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Il Quaderno della Sicurezza n° 4/2022, contenente il Rapporto AiFOS, è on-line. L'editoriale di Lorenzo Fantini
Negli ultimi giorni ho avuto modo di rileggere la trascrizione delle risposte che nel 2018 il più grande esperto italiano di sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (nonché componente del Comitato Tecnico Scientifico AiFOS), il mai abbastanza citato e compianto Professor Alberto Andreani, forniva in una delle sue rare interviste. Con il suo solito stile, allo stesso tempo semplice e incisivo, Alberto evidenziava come: “Già la 626, ma indubbiamente il Decreto 81 lo enfatizza ancora di più, esprime il concetto che l'organizzazione è la base sulla quale si deve fondare la moderna salute e sicurezza del lavoro. (…) Abbiamo detto fin da subito che la norma di derivazione Europea era una norma sistemica che portava l'uomo al centro del sistema sicurezza, ma abbiamo fatto un errore. Quello di mettere al centro del sistema sicurezza, di ritenere che dovesse essere al centro del sistema sicurezza, l'uomo lavoratore. Ci deve stare, ma prima di lui ci deve andare l'uomo datore di lavoro, l'uomo dirigente, l'uomo preposto. E ovviamente anche l'uomo lavoratore. Solo in questo modo chi governa, chi organizza l'azienda, potrà organizzare anche la sicurezza del lavoro”. E sempre secondo Alberto Andreani (che questo concetto era solito esporre spesso), questo spiega per quale ragione: “Se noi andiamo a prendere con la parola “Cerca”, nel Decreto 81, la parola “organizzazione”, la troviamo in un numero smisurato di volte. (…)”, dando il senso della decisione operata dal legislatore nel 2008 di enfatizzare l’organizzazione del lavoro come primo elemento di prevenzione.
La scelta di dedicare il Rapporto AiFOS 2022 ai sistemi di gestione della sicurezza trova le sue ragioni nella volontà di comprendere se l’obiettivo – perseguito, come appena evidenziato, dal D.Lgs. 81/08 molto più che dal D.Lgs. 616/94 – di rendere consapevoli le aziende dell’importanza della individuazione, pianificazione e corretta e completa attuazione delle misure di tutela, sia stato raggiunto oppure no. Ed è una domanda quantomai attuale, anche solo considerando i drammatici dati che si possono trarre dagli “Open data” INAIL relativi al confronto tra i primi 9 mesi del 2022 e quelli del 2021, i quali evidenziano come “Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail entro il mese di settembre sono state 536.002, in aumento del 35,2% rispetto alle 396.372 dei primi nove mesi del 2021”, con aumenti a tre cifre in alcuni settori (+132,3% nel settore sanità e assistenza sociale e +112,8% nel settore trasporti e magazzinaggio) e con una distribuzione diseguale degli aumenti per genere (l’aumento degli infortuni per le donne è stato del 57,9%, a fronte di un incremento per gli uomini comunque marcato, nella misura del 22,7%).
Nel Rapporto emergono, indubbiamente, elementi di progresso (a partire da quelli legati alla sempre maggiore diffusione e conoscenza della ISO 45001) e conforto rispetto all’obiettivo sopra richiamato, ma anche criticità significative, sulle quali riflettere. Dalla lettura dei contributi è possibile, soprattutto, concludere che la consapevolezza dell’importanza delle procedure per la gestione della prevenzione in azienda, per quanto non paragonabile a quella (ben più limitata) del passato, non sia ancora soddisfacente. E ciò in modo indistinto, in quanto le carenze culturali non possono essere riferite solo alle aziende, ai consulenti o ai lavoratori, ma costituiscono un problema “trasversale”, che riguarda tutte le componenti del sistema di prevenzione e che abbraccia tutti i settori produttivi, pubblici e privati.
Eppure, è proprio questo il momento per fare in modo che il tema della prevenzione venga conosciuto e affrontato come merita – ognuno per proprio conto: penso anche alle amministrazioni pubbliche competenti, a livello non solo ispettivo, ma anche di promozione della salute e sicurezza sul lavoro – come un tema che coinvolge centinaia di migliaia di persone ogni anno (mi riferisco, innanzitutto, agli infortunati e chi ha una malattia professionale). Lo ha compreso la giurisprudenza, che negli ultimi mesi ha evidenziato – in alcune interessanti sentenze (di assoluzione, in casi nei quali in passato vi sarebbe stata la condanna) relative alla posizione del datore di lavoro – come la responsabilità dell’azienda non sia di creare un ambiente lavorativo “a rischio zero” (semplicemente perché il rischio zero non esiste), ma di organizzare l’impresa in modo coerente con quanto previsto dall’articolo 2087 c.c., applicando le misure organizzative e tecniche per eliminare i rischi o, se impossibile, per ridurli al minimo[1]. E, ancora, vi sono altre sentenze nelle quali il datore di lavoro viene assolto perché ha adottato modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza idonei a prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali[2]: ciò significa che il datore stesso ha volontariamente optato per una gestione sistemica della salute e sicurezza sul lavoro “premiata” dai magistrati in termini di esclusione della responsabilità (soprattutto perché i sistemi di gestione della sicurezza e i conseguenti modelli permettono di fornire corretto adempimento all’obbligo di vigilanza del datore di lavoro, dando, peraltro, supporto anche a quello dei dirigente nei riguardi dei preposti e dei preposti rispetto ai lavoratori).
Il secondo punto che mi ha colpito dalle evidenze del Rapporto è relativo al coinvolgimento e alla partecipazione dei lavoratori, argomento in ordine al quale c’è una totale condivisione, in merito alla necessità che tale interazione ci sia (basti dire che la ISO 45001 è sul punto ben più incisiva e precisa delle norme di riferimento precedenti, con particolare riferimento alla BS OHSAS 18001). Restano del tutto da capire, quindi, le ragioni per le quali tale coinvolgimento rimanga sempre più sulla carta che nella realtà delle dinamiche aziendali, costituendo una criticità troppo importante perché non venga affrontata.
Da ultimo, in tutti i contributi emerge la piena convinzione, che è anche la mia, che la massima possibile riduzione del numero e della gravità di infortuni sul lavoro e malattie professionali possa essere, in concreto, realizzata solo se è stato creato e funziona ogni giorno il sistema di prevenzione aziendale, cioè quel sistema avente un unico ma fondamentale obiettivo: tutelare le persone che lavorano.
Perché, come diceva Andreani, solamente un sistema di gestione organizzato sarà capace di tutelare salute e sicurezza di ogni persona “Solo in questo modo chi governa, chi organizza l'azienda, potrà organizzare anche la sicurezza del lavoro”.
Lorenzo Fantini[3]
[1] Si vedano, per tutte, Cass. lav., ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3282, e Cass. pen., sez. III, 6 novembre 2018, n. 50000.
[2] Cass. pen., sez. III, 12 giugno 2019, n. 25977, evidenzia come in aziende (in questo caso di grandi dimensioni) che abbiano scelto volontariamente l’adozione ed efficace attuazione di modelli di gestione della sicurezza sul lavoro il datore di lavoro risponda solo delle “scelte gestionali e di fondo” purché abbia correttamente organizzato l’azienda per prevenire gli infortuni sul lavoro, mentre le responsabilità relative allo svolgimento del lavoro in concreto giorno per giorno vanno attribuite ad altri soggetti, nell’ambito di un sistema finalizzato alla massima efficienza delle misure di prevenzione e tutela.
[3] Direttore dei Quaderni della sicurezza di AiFOS, avvocato giuslavorista, già dirigente divisioni salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Pubblicato il: 16/11/2022
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