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Il Quaderno della Sicurezza n°1 del 2024 è on-line. L'editoriale di Lorenzo Fantini
Qualche settimana fa all’interno della rubrica “Il dibattito delle idee” de La Lettura – il settimanale di approfondimento culturale del Corriere della Sera, ci si domandava se la lingua italiana potesse ispirare i comportamenti delle persone e se fosse l’opposto.
Si tratta di un dibattito filosofico certamente molto interessante, che in parte può essere affrontato anche in chiave di tutela della sicurezza sul lavoro. Infatti, ormai più di 15 anni fa con il decreto legislativo n. 81 – ormai per tutti il “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro (sebbene non realmente tale, perché non racchiude, come noto, tutte le normative di legge obbligatorie in materia) – il legislatore aveva anche cercato di promuovere l’utilizzo di un linguaggio comune, che permettesse di considerare in modo omogeneo proposte e idee, incardinandole tutte insieme per perseguire la salvaguardia del comune interesse ed obiettivo: limitare il rischio degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. L’idea, soprattutto nella legge di delega (n. 123 del 2007) era, quindi, quella di cercare di intervenire in modo analogo in una area di regolamentazione quanto più ampia possibile, comprensiva anche degli appalti e anche dei c.d. “appalti pubblici”, che – con molta ambizione – avrebbero dovuti essere “armonizzati” alle regole del nascente “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro.
Come noto, anche per ragioni di tempo (collegate anche alla caduta del Governo del tempo, con conseguente accelerazione dei lavori di redazione del decreto legislativo attuativo della legge di delega, n. 123/07), questo ultimo obiettivo non è stato realizzato, ma la tematica degli appalti gestiti dalle pubbliche amministrazioni rimane da un lato rilevantissima e dall’altro connotata da evidenti profili di interazione con il “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, ben poco trattati e ancor meno efficacemente risolti. Nel frattempo, si è comunque intervenuti sulla gestione della salute e sicurezza nei lavori, servizi e forniture e negli appalti in termini generali, introducendo strumenti e concetti nuovi (si pensi, per tutti, al DUVRI, disciplinato dall’articolo 26, comma 3, del D. Lgs. 81/08), e nei cantieri.
Il primo Quaderno della Sicurezza 2024 cerca, dunque, di riportare attenzione su questa complessa tematica, analizzando anche le criticità legate alla gestione degli appalti e dei cantieri; criticità che continuano a tradursi in eventi infortunistici spesso gravissimi, come quello del quale si è avuta notizia al momento di andare in stampa, avvenuto nel cantiere Esselunga di Firenze. Pur non potendo (né minimamente volendo) ipotizzare nulla rispetto alle cause e alle responsabilità, quanto accaduto a Firenze dimostra l’importanza delle realizzazione di un lavoro più capillare e concreto sulle condizioni di salute e sicurezza che vanno garantite da tutti (progettisti, coordinatori per la sicurezza, datori di lavoro, lavoratori) negli appalti e nei cantieri, non solo in termini normativi e di controlli, quanto, piuttosto, attraverso la piena e generalizzata consapevolezza, in chi lavora negli appalti e nei cantieri, dell’importanza delle attività di valutazione dei rischi e di gestione della salute e sicurezza.
Il Quaderno si sofferma anche sulle novità (e la portata) di ciò che è stato introdotto dal “nuovo codice dei contratti pubblici”, considerando i suoi effetti di tutela sul lavoro e sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Come ben rilevato nel contributo a firma di Masi «Probabilmente, sarà una riforma “in divenire”, come afferma lo stesso Consiglio di Stato quando dice “la legge, anche se riordinata e semplificata grazie a un codice, è un elemento necessario ma non sufficiente per una riforma di successo, giacché tutte le riforme iniziano “dopo” la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e si realizzano soltanto se le norme sono effettivamente attuate “in concreto”».
Il valore che il nuovo codice potrà dare rappresenterà l’elemento di successo delle riforme che si intende portare avanti, per continuare il quel percorso, virtuoso, che può ispirare i comportamenti dei lavoratori, che il “testo unico” ha provato a innescare in relazione alle esternalizzazioni di lavori, ormai una costante delle attività produttive, nel cui ambito non sempre le tutele prevenzionistiche vengono adeguatamente progettate e concretamente attuate.
In tale contesto, la soluzione non potrà essere quella di cancellare le dicotomie, bensì quella di costruire una consapevolezza e sensibilità capaci di imprimere una nuova visione agli affidamenti di lavoro a terzi, nella quale il linguaggio comune e condiviso sia quello della prevenzione.
Ogni novità (a maggior ragione le innovazioni di tipo legislativo) innesca comunque un cambiamento o, almeno, una maggiore attenzione all’esistente; ed è quello che c’è da augurarsi che accada a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/23, che sta già innescando il fisiologico processo di emanazione di “successive modifiche e integrazioni”, rinnovando l’attenzione sui temi legati agli appalti. Di questo aumento di consapevolezza critica abbiamo molto bisogno perché va ricordato che dopo la nascita e lo sviluppo del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, l’interesse – almeno quello generale (anche mediatico) – ha iniziato a subire una sorta di flessione; non a caso oggi cerchiamo di ritrovare nuove forme per un rilancio che è diventato necessario, sia per dare nuova linfa e vitalità al contesto sociale, che per tornare a dare rilievo alla rilevanza e all’impatto di infortuni sul lavoro e malattie professionali che, purtroppo, non solo non ci hanno mai abbandonato (come era ampiamente prevedibile, atteso che l’obiettivo “zero infortuni” è imprescindibile, ma non certo realizzabile al momento) ma non sembrano avere un trend soddisfacente di riduzione.
Ecco allora in che modo la norma (la lingua italiana del dibattito sopra segnalato) potrà diventare elemento ispiratore dei comportamenti: non certo cancellando le dicotomie, bensì nella necessità di costruire una consapevolezza e sensibilità capaci di imprimere una nuova visione ai comportamenti delle persone. Come disse il letterato britannico Samuel Johnson “Il linguaggio è la veste del pensiero”.
Lorenzo Fantini
Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
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