivogli nell’articolo apparso su Repubblica lo scorso 26 gennaio all’indomani della morte dello studente Lorenzo Parelli.
“Non si trattava tanto del valore della moneta quanto di educazione”, di stimolare un comportamento virtuoso, segnalava Laura Imai Messina nel suo post sopra citato. Precisamente quello che intendo immaginando che mai come adesso sia necessario ripensare i tradizionali sistemi di gestione della sicurezza e impostare un lavoro che abbia un orizzonte ampio verso il domani.
Lorenzo Fantini[1]
[1] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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