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29 marzo 2019

Le nostre attività

Obiettivo sicurezza: ISO 45001 e Vision Zero

Il Quaderno della Sicurezza n°1 del 2019 è stato recapitato a tutti i soci AiFOS. L'editoriale di Lorenzo Fantini

Obiettivo sicurezza: ISO 45001 e Vision Zero



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Con il nuovo anno appena iniziato abbiamo deciso di dare risalto non ad un’unica tematica, ma a due aspetti che stanno caratterizzando il panorama della salute e sicurezza sul lavoro degli ultimi anni e che, molto probabilmente, saranno le linee portanti dei futuri scenari in materia. Mi riferisco da un lato alla campagna Vision Zero e dall’altro alla ISO 45001:2018.

I lettori potrebbero trovare la scelta di associare questi due argomenti alquanto particolare in quanto, ad una prima impressione, possono sembrare ambiti diversi e poco legati; tuttavia noi, come AiFOS, riteniamo debbano essere intesi come strettamente correlati innanzitutto per la vicinanza delle impostazioni di riferimento, solo apparentemente distanti tra loro. E, soprattutto, per il fatto che entrambe mirano ad avere in ogni tipologia di organizzazione, ambienti sicuri, salutari e nei quali non vi siano infortuni, al fine di consolidare lo stato di salute e di benessere di coloro che vi operano.

La campagna Vision Zero si connota, infatti, per il suo approccio alla prevenzione degli infortuni e delle malattie, che integra le dimensioni della sicurezza, della salute e del benessere in ogni luogo di lavoro attraverso una impostazione flessibile e, pertanto, in linea di massima applicabile in qualunque contesto aziendale. Le sette regole auree di Vision Zero identificano una strategia prevenzionistica che, partendo dal vertice delle organizzazioni, tende ad affrontare ogni aspetto della programmazione e realizzazione di iniziative di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali e che passa, in modo molto marcato, attraverso una corretta definizione di ruoli e competenze.

Parimenti, la ISO 45001:2018, per quanto abbia una natura (quella di norma internazionale “ufficiale”) del tutto diversa da Vision Zero, ha in comune con essa l’attenzione ai temi della necessità di un serio e concreto commitment aziendale, quale punto di partenza della individuazione e della pianificazione della salute e sicurezza sul lavoro in azienda. In entrambi i “sistemi” è, cioè, chiaro che tutto ciò che succede nelle organizzazioni di lavoro non è, né può essere, casuale ma deve essere effetto (in questo caso positivo) di scelte dell’alta direzione, punto di partenza di una efficace azione di valutazione dei rischi e di realizzazione di misure di prevenzione e protezione adeguate ai rischi presenti al lavoro.

Nonostante la bontà dei propositi di entrambi i temi trattati, questo Quaderno (Q1/2019) non vuole “essere celebrativo” né presentarne puramente gli aspetti innovativi, cercando, piuttosto, di fornire ai lettori elementi di conoscenza e spunti di riflessione per il lavoro di chi la prevenzione la persegue giorno per giorno, non tralasciando di sottolineare limiti e criticità dell’uno e dell’altro. Ad esempio, nel contributo di Patrick Waterson (editorialista della rivista scientifica britannica “Policy and Practice in Health and Safety”) viene sottolineato come Vision Zero abbia una serie di criticità che l’autore ritiene efficacemente “correlate al concetto stesso racchiuso nel termine stesso di “Vision Zero” e alle insidie che si palesano nella stesura di programmi ad esso collegati, come ad esempio, l’idea di visualizzare il numero zero come obiettivo fisso rispetto a un processo che richiede una modifica organizzativa e notevoli impegni anche economici a sostegno” sottolineando, altresì, come uno “schema” su 7 regole di massima, per quanto flessibili, inevitabilmente potrebbe risultare da un lato troppo limitato per tener conto di “sfumature” rilevanti (si considerino i temi legati, ad esempio, alla fatica e allo stress da lavoro) e, dall’altro, rischia di essere paradossalmente troppo rigido, quasi al limite dell’autoreferenzialità”.

Le criticità della ISO 45001:2018 sono emerse, invece, in modo chiarissimo anche solo considerando quanto l’approvazione della norma sia stata travagliata, con alcuni Paesi (tra i quali l’Italia) che l’hanno espressamente criticata per taluni aspetti (primo tra tutti il tema della partecipazione dei lavoratori, ritenuto dall’Italia trattato in modo troppo limitativo nelle iniziali stesure) e sono, innanzitutto, legate a una “transizione” tra il precedente riferimento (il noto OHSAS 18001:2007) e l’attuale, su cui gli interpreti da tempo si interrogano, in assenza di indicazioni “ufficiali” dalle amministrazioni competenti. A ciò si aggiunga come anche la ISO 45001, per quanto assai meno che in relazione alla ISO 18001, postula un impegno aziendale, in termini di organizzazione, che sembra difficilmente compatibile – dal punto di vista pratico – con aziende di piccole e micro-dimensioni, quali sono da sempre quelle italiane.

Seppur presentando aspetti spinosi e ben al di là dall’essere risolti, le problematicità di Vision Zero e della ISO 45001:2018 sono, tuttavia, assolutamente marginali rispetto alle complessive qualità di entrambe. Infatti, si tratta di metodologie di approccio alla prevenzione che colgono l’esperienza derivante da decenni di applicazione nel mondo delle procedure e che consentono, davvero, di combattere in modo efficace gli infortuni e le malattie professionali ovunque. E proprio nel loro stimolo al miglioramento ritrovano il loro principale comune denominatore: perché propongono (e, in qualche modo, impongono) innanzitutto di mettere l’organizzazione aziendale al centro di ogni processo, quale primo e fondamentale strumento di prevenzione. Di fatto, Vision Zero e ISO 45001 sono, da questo punto di vista, connotate da un elemento di eccellenza comune: la modernità nell’approccio alla salute e sicurezza sul lavoro, come obiettivo centrale e imprescindibile dell’impresa e, in particolare, della sua dimensione apicale.

In tale ottica diventa, pertanto, fondamentale che sia impostato da parte di chi stabilisce la direzione aziendale un percorso ben pianificato e che non può prescindere innanzitutto dal coinvolgimento di una sorta di “nuovo soggetto” della sicurezza, vale a dire proprio la figura del manager che, essendo elemento di vertice, è chiamato non solo a “credere” nei sistemi di gestione e ad impegnarsi nel renderli operativi, efficaci ed efficienti, ma anche a “rendere forte” il concetto di “leadership” quale fattore strategico di successo nella corretta ed efficace gestione di un sistema organizzativo.

Ecco allora spiegato il comune denominatore tra i due argomenti. La loro idea innovatrice e il loro porre l’attenzione ai vertici aziendali (e il chiamarli in causa direttamente) rappresentano certamente delle sfide per l’immediato futuro proprio al fine di affinare, oltre al rendere ulteriormente efficace, il processo di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che non può crogiolarsi sui presenti successi in ambito generale, ma che sempre più ha bisogno di stimoli specifici e adattabili alle singole realtà lavorative.

 

 

Lorenzo Fantini[1]

 


[1] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

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